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 BUSSOLA: Trapani Nostra - OPUSCOLO - Musica e poesia nella tradizione popolare Siciliana - Coro Citta' di Trapani

Musica e poesia nella tradizione popolare Siciliana - Coro Citta' di Trapani tratto dal libro

La Magna Grecia e il canto popolare nella tradizione Siciliana

Il presente opuscolo è tratto dal libro

"La Magna Grecia e il canto popolare nella tradizione Siciliana"

Presentato nel corso del Convegno

"Musica e Poesia nella tradizione popolare Siciliana"


Finito di stampare il 26 Giugno 2002

Edito dall'Associazione di canti e danze popolari "Coro Città di Trapani"
Copyright - tutti i diritti sono riservati

PREFAZIONE
Salve Regina
Ninnaredda a lu Bammineddu
Cantu di Natale
Nuvena di Natali
Canto dell'Epifania
Processione di li variceddi

Canto di bambini di maggio
Canto religioso
Madona di Mezzagosto
Rosariu
'Razioni di Santa Marina
Cantu di lu SS. Sacramentu
Razioni di San Stansillau

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Il Maestro Agostino Giacomazzo

Il Maestro Agostino Giacomazzo

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Prefazione


I canti religiosi di Alberto Favara (Salemi 1863 - Palermo 1923) contenuti nel "Corpus di musiche popolari siciliane", curati da Ottavio Tiby e pubblicati due anni dopo lamorte di quest'ultimo, sono poco meno di un centinaio e vanno precisamente dal numero 612 al 703.
Dei dodici canti qui presentati ed armonizzati da Agostino Giacomazzo, dieci provengono dal Corpus e solo nove fanno parte dei canti religiosi, essendo il "Canto dei bambini di Maggio" tratto dal gruppo dei giochi.
Armonizzare tali canti adesso, è come riesumare la controversia, sopita dal silenzio di questi ultimi anni, sugli accenti ellenici rilevati in moltissime musiche del Corpus.
Soffiado sulla polvere delle vecchie carte, lo scetticismo di consumati dibattiti potrebbe alimentarsi di nuove contrapposizioni, ridestando vitalità nei sostenitori delle tesi contrarie al Favara.
Egli ribaltando il metodo di lavoro del Pitrè (Palermo 1841 ivi 1916), il quale rimane grande punto di riferimento dell'ernologia italiana, aveva spostato l'asse portante dell' analisi, dal testo poetico al testo musicale.
Invece il Pitrè, raccolti i canti popolari, aveva affidato l'incarico di stendere le partiture di alcune canzoni a Carlo Graffeo, inserendole in appendice alla seconda edizione dei canti; le trascrizioni furono da questi condotte senza quella consapevolezza fìlologica e senza quella lucidità di metodo messa in atto dal Favara.
Forse fu per tale motivo che il Pitrè volle ignorare il lavoro dello studioso salemitano, anche se quest'ultimo, colto docente di conservatorio, compositore e grande conoscitore della cultura musicale ellenica, con la sua fatica aveva arricchito il dibattito sulle questioni della cultura popolare siciliana e aveva inoltre reso grato servizio al Pitrè, poichè come tutti sappiamo, ogni successore fa grande il proprio predecessore.
Noi qui non vogliamo innalzare edicole votive per nessuno, anzi riteniamo che le beatificazioni sono grande monumento alla libertà di pensiero e alla cultura.
Agostino Giacomazzo, procedendo con chiaro e severo lavoro sulle direttive del Favara, ha potuto verificare la scientificità del metodo dell'etnomusicologo di Salemi e ha dimostrato che fra le pieghe di quegli spartiti esistono realmente i modi del melos ellenico.
Per tale motivo siamo grati a Giacomazzo, ma suggeriamo cautela ai fedeli sostenitori di qualsivoglia teoria, al fine di evitare possibili chiusure irrazionali.
Provare che in canti diversi tale metodo non appare, non delegittima la tesi contraria, anzi allarga il campo d'indagine e ratifica la tesi che il cantore siciliano per sua predisposizione alle tecniche della musica modale, si muoveva con estrema disinvoltura all'interno di griglie similari, mostrando abilità di improvvisato re e contaminando del tradizionale melo ellenico i modi bizantini e i modi arabi importanti da culture successive.
Non a caso il Favara operava una cernita su tutto il materiale, anche se oggi qualcuno potrebbe ritenere che non sia stato estremamente selettivo; tale modalità di raccolta dipendeva dal suo orecchio estremamente sensibile, che riusciva a cogliere il gusto arcaico dell' antica musica greca anche all' ascolto di una sola coppia di note, decidendo, quindi, di trascriverli lo stesso, non privandoci di ciò che ancora oggi ci affascina e ci confonde.
Ci auguriamo che resuscitato l'interesse, ognuno contribuisca a sciogliere i nodi delle contraddizioni, permettendo a tutti di giungere sempre più vicino alla verità, certezza che Favara e Tiby intravidero, pur non ricevendone il giusto riconoscimento.

