Salvatore Costanza


la copertina del libro

la copertina


© Copyright 1989
Arti Grafiche Corrao



via Valenza, 31
Trapani
Finito di stampare
nel settembre 1989



Ringrazio l'amico
Vito Accardo
per avermi portato
alla conoscenza
di questo libro



Questa ricerca storica riproduce, con ampliamenti e integrazioni, l'omonimo studio pubblicato nel fascicolo speciale dei «Nuovi quaderni del meridione» dedicato alla rivoluzione palermitana del settembre 1866 (n. 16, ottobre/dicembre 1966, pp. 419-38).





Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

LA PATRIA ARMATA di Salvatore Costanza


successiva

Presentazione

(fig) Luigi Lo Jacono, Briganti e bersaglieri frontespizio

Salvatore Costanza mi ha chiesto di presentare questo suo lavoro, cosa che faccio con vivo piacere, almeno per tre motivi. Anzitutto perché è un bel libro, che «si presenta» da sé, e che non ha quindi bisogno di un lungo preambolo. Poi per la lunga amicizia che ci lega, dai tempi lontani della rivista «Movimento operaio», della quale Costanza fu collaboratore prezioso, dimostrando fin da giovane la sua passione per la ricerca storica fondata su di un forte impegno morale e civile. Ed infine perché il volume ha per oggetto Castellammare del Golfo, un centro al quale mi legano motivi affettivi, perché mio nonno paterno - si chiamava Francesco Di Bona - era castellammarese puro sangue, e in quel centro visse a lungo, esercitando per trenta anni il duro mestiere del cabotaggio, sul quale si soffermano alcune pagine preziose di Costanza.
Il motivo ispiratore dell'opera è la rivolta verificatasi a Castellammare nei primi giorni del gennaio 1862 contro i «cutrara», termine che sta ad indicare quel sottile strato di notabili, di abbienti e di arricchiti che, secondo il fondato giudizio collettivo dei popolani, si erano divisi la cutra (la coperta), impadronendosi sia delle leve del potere amministrativo locale, sia della «roba», dalla terra degli ex feudi e dei demani ai gangli della vita economica.
All'origine del movimento fu non soltanto il rancore accumulato contro i «cutrara», ma anche l'ostilità popolare alla leva, introdotta dallo Stato unitario, che portava via dalle loro case e dalle loro famiglie per cinque anni i giovani, una forza-lavoro spesso indispensabile per la sopravvivenza del nucleo familiare. E questa ostilità era accentuata dal fatto che il peso del servizio militare veniva a cadere quasi esclusivamente sui poveri e sugli umili, dal momento che il meccanismo classista e discriminatorio della legge permetteva ai benestanti di ottenere la liberazione dalla leva facendosi sostituire, versando una somma elevata che non era alla portata dei piti, da un supplente, il cosiddetto «surrogato».
N el circondario di Alcamo nel 1861 furono cosi assai pi ti numerosi i giovani renitenti di quelli che si presentarono; la maggior parte della gioventti obbligata al servizio militare preferi prendere la via delle campagne e dei boschi, aggregandosi in bande. E furono proprio i componenti di queste bande che, in numero di circa 400, il capodanno del 1862 invasero Castellammare, assalendo le case dei ricchi, uccidendo alcuni membri delle famiglie dei «cutrara» piti invisi e prevalendo sulla forza pubblica, fino all'arrivo di consistenti reparti militari che ristabilirono l' «ordine» facendo in qualche caso giustizia sommaria: una giustizia che non risparmiò nemmeno le donne.
Costanza lumeggia l'evento con una acuta analisi che utilizza fonti sinora inesplorate che gli permettono, tra l'altro, di contestare validamente l'interpretazione «patriottica» coeva che leggeva in quei fatti la ispirazione e la mano dei legittimisti borbonici. In realtà quello di Castellammare fu un movimento spontaneo, un «mob», in cui si innestavano l'insofferenza della leva e l'odio contro i nuclei di borghesia emergente, tesa con tutti i mezzi possibili alla propria legittimazione sociale ed economica a spese dei ceti popolari, con l'uso di forme di violenza e di strutture di controllo di tipo mafioso. Ed è proprio nella ricostruzione - intelligentemente analitica - del formarsi dei gruppi di notabili e di borghesi, perseguita con un ricorso sistematico ai documenti notarili e catastali, che Costanza raggiunge risultati storiografici di valore nazionale. Il suo libro è quindi un esempio pienamente riuscito e realizzato di storia sociale, che supera l'ambito di partenza locale per dare un apporto sostanziale alla ricostruzione della genesi e dell'affermarsi della borghesia isolana e alla delineazione di quel ribellismo contadino che connotò largamente l'Ottocento italiano in seguito all'estraneazione dei ceti rurali e delle campagne dai processi che portarono alla costruzione dello Stato unitario.
Il distacco delle masse rurali dalla causa nazionale e poi dalla vita politica del giovane Stato italiano ha cause complesse, che affondano le radici nella storia secolare del paese: la subaltemità della campagna rispetto alla città, la funzione di conservazione sociale svolta nei contadi dalla Chiesa e dal clero, lo sfruttamento assiduo dei contadini da parte dei proprietari.
E questa estraneità fu al centro delle riflessioni avviate sulla rivoluzione nazionale da Ippolito Nievo nel 1860, poco prima della sua prematura scomparsa nel corso della liberazione del Mezzogiorno.
Nievo, che sul piