Gino Lipari


la copertina del libro

la copertina



edito da:
Ceto degli Ortolani -
dell'Unione Maestranze

in collaborazione con:
Ignazio Grimaldi editore


Progetto grafico:
Ezio Pagano


Stampa:
Tipografia Zangara
Bagheria (PA)



Finito di stampare
nel febbraio 2008



Ringrazio
Ignazio Grimaldi
per avermi dato
la possibilità di pubblicare
questo libro



Si ringraziano:

Mario Amantia, Clemente Anastasi, Luigi Biondo, Franco Bosco, Sergio Dara, Bartolomeo Figuccio, Michele Fundarò, Mario Mistretta, Anna Palazzo ed i Consoli e collaboratori del gruppo degli Ortolani: Francesco e Salvatore Barbara, Michele Buffa, Antonella Cangemi, Enzo Coppo la, Giovanna e Giovanni Culcasi, Laura e Pietro Ditta, Sina Fodale, Giovanni Galluffo, Salvatore Giliberti, Ignazio Grimaldi, Mariella La Piea, Bice Lentini, Lidia Poma, Enzo e Salvatore Ranieri, Nicola Ricevuto, Vito Santoro, Matteo Scarlata, Giuseppe To­daro, Giuseppe Vassallo.

Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

PASSIO DREPANI CUM ARS HORTOLANORUM
di Gino Lipari

La Processione dei Misteri di Trapani


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L'ULTIMO SINIARU


Non ha certamente alcun titolo per poter dire di essere nato sotto un cavolo, ma Giovan Battista Orlando detto Titta, trapanese, classe 1923, senza tema di smentita potrebbe affermare, di essere nato tra i cavoli della senia in contrada Sancusumano (Santi Cosma e Damiano).
Sin da ragazzo ha lavorato nell'orto del nonno, che poi fu anche di suo padre Paolo. L'avevano avuto in gabella dalla famiglia del notaio Calcedonio Barresi.
Titta Orlando, di quella senia conosceva tutti i segreti. Poi, dopo settanta anni di faticoso lavoro, lentamente la vide morire. Divorata pian piano dal cemento. Ora non c'è più. Ora in quel luogo non si produce più neanche un cavolo o un "mazzu" di verdura. Quella senia u zu Titta non se l'è più scordata.
Il ricordo gli gira ancora nella testa. Rammenta ancora il ciclo produttivo che iniziava a marzo e finiva a settembre, e che a seconda del tempo di raccolta, determinava le varietà della produzione. E così c'erano i cavoli settembrini, gli ottobrini, i novembrini, i natalini, gli jnnaroti, i frivaloti e i marzuddi.
In genere la senia si estendeva su di una superficie di circa due ettari corrispondenti a circa 10 tumoli complessivamente. Un tumolo è pari a 2093 metri. La cosa essenziale per impiantare la senia era la natura del terreno che doveva essere del tipo sabbioso e poi lavorato e ben concimato.

Giovan Battista Orlando - Siniaro

Zu Totò e Zu Vito siniara con il proprietario della senia "dell'Acqua dolce"

Allora, il concime usato era lo stallatico che costituiva un ottimo fertilizzante e veniva riciclato dalle stalle dove erano custoditi gli animali (vacche, muli, asini, maiali ecc). Per la maggior parte però il concime più utilizzato era costituito dai rifiuti urbani.
Le senie potevano essere considerate una sorta di discariche o addirittura delle vere e proprie pattumiere civiche. I rifiuti solidi urbani prodotti dalla città di Trapani allora venivano giornalmente smaltiti nelle senie. Per il Comune le senie erano una sorta di ancora di salvezza. Tanto che c'era un accordo tacito tra l'Ente e i siniara. Questi ultimi mettevamo a disposizione dell'Amministrazione civica il mulo ed il carretto ed il Comune metteva a loro disposizione un operaio per il trasporto, il carico e lo scarico della spazzatura.
Il Comune di Trapani, in quel tempo, non aveva una discarica pubblica per lo smaltimento della "munnizza".

Da sinistra: i siniara Tuzzo Naso e Matteo Grimaldi con alcuni familiari

L'unico sistema di smaltimento era costituito dalle vaste aree extra urbane dove insistevano le senie. In quel tempo, infatti, le bottiglie di plastica non esistevano (furono introdotte sul mercato nell'agosto del 1967). Le bottiglie di vetro venivano ricic1ate e riutilizzate dalle stesse ditte produttrici di bevande. Chi voleva comprare una "cazzusa"(gassosa) e portarla a casa doveva restituire il vuoto, diversamente non gliela vendevano.
La cosa importante, comunque, nella senia era il pozzo. In genere era del tipo artesiano ed era scavato con orientamento Est-Ovest.
Nella senia l'acqua non doveva mai scarseggiare diversamente non si poteva avere una buona produzione.
L'acqua si tirava con la noria che veniva azionata da un somaro bendato "u sceccu" (55). Con l'avvento dell'elettricità la trazione animale andò in disuso e l'acqua si tirava con le pompe elettriche.
L'acqua del pozzo alimentava la gebbia e questa, a sua volta, con il sistema dei vasi comunicanti, alimentava il gibbiotto.
La "gebbia" era una vasca grande (dalla profondità di due metri circa) mentre u gibbiottu era una vasca meno profonda e molto più piccola e veniva utilizzata anche per il lavaggio dei fasci di verdura.

Visitatori nella senia di Ignazio Grimaldi

Il flusso dell'acqua era regolato attraverso la "badda" una sorta di tappo conico in pietra che si azionava a mezzo di una catena che tirandola faceva fluire, più o meno intensamente, l'acqua lungo il canale mastro che attraversava quasi tutta la superficie della senia e consentiva l'irrigazione delle tavole (un riquadro coltivato con un unico tipo di pianta) che erano attraversate dai canali.

Ignazio Grimaldi con alcuni familiari

La senia si divideva in tavole, una sorta di grandi aiuole. Ogni tavola conteneva 12 caseddi, piccole aiuole dalle dimensioni di cinque metri per sei, realizzate da solchi di terra costruiti dal siniaro che poi, con la zappa, li rimuoveva, con competenza idraulica, di volta in volta, per dosare l'acqua in successione ad ogni singola casedda. Una volta colmata la casedda, il siniaro deviava l'acqua rimuovendo con la zappa i "surca" (bordi realizzati con la terra) aprendo e chiudendo i "vattali" cioè le aperture praticate nei surca che consentivano di irrigare le singole casedde.
Quando nella senia si raccoglieva la verdura veniva fasciata con dei filamenti di ddisa (ampelodesmo). I fasci di verdura si gettavano nel gibbiotto per il lavaggio. Poi venivano ammassati ordinatamente e "messi a caricaturi" cioè pronti per essere caricati sui carretti e trasportati o al mercato o alle "putii" (botteghe).

Ignazio Grimaldi con alcuni familiari

Certe volte gli ortaggi si vendevano direttamente in senia. Gi acquirenti in genere erano i "sciccara" cioè gli ambulanti che con il proprio carretto trainato dal somaro caricavano la verdura per venderla per le vie della città.
Durante la raccolta, l'ortolano valutava peso e qualità degli ortaggi per questo sul "trussu du brocculu" (fusto del cavolo) con il coltello incideva un numero romano per ricordarsi nella fase della vendita il peso o la qualità ai fini della determinazione del prezzo. Ormai, tuttavia, non sono scomparse solo le senie, ma è scomparsa anche la professione del siniaro, un tempo considerato lo specializzato dell'agricoltura. Questa antica attività si è inglobata nella generica professione di contadino sia esso mezzadro o coltivatore diretto.

(55) Da qui deriva la frase "sccçcu siniaru" riferita anche a persone di grande lena e capace di grandi fatiche senza protestare.


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A
Pietro Culcasi
Console per 50 anni del gruppo degli Ortolani






Un ringraziamento particolare:
Elfa Petralia Valenti, Enzo Tartamella



Referenze fotografiche:
Rosario Bonventre, (archivio Anna Palazzo), Giuseppe Boè, (Bibblioteca Fardelliana, manoscritto n° 313 - 190 I), Emanuele Baudo, Edizioni Cartoleria Mannone - Trapani, (collezione privata), Archivio famiglia Grimaldi, Ezio Pagano, Archivio famiglia Vito Santoro, Francesco Termini (detto Ciccio, archivio Fundarò), Archivio Soprintendenza Trapani, Archivio storico del gruppo Ortolani, Le rimanenti foto sono dell'autore


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