Renzo Porcelli

Trapani 15 - giugno 2002

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SALVE REGINA

Oh salvi riggina
Oh Matri 'ddulurata
Vi sia raccumannata
St'arma mia
Ni vui vinni pi grazia
Chi sia stu cori 'ngratu
Fèritu e trapassatu
Da tanti gran piccati

Questo canto n° 623 del Corpus, è stato raccolto dal Favara a Palermo intorno al 1905 dalla voce di Orazio Culotta, nato ad Enna nel 1858 ed abitante a Nicosua. Il pezzo proviene sicuramente dalla zona di Cefalù e da altri paesi delle Madonie. Si cantava nel santuario della Madonna di Gibilmanna per i festeggiamenti dell'8 settembre. E' uno dei 63 canti corali riportati nel Corpus, raccolto dal Favara direttamente con una notazione a doppio rigo musicale. Nel rigo superiore si trova annotato l'intero canto, comprensivo del testo e nel rigo inferiore è tracciata la parte corale, così come lo stesso Culotta cantò al Favara.
La prima impressione, che viene fuori dall' analisi del canto, è certamente quella di una struttura piena di abbellimenti di gruppetti e di melismi musicali, che ci fanno pensare ad una melodia relativamente moderna. In realtà ci si accorge subito che nessun musicista avrebbe potuto scrivere tali abbellimenti e melismi così musicalmente sconnessi e che, quindi, questi non sono altro che sovrapposizioni che gli stessi cantori hanno aggiunto nel tempo, secondo l'influenze, subite nei secoli, dal proprio orecchio musicale.
Estrapolando tutti questi "barbarismi" (appoggiature, acciaccature e melismi vari) che sono tipici della musica moderna, il canto si presenta con una struttura modale IPOFRIGIA (Iastica) e si estende prevalentemente entro un intervallo di quinta. Ciò che veramente sorprende (e che ci fa pensare con più serenità all'antichità del canto) è che la melodia, per tutta la sua durata, non tocca mai la nota principale del Modo. La sua struttura metrico - musicale è quasi interamente Giambica con inizio Tetico.

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NINNAREDDA A LU BAMMINEDDU

Dormi, dormi Bambineddu
'Nntra la pagghia arripusatu
L'armaleddi cu lu ciatu
Dicinu: "dormi e fai la vò"

Dormi e dici l'asineddu
Dormi e dici la capruzza
E la vacca chi t'intruzza
Dicinu: "dormi e fai la vò"
E li pecuri bilannu
Di li munti a la pinnina
E lu gaddu e la gaddina
Dicinu: "dormi e fai la vò"

Ah! Si fussi un agnidduzzu
O un caprettu picciriddu
Ti 'ricissi beddu figghiu:
"dormi dormi e fai la vò"

Questo è l'unico canto che non ho tratto dalla raccolta del Favara. Ho ascoltato questa melodia per la prima volta nel 1965 dal M° Settimo Burgarella. In seguito ad un invito per una esibizione in seno alla manifestazione ericina "La zampogna d"Oro" , il maestro invitò alcuni amici (compreso il sottoscritto) per formare un gruppo corale per la presentazione di questo canto ricordo che provammo un paio di giorni nella palestra dell'allora sezione staccata dell'Istituto Tecnico per Geometri in via Virgilio Trapani. Sentii subito, interiormente, la straordinaria bellezza di questa melodia e soprattutto la sua diversa e suggestiva conclusione melodica.
Al di là della stupenda armonizzazione a tre voci che si evince dal manoscritto dello stesso M° Burgarella, del quale io sono in possesso, quello che salta subito agli occhi, dall'analisi del pezzo, è che il tracciato melodico dà origine ad una armonia che modula e risolve sul 4° grado. Ciò fa pensare ad una struttura certamente non moderna ma, più di ogni altra cosa, ad una composizione musicalmente non "colta" e pertanto di estrazione sicuramente popolare.
ll testo è del 18° secolo, ma come si sa, nel canto popolare siciliano la datazione della musica è di gran lunga antecedente. Trattasi di una struttura di modo Frigio con un inizio Anacrusico ed una metrica Dattilico-Spondaica. Per una completezza corale, ho ritenuto fame una armonizzazione a quattro voci dando rilievo maggiore al basso.

