Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

CORALLO - Storia e arte dal XV al XIX secolo


pagina precedente

pagina successiva

CAPITULI DEI CORALLARI DI TRAPANI

Prima stesura per atto notarile dell'11 luglio 1628. L'irrequietezza dei corallari e loro esigenze di affermazione politico-sociale. Nel 1619 affidamento del Mistero del Trasporto al sepolcro. Paga giornaliera del lavorante. Disposizioni sul diritto di precedenza nell'acquisto del corallo grezzo. Esami per aprire bottega (per lavorazione o vendita), previo pagamento di una tassa. Consoli, Consigliere, Revisore e Tesoriere per guidare la Corporazione. Ispezioni e verifiche nei laboratori degli artigiani per controllare la regolarità dei crivelli e dei ferri del mestiere. Proibizione agli schiavi di lavorare il corallo. Testi dei Capituli del 1628 e sue modifiche del 1742.

I corallari, come categoria artigiana, a Trapani erano presenti fin dagli inizi del XV secolo, ma alla stregua delle altre «arti» non riuscirono mai ad avere un loro peso nell'assetto politico della città, sulla quale invece avevano il sopravvento i nobili e la borghesia ricca.
I loro sforzi per emergere e primeggiare durante il XVI secolo si esauirono nel tentativo di precedere i rappresentanti del ceto dei sarti nella processione del cirio che si teneva illunedi di Pasqua,292 e culminarono nella decimazione del settore provocata dall'esodo volontario degli artigiani in conseguenza dell'insuccesso dei moti insurrezionali scoppiati in città nel 1673 (come protesta contro le ricorrenti carestie).293
I corallari furono gli ispiratori della rivolta.
Ma non si trattava di far valere propositi di pura egemonia; c'era anche l'intento di proporre un modello politico-sociale che si fondava sulla religiosità e sull'orgoglio corporativo.
I Capituli che la Mastranza si diede nel 1628 (più noti nella loro stesura definitiva del 1633) esprimono la volontà evidente del recupero morale e professionale che «dagli antichi nostri predecessori si osservava». I Capituli del XVII secolo dovettero essere preceduti da altre regole che, ormai da tempo, non venivano piti rispettate.
La prima versione che ci è pervenuta è stata espressa sotto forma di atto notarile e risale all'11 luglio 1628, ma era stata elaborata il 26 maggio precedente. Acquista, tuttavia, valore presso i terzi con l'emanazione del 30 agosto 1633; i Capituli però furono registrati il giorno dopo dai Giurati e approvati dal Viceré il 23 settembre successivo.294
A volerli e ad elaborarli erano stati gli artigiani locali che avvertirono l'esigenza di regolamentare la lavorazione e l'etica professionale.
Le Ordinaciones algheresi, invece, erano state emanate nel 1493 dal Re e come unico scopo avevano quello di regimentare la pesca del corallo, mentre i Capitula dei Genovesi privilegiano il commercio, l'aspetto fiscale e i rapporti all'interno della categoria.
A controfirmare quelli di Trapani furono 40 fra Mastri e lavoranti che esercitavano in altrettante botteghe i quali dettarono principi restrittivi rispetto al costume corrente in città; qui certamente dovevano esserci tanti altri laboratori artigiani impegnati nella lavorazione del corallo, ma non presso tutti veniva praticata una certa etica professionale. Va rilevato, però, che nella versione del 1633 a controfirmare i Capituli furono soltanto 36 Mastri; spariscono completamente i lavoranti. Su questa circostanza negli atti ufficiali manca una qualsiasi motivazione.
La religione, come regola fondamentale di vita, viene richiamata quasi in ogni Capitulo, ma gli estensori non si limitarono a questo. Si posero sotto gli scudi protettivi del Santissimo Sacramento e di San Filippo Neri che designarono come Patroni; si impegnarono a mantenere a proprie spese il «Mistero» del «Trasporto al sepolcro» che gli era stato dato in affidamento il 5 aprile 1619.295 Offrivano anche i ceri alla parrocchia di San Lorenzo e all'oratorio di San Giovanni. Si proposero, inoltre, di accompagnare in processione il sacerdote che andava a somministrare la comunione agli infermi gravi.
Ma, preoccupati che alle apparenze non corrispondesse una effettiva professione di fede, preferirono stendere i 26 Capituli296 che per quasi due secoli saranno la guida morale e professionale dei corallari trapanesi. Si preoccuparono, soprattutto, che «niuno venghi defrodato da chi sotto habito di mansuete pecore facessero attioni di rapaci lupi».
In città i corallari volevano avere una immagine di tutto rispetto. Tenevano molto a ben figurare nelle tre processioni della Settimana Santa, per cui ogni rappresentante dell'arte doveva essere presente con un proprio caro sul quale in precedenza erano stati apposti i contrassegni della maestranza «in segno che ogn'uno sia reconosciuto per operaio di tale magisterio gloriandosi esser figlio di dett'arte cossi honorata et degna».
Il rapporto fra i Mastri, i lavoranti e i garzoni nel 1600 doveva essere abbastanza deteriorato a scapito di quest'ultimi, al punto che i Capituli si incaricano del loro riscatto morale e materiale predispondendo norme precise «a cio non vengono opprexi et vessati da li mastri quali per ingordigia loro non si curano di avelire ed infamare si degno magistero».
La paga giornaliera (venisse conteggiata ogni settimana o a mese) doveva essere di tre tarì e non era consentito dare in pagamento coralli ai dipendenti.
Per scoraggiare il furto e la ricettazione venne proibito ai Mastri di comprare corallo «cogliato, pertugiato e lavorato» da garzoni e lavoranti sprovvisti di autorizzazione alla vendita. I Mastri che avessero acquistato la refurtiva sarebbero incorsi in una penale, mentre i garzoni e i lavoranti non avrebbero potuto essere assunti nelle botteghe prima di un anno dalla scoperta della frode.
I bassi salari e la povertà avevano aperto la triste piaga del furto che gli aiutanti del padrone della bottega perpetravano, si può dire, a carattere sistematico, in danno dei datori di lavoro. Nei contratti di prestazione d'opera veniva fatta espressa menzione che, in caso di furto, anche il genitore avrebbe concorso nell'indennizzo al Mastro.
Dal testo di due Capituli si rileva che a quel tempo la quantità di corallo disponibile per i laboratori artigiani doveva essere inferiore al fabbisogno.
Allo scopo di scongiurtare le «disordinate» risse che scoppiavano per l'accaparramento del prodotto, fu disposto che avrebbe avuto diritto a contrattare il pescato della prima corallina quel Mastro che per primo fosse arrivato quella sera alla marina; la seconda barca era vincolata con l'artigiano che sarebbe arrivato per secondo, e cosi via. Tuttavia, se quella sera stessa i contraenti non avessero raggiunto un accordo, allora le parti potevano ritenersi svincolate e il corallo poteva essere venduto liberamente.
Sempre per derimere controversie e per consentire a tutti gli artigiani di approvvigionarsi di materia prima, fu stabilito che se in città fosse stata messa in vendita, da parte di forestieri, una partita di corallo il cui peso complessivo superava i dieci rotoli, il Mastro che l'aveva contrattata per primo poteva trattenerne per se soltanto la metà; la parte restante doveva essere messa a disposizione di altri titolari di bottega. A carico dei trasgressori era prevista una ammenda di 10 onze, la piti elevata pena comminata in tutti i 26 Capituli.
In queste due clausole si possono riscontrare molte affinità con i «Capitula artis coraliorum» genovesi.
Per accedere all'arte, cioè per essere titolare di bottega, gli aspiranti dovevano sostenere un esame. I forestieri avrebbero dovuto pagare una tassa di un'onza e un tari, mentre i figli dei Mastri ne erano esentati. Non bastava, quindi, che un forestiero anche adulto fosse stato dichiarato abile altrove; doveva sostenere una prova prima di esercitare a Trapani, città ritenuta impareggiabile nella lavorazione del corallo. Superato l'esame, i candidati avrebbero potuto aprire «potegha» per la lavorazione, o «barraccha» per la vendita. Gli aspiranti locali i cui genitori non fossero iscritti all'arte venivano equiparati ai forestieri. Anche in questa disposizione si notano analogie con il regolamento genovese emanato poco meno di un secolo e mezzo prima.
La responsabilità di sovrintendere al settore e vigilare sulla applicazione dei Capituli era affidata ad un organismo ristretto composto da quattro Consoli (fra i quali doveva essere scelto il Revisore) e un Consigliere. Le funzioni preminenti erano affidate a quest'ultimo e al Revisore; li coadiuvava il Tesoriere il quale presiedeva alla gestione amministrativa (riscuotendo le ammende ed effettuando i pagamenti) .
Le elezioni si svolgevano il16 agosto (festività della Madonna di Trapani) e il 24 successivo (giorno di San Bartolomeo) si designavano i Consoli e il Consigliere.
Il Revisore e il Console avevano come compito istituzionale quello di effetuare controlli (almeno tre volte all'anno, con scadenze fisse ogni quattro mesi e comunque tutte le volte che lo avessero ritenuto opportuno) presso i laboratori degli artigiani per verificare la regolarità dei crivelli (utili per definire il calibro delle sfere da destinare alla fabbricazione di reste, collane e paternostri) e dei ferri del mestiere.
Revisore e Console dovevano vigilare affinché la lavorazione del corallo tondo e botticella fosse eseguita a regola d'arte. In caso di trasgressioni ai Mastri locali veniva applicata una pena, dalla quale invece erano esenti i forestieri (che non erano ritenuti a conoscenza delle regole vigenti a Trapani). A costoro, però, veniva imposto di ritirare i prodotti messi in vendita e di procedere alla loro modifica secondo le prescrizioni.
Era anche severamente proibito mescolare sia le differenti qualità di corallo che i diversi colori. Essi, a seconda della tonalità decrescente di scuro, venivano classificati in: estremo, nigrigenti, chiaro, retichiaro e contraretichiaro.
Una tolleranza fino a 12 sfere camolate era ammessa nella fabbricazione delle reste (le quali tuttavia non potevano essere meno lunghe di un palmo e mezzo).
I quattro Consoli, il Consigliere e il Tesoriere erano tenuti a rendere conto del loro operato alla scadenza del mandato. Se i subentranti non avessero chiesto la resa dei conti sarebbero stati considerati responsabili in solido con i precedessori.
Ribadendo un odio viscerale e atavico, i corallari con il regolamento emanato nel '600 inibirono agli schiavi l'accesso all'arte (anche in posizione subordinata): «essendo hoggidì in molto ludibrio appresso tutti per la loro vile prosapia i schiavi, si per esser o discendenti da infedeli e barbari cossi anco per essere di costumi indegni e di malissime qualità vogliamo che per l'avenire nessun mastro possa recevere per lavorante o garzoni di la nostra Arte non solo da schiavi ma anco alli figli loro».
Anche Trapani in piti circostanze fu assalita da corsari mori che razzia vano uomini, donne e bambini; solo in casi estremamente fortunati essi avrebbero rivisto i propri familiari (dietro pagamento di lauti riscatti). Corallari e tonnaroti erano i piti esposti perché venivano colti di sorpresa in mare aperto.
Di tonnaroti trapanesi e palermitani schiavi in Biserta riferisce Paolo Tartamella - il quale però era barbiere - in una lettera indirizzata al padre (datata 26 giugnetto 1598). Racconta di essere stato due volte «in corsu morto difame, di siti mangiato di pidocchi e bastonati». Per il suo riscatto venivano richiesti 300 scudi.297
I Capituli si chiudono con una sorta di appello (anche qui vengono previste clausole ben precise) perché non si apportassero modifiche allo statuto con troppa facilità. C'era forse il timore che la parte meno sana della categoria potesse avere il sopravvento e quindi debellare i Capituli ritenuti giustamente l'unico valido presidio contro le frodi in commercio, le malversazioni degli artigiani poco scrupolosi e la mortificazione del prestigio della Mastranza.
L'impegno di non procedere a modifiche venne rispettato fino al 1742 quando, per intervento del Senato della città, furono apportate alcune variazioni incentrate sui rapporti fra i Maestri e i lavoranti.
Il documento, però, si rivela molto prezioso per tutta una serie di elementi che fornisce sull'assetto dell'arte. Anzitutto, va messo in evidenza che, rispetto ai Capituli del 1628 e del 1633, nel 1742 fu il Senato ad intervenire menomando, quindi, l'autonomia della Maestranza la quale, fino ad un secolo prima, era orgogliosa dell'indipendenza pressoché totale della quale godeva nell'ambito delle proprie attribuzioni.
La figura nuova che emerge è la donna operaia la quale ebbe, finalmente, diritto ad un proprio rapporto di lavoro ufficialmente riconosciuto, anche se le veniva corrisposto un compenso anomalo: metà in denaro contante e il resto in «roba mercantile e recettibile».


Il porto di Trapani visto dalle Egadi con le mura di cinta in un manuale francese in uso presso la marina mercantile dell'8OO, Collezione Umberto Pace,

Si può desumere, inoltre, che la lavorazione a partire da questa data si svolse in maniera piu organica rispetto al passato: a fianco ai ritondatori ci sono i tagliatori, i perciatori, gli sciortinatori e gli infilzatori di reste. C'è quindi la prova storica che la lucidatura (sciortinatura) era prassi corrente già agli inizi del XVIII secolo. Rispetto al 1628-1633 , quando veniva fatto divieto di impiegare coralli di colori differenti nella fabbricazione delle reste, con gli emendamenti del 1742 questa procedura venne legalizzata alla stregua di quella che consentiva di fare collane impiegando esclusivamente sferette camolate.
Venne, inoltre, introdotta la carcerazione per quei lavoranti che avessero accettato di ricevere «prozione di robba per mercede delli loro lavori.
Per quanto concerne la vendita di corallo grezzo, i «padroni venditori (i quali secondo quanto prescritto nei Capituli del 1628 erano tenuti a non procedere prima di 24 ore alla vendita a persona diversa da quella contattata al momento dell'attracco della corallina alla banchina del porto) dal 1742 sarebbero stati liberi di avviare una nuova trattativa solo dopo che fossero trascorsi tre giorni da quella precedente.
Infine, va evidenziato, che a ratificare l'atto del XVIII secolo intervennero soltanto 21 Maestri corallari, contro i 40 del 1628 e i 36 del 1633 . Pur con le dovute cautele, il dato potrebbe esprimere la tendenza al ridimensionamento del settore che però a Trapani diventerà tangibile solo nell'800.



292 C. Guida, Trapani durante il governo del Viceré Giovanni de Vega (1547-1557).
293 C. Guida, Insurrezione dell'artigianato a Trapani sotto il Vicerè Ligné.
294 BFT, Archivio del Senato. Registro delle lettere. Lettera n. 55, carpetta 19, 1623-1633.
295 M. Serraino, I Misteri, saggio storico-artistico, pag. 14. La processione, importata dalla Spagna all'incirca nel 1590, si svolge ancora oggi il venerdì di Pasqua e comprende 20 gruppi lignei che rappresentano la passione e morte di Cristo.
296 Nel 1633 diventeranno 24.
297 G. Bonaffini, La Sicilia e i barbareschi, pag. 189.



pagina precedente

pagina successiva



DEDICATO A:
Mario Tartamella

1986 © Copyright by
Maroda Editrice

I Edizione Aprile 1985
Il Edizione Ottobre 1986

Per il cortese contributo di esperienze, si ringraziano le famiglie: Adragna, Alagna, Barraco, Barresi, Burgarella, Cammareri, Cardella, Cirafici, Curatolo, D'Ali, D'Angelo, Fardella, Fa da le, Giacalone-Salvo, Governale, Ingarra, La Porta, Manzo, Marini, Marotta, Matranga, Messina, Orbosué, Parigi-Fontana, Romano, Todaro, Virga; nonché le Dirigenze del Museo Regionale «Pepoli» di Trapani e del Castello di Boloeil.

Un ringraziamento particolare al dottore Aldo Sparti (Direttore dell'Archivio di Stato di Trapani) per la costante e dotta disponibilità.

Fotolito: GAMBA - Roma

L'impaginazione delle tavole a colori è stata curata dall'Editecnika srl Palermo-Trapani

Fotocomposizione e stampa: Arti Grafiche Siciliane - Palermo





E-mail e-mail - redazione@trapaninostra.it