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CANTU DI NATALE

                                           San Giuseppi, un jornu stannu
                                           'Ntra la chiazza a Nazzaretti,
                                           Pi sò affari camminannu,
                                           Senti un sonu di trummetti,
                                           Senti leggiri un edittu
                                           Chi lu cori assai ci ha afflittu.

Questo canto è originario di Mezzojuso (Prov. Di Palermo) e fu dettato al Favara nel 1907 da Leonardo Ribaudo nato a Mezzojuso nel 1849 (il Ribaudo dettò al Favara sette canti in tutto). Lo troviamo sia nel Corpus, al n° 642 nel gruppo Canti religiosi, sia nel terzo volume "Canti della terra e del mare di Sicilia" (edito nel 1953 da Ricordi) a pagina 114, armonizzato da Ottavio Tiby. L'accompagnamento pianistico, che lo stesso tiby dà al pezzo, è veramente di una straordinaria intuizione modale. Laddove ogni altro musicista avrebbe, sicuramente, usato un accordo di tonica, sulle prime due battute della melodia (escludendo l'anacruisi), il Tiby, invece, passa dalla 7^ dim. sul 5° grado della scala Lidia.
Il pezzo, nella parre cantata, esce fuori dagli schemi musicali natalizi a cui siamo abituati, per poi rientrare, nel finale, con una Pastorale per violino che ci riporra, decisamente, al sapore natalizio delle più antiche tradizioni.
Il lavoro da me svolto per l'armonizzazione corale che segue, non modifica, assolutamente, l'armonia che il Tiby ha voluto inizialmente dare al pezzo; il rispetto, che nutro per questa soluzione armonica non mi ha consentito di manometterla con il rischio di rovinare l'intera melodia originale.

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NUVENA DI NATALI

                                           Ora veni lu picuraru
                                           E nun ha chi ci purtari

                                           Porta latti e enti la cisca
                                           Cascavaddi e tumma frisca

                                           Arrivisciti o matri mia
                                           Ca nu'semu a la campia.

                                           E ninna oh a ninna oh
                                           e lu me figghiu dormiri vò

Questa melodia appare, al n° 650 del Corpus fra i canti religiosi, con il titolo "Notti di Natali"; il Tiby, succesivamente ne fece un'armonizzazione per pianoforte, che si trova nel 3° volume dei "Canti della terra e del mare di Sicilia" a pag. 117, con il titolo "Novena di Natali". Il Favara venne in possesso di questo canto intorno al 1905 (forse nel mese di maggio) da un anonimo. Per quanto abbia ricercato tra fonti sufficientemente attendibili, non sono riuscito ad assegnare un nome a colui che ha dettato questo canto al Favara, anche se basandomi in riferimnto alla sua provenienza, ho potuto ipotizzare il nome di un cerro Calogero Bingo, nato a Caltanissetta nel 1874, che diede allo stesso Favara altri due canti anch'essi provenienti da Caltanissetta.
Anche in questo caso ho lasciato, deliberatamente, inalterata l'armonia creata dal Tiby, limitandomi a tradurla dal linguaggio pianistico al corale.
La struttura di questa melodia è Lidia con un ritmo Giambico e una battuta Tetica.
Com'è nella buona tradizione dei canti natalizi, questo pezzo risolve con una ninna nanna, un'aria classica della musica popolare siciliana.

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CANTO DELL'EPIFANIA

Li tre Re di l'Orienti,
Quannu 'ntisiru la nova
Ca nasciu lu Re putenti,
E nun sanno unni si trova
E si misiru 'ncamminu
p'attruvari a lu Bamminu.
Una stidda di lu celu
Chi facia lu gran splinnuri
Tra nuttati, friddu e gelu
p'attruvari a lu Signuri
Tra lu centru di lu 'nvernu
p'attruvari 'u verbu eternu.

Questa melodia si trova al n° 640 del Corpus sotto il titolo "Natale". Il Favara la raccolse a Palermo intorno al 1907 dalla voce di Emanuele Armaforte, di cui non si hanno notizie tranne che si trattava, a detta del Favara, di un professore di scuole secondarie. Questo canto fu pubblicato, inoltre, nel 1921 sotto il titolo di "Canto dell'Epifania", a pag. 85 del 2° volume della raccolta "Canti della terra e del mare", interamente armonizzato dallo stesso Favara con l'aggiunta di un bellissimo allegretto (Pastorale) per Ciaramedda e Cicchettu, certamente di provenienza sconosciuta. L'Armaforte riferì al Favara che questa melodia proveniva da Altofonte e che veniva cantata "la prima volta a solo, e la seconda volta da un coro di 10 o 12 contadini".
Nel Corpus, allegato al canto, vi è anche l'accompagnamento in 6/8 di Tammureddu che non rientra assolutamente nella struttura ritmica del pezzo in questione e che quindi, non potendo, questa "Tammuriddata", supportare ritmicamente l'andamento della melodia in questione, veniva certamente eseguita nell'intervallo fra la prima e la seconda strofa. Molto verosimilmente è questa la ragione per cui il Favara ha aggiunto, nell'edizione armonizzata del pezzo, la pastorale cui accennavo prima, in quanto compatibile con il ritmo giambico del Tammureddu.
Questo canto ha una struttura musicale Lidia, la misura iniziale Anacrusica e una ritmica Dattilico - Spondaica. Nell'armonizzare a quattro voci corali siffatta melodia, ho ritenuto opportuno lasciare quasi interamente inalterata l'armonia che lo stesso Favara ha dato al pezzo perchè la trovo così ricercata come meglio non si possa fare.

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PROCESSIONE DI LI VARICEDDI

Di l'arca di Noè,
Di l'arca triunfanti,
E Maria 'nmezzu li santi
'Ncelu si nn'acchianò.

E acchianoni           (coro maschile)
Di tutta la citta ti
Siti Vui Rigina bedda,
Siti Vui la palummedda
Di l'arca di Noè.

Di Noè            (coro maschile)
                                                      Sutta li vostri peri
                                                      Ci stà 'na mezzaluna,
                                                      Siti Rigina e patruna
                                                      Di tutta la città.

Questo è uno dei tanti canti che il Favara ha citato nella sua conferenza "Canti e leggende della Conca D'Oro" tenuta nel maggio del 1904 presso la sala Bernini di Roma. Il pezzo, come lo stesso studioso ci dice, non è altro che la glorificazione della Madonna Assunta attraverso un rito infantile tutt'oggi praticato in alcune zone dell'isola. Nel mese di agosto alcuni ragazzini portavano a spalla, in giro per le strade, delle piccole bare (variceddi) con sopra una piccola statua della Madonna e, come in una vera processione, cantavano queste strofe in onore dell'Assunta. Il Favara ha raccolto questo canto intorno al mese di maggio del 1903 da alcuni ragazzini che trasportavano in processione, appunto, "Canti della terra e del mare di Sicilia" armonizzato interamente dal Favara ed edito da Ricordi nel 1921. La struttura di questa melodia è Lidia con un ritmo prevalentemente Giambico ed una battuta Tetica.
Anche per il pezzo in questione mi sono limitato a sostituire con le quattro voci corali l'armonia per pianoforte scritta dallo stesso studioso, lasciando, in tal modo, inalterato, il sapore d'antico, staordinariamente popolare, che egli ha voluto imprimergli.

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CANTO DI BAMBINI DI MAGGIO

Di 'n Trapani passau Maria di Gesù,
'Ncoddu li marinara la purtaru,
Li munacheddi subito scinnero,
Lu velu e a Maria c'arrialaru.

'Ntinghi 'ntinghi la campanedda,
Vannu annannu li virgineddi,
Vannu annannu cu'Maria,
Vannu ricennu la litania.
Maria c'arrispunniu sutta lu velu
"Figghi vi biniricu e mi 'nni vaiu
E mi 'nni vaiu a li finestri 'celu,
Unni lu pararisu è tutto d'oru".

Ntinghi 'ntinghi la campanedda,
Vannu annannu li virgineddi,
Vannu annannu cu' Maria,
Vannu ricennu la litania.
                                           LITANIA PALERMITANA

                                           Bellu ciuri c'è a la funtana,
                                           Ni cugghonu 'nu mazziteddu,
                                           'U purtamo a la mmnma bedda,
                                           Mamma bedda di stu pittuzzu,
                                           Va alalò jìgghiu Gesuzzu,
                                           Iddu chianci ca lu voli,
                                           Bambineddu arrobba cori,
                                           'Ntinti 'ntinti la carnpanedda,
                                           Vannu annannu li virgineddi,
                                           Vanno annannu cu' Maria
                                           Vannu ricennu la litania

Questo canto si trova al n° 720 del Corpus, non fa parte del gruppo dei canti religiosi, bensì dei giochi. Non sono molte le notizie relative a tale melodia; si sa soltanto che proviene da Racalmuto e che, probabilmente, in origine veniva cantato dai pellegrini che si recavano in visita presso la Madonna di Trapani nel mese di Maggio.
Come spesso accade nella raccolta Favara, questo canto si divide in due parti completamente distinte fra di loro, sia per la struttura musicale sia per il ritmo. La prima parte ha una sequenza melodica, molto ampia, di Modo Lidio (molto simile ad una scala tonale maggiore), con una battuta iniziale Tetica e una metrica Dattilico - Spondaica; la seconda parte pur rimanendo sempre di stile Lidio assume una struttura Giambica sostituita di tanto in tanto col Tribaco.
Fa parte del pezzo una litania che, come si evince dal testo, il Favara chiama "Litania Palermitana" (parte di questo distico lo ritroviamo anche al n° 641 del gruppo canti religiosi). Dell'esecuzione di questa "Litania" il Favara non ci lascia alcuna notazione, ciò potrebbe indurci a pensare che tale esecuzione dovrebbe essere fatta sulle note della seconda parte del pezzo, oppure con la ripetizione dei versi della "Litania" come una cantilena cadenzata, come spesso fanno i bambini, quando recitano le poesie.
A mio avviso potrebbe essere adottato sia l'uno, sia l'altro sistema, dato che ciò non cambia molto la sostanza popolare del pezzo. Trattandosi di una esecuzione corale, ho preferito adottare ambedue i sistemi cercando di dare l'impronta di una filastrocca cadenzata e cantata. E' un canto bellissimo assai conosciuto, caratterizzato da una lirica profondamente suggestiva per i devoti trapanesi che hanno ben presente la storia della propria Madonna.

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CANTO RELIGIOSO

                                                Genti vui la chiù divota
                                                Vui ca siti a Diu chiù cari,

                                                Nun lassati chiù pinari
                                                'St' animuzzi in verità'.

                                                Comu gridanu sintiti,
                                                Comu chiancinu mischini,

                                                Fannu all'occhi du' lavini
                                                Dumannannu carità.

Pochissimo c'è da dire, storicamente, su questo splendido canto. Si sà che non fa parte della raccolta del Favara, ma che si trova al n° 15 del 4° volume "Canti della terra e del mare di Sicilia" edito da Ricordi nel 1957, volume, che insieme a 26 canti del 3°, è stato armonizzato da Ottavio Tiby, genero dello stesso Favara, anch'egli fine musicista ed etnomusicologo. Il Tiby, raccoglitore del canto, ci dice soltanto che la sua provenienza è Sortino (Provincia di Siracusa), ma non fa cenno alla persona da cui lo ha ricevuto.
Questa melodia è uan esortazione alla preghiera in favore delle anime del Purgatorio; perciò, come dice lo stesso Tiby, deve essere eseguito come una preghiera.
La sua struttura musicale è decisamente tonale e la sapiente armonizzazione per pianoforte, proposta dal Tiby, mi ha dato lo spunto per la stesura di una armonizzazione corale, che non modifica assolutamente lo spartito originale.

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MADONNA DI MEZZAGOSTO

                                                Lu quinnici d'austu
                                                E Maria ca 'ncelu torna,

                                                Amati virgineddi
                                                La santa purità.


                                                Truvai lu nidu
                                                Ci sunnu l'ova di l'onestà.

                                                Truvai lu nidu
                                                Ci sunnu l'ova di l'onestà.


                                                Chista è la nascita
                                                Chista è la nascita
                                                Chista è la nascita di l'onestà.

Nel luglio del 1905, a Palermo, il Favara raccolse anche questo canto dalla voce di Orazio Culotta.
La caratteristica principale del pezzo sta nella modulazione sul 5° grado con ritorno al modo originario (per esigenze di armonizzazione corale, nell'arrangiamento che segue, tale modulazione viene fatta sul 4° grado); ciò, nella musica popolare strumentale era un fatto ricorrente, mentre non lo era (eccezion fatta per alcuni rarissimi casi) nella musica cantata.
Così come è nella migliore tradizione modale, il canto si estende su sei note nelle prime quattro strofe, su cinque note nella prima modulazione e addirittura su quattro note nell'ultima strofa. La nota del modo viene toccata soltanto due volte in tutta l'estensione del canto.
Questa splendida melodia si trova al n° 635 del Corpus, nel gruppo dei canti religiosi, è originaria di Nicosia e veniva cantata da un coro femminile.
La struttura musicale di questo canto è ipofrigia (Iastica), ha una battuta Anacrusica con un ritmo prevalentemente Giambico, ad eccezione della terza parte dove prevale il Tribaco.
Di mia iniziativa ho voluto usare, come introduzione, una melodia proveniente da Montalbano d'Elicona, già esistente nello stesso Corpus al n° 619 del gruppo canti religiosi, mancante di testo, dal titolo Rosario (con la didascalia "Canto in coro di donne").

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ROSARIU

                                                Diu vi sarvi, Maria china di grazii,
                                                'U Signuri è cu' vui;
                                                Vui siti biniritta 'ntra li donni,
                                                E binirittu lu fruttu 'u vostru ventri Gesù.

                                                Santa Maria, matri di Diu,
                                                'Priati pi nui, li piaccaturi,
                                                Ora nell'ura a 'nostra morti
                                                E accussì sia!!!

Questo canto è uno splendido esempio, incontaminato, di struttura modale Ipolidia (Locria), ha una battuta anacrusica e si estende prevalentemente nella forma ritmica dattilico - spondaica.
Troviamo questa melodia, al n° 616 del Corpus ed è anche, armonizzata da Ottavio Tiby, a pagina 99 del 3° vol. "Canti della terra e del mare di Sicilia". Il pezzo è stato raccolto dal Favara intorno al 1905 a Zafferana Etnea (prov. di Catania) contrada Pisano, ma si canta anche a Montalbano D'Elicona.
Questa splendida Ave Maria in lingua siciliana è di una suggestione travolgente. Durante la sua esecuzione traspare tutta la devozionalità e l'intimo misticismo che il popolo siciliano ha sempre avuto nei confronti della "Matri di Diu".
L'armonizzazione corale che segue, riflette esattamente l'arrangiamento per pianoforte fatto dal Tiby, anche se personalmente sono convinto che l'esecuzione per coro sia di gran lunga più espressiva ed efficace di qualunque altro strumento.

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'RAZIONI DI SANTA MARINA

                                                Nnomu di Patri e Figghiu,
                                                Dunami 'razia di Santa Marina;
                                                Ca iu la storia vi cuntu d'un gigghiu,
                                                Miraculu di la 'razia divina.

                                                Nasciu Marina graziusamenti;
                                                Essennu picciula sò matri muriu;
                                                Sò patri a la sò spusa amaramenti
                                                Cu lacrimi di cori la chianciu.

                                                Marina!!! La cunsigna a sò parenti,
                                                E iddu 'nt'un cunventu si inni ju,
                                                Pi lassari lu munnu e li piccati,
                                                E serviri Gesù, summa buntati.

Una vecchia ricamatrice di Palermo, Francesca Camarda vedova Merlino detta "a zà Cicca", dettò, nell'agosto del 1903, questo canto al Favara. A testimonianza della vetustà del pezzo, la stessa zà Cicca dice: "Chista mancu nuddo 'a sapi". Nella tradizione popolare siciliana la leggenda di molti santi veniva cantata sotto il nome di "Razioni" e proprio questa, dedicata a Santa Marina, è stata illustrata con particolare attenzione nella conferenza "Canti e leggende della Conca d'Oro", tenuta dal Favara, come già detto, nel 1904 a Roma.
Su siffatta melodia, che si trova nel Corpus al n° 695, il grande etnomusicologo si esprime con toni di grande partecipazione emotiva, tanto da dedicarvi, cosa veramente unica, mezza pagina dello stesso Corpus.
Troviamo, inoltre, il canto, armonizzato per pianoforte dallo stesso studioso, nel 2° volume "Canti della terra e del mare di Sicilia" a pagina 79. L'armonia modale, creata su tale Ipofrigio, è di una bellezza rara e si presta, come non mai, ad una interpretazione corale piena e di grande spessore evocativo. Si può ancora dire che l'inizio, della melodia è anacrusico e che la sua ampia esecuzione è caratteristica di una struttura ritmica Dattilico - Spondaica.

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CANTU DI LU S.S. SACRAMENTU

                                                E lodamu ogni momentu
                                                Ma lu Santissimu o Sacramentu.

                                                E lodamu e sempre sia
                                                E la Purissima Matri Maria.

                                                E lodamu in ogni istanti
                                                Di Gesù lu cori amanti.

                                                E lodamu a tutti l'uri
                                                Lu nostru Diu lu prutitturi.

Questa melodia proviene da Troina e si trova al n° 614 del Corpus nel gruppo "Canti Religiosi". E' uno dei venti canti dettati al Favara da Orazio Culotta il quale dice: "Si canta appressu lu Sacramentu, quannu nesci pi la Cumunioni". La straordinaria somiglianza di questo pezzo con alcune cadenze gregoriane, in special modo con la cadenza conclusiva della cerimonia serale della benedizione, ci dà la certezza di quanto il popolo attingesse e modificasse, a proprio piacimento, tutto ciò che la musica, cosiddetta colta, gli propinava, modellando melodia e poesia secondo la più profonda e genuina anima popolare.
Il canto ha una struttura modale Ipofrigia (Iastica); dopo un inizio Anacrusico si estende con una metrica musicale Giambica, raramente sostituita in qualche sede dal Tribaco.
Questa melodia è un esempio di grande devozione popolare coniugata con un'assoluta libertà di espressione religiosa.

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RAZIONI DI SAN STANSILLAU (Palermo)

                                                Si maravigghia e si maravigghiau!
                                                Di tririci anni la tonica pigghiau!
                                                *Partiti figghiu, tu parti cuntenti;
                                                *E nun pinsari nè amici, nè parenti,
                                                *Tu pensa a Gesù ma Unnipotenti,
                                                *Stu munnu è vanu e 'un guarisci nenti. (*)

                                                Partiu lu Santu e a Tunisi arrivau,
                                                E di Gesù la tonica pigghiau;
                                                E a Jnnaru malatu si curcau,
                                                E a Frivaru all'autra vita passau.
                                                E la littra a la matri arrivau,
                                                Altura dissi: "Me figghiu muriu!"

Anche questo canto fa parte della raccolta di Alberto FAVARA. La nostra versione musicale è la risultante di due canti raccolti dal Favara nel 1905, dalla viva voce di Francesca CAMARDA, detta "La Cicca surda" e dal violinista cieco SOTTILE, di Palermo.
C'è da dire che uno dei due canti è armonizzato nel 1° volume della raccolta: "Canti della terra e del mare".
Gli esecutori dicevano del canto che era molto antico e che loro lo avevano imparato dalle loro nonne.
Il canto ha una struttura musicale "dorica" ed un'armonizzazione modale.
Dalla conferenza "CANTI E LEGGENDE DELLA CONCA D'ORO" del Favara, l'autore dice di questo canto:
Questa è la sola melodia del genere che ho potuto ritrovare intera ed organica, forse perchè oggettivata in una leggenda cristiana. "Razioni di San Stansillau (o Stanislau) è la leggenda di un giovane che rinuncia alla vita, per viverla in Gesù, o meglio morire in LUI, via da questa terra, dove tutto è dolore".

Corpus di musiche popolari Siciliane: nn. 682-683
Vol. l° - Canti della terra e del mare - pag. 110
(in questo Volume l° è armonizzato il canto n. 683)

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pagina a cura di    Gigante Lorenzo Maurizio    per "Coro Città di Trapani"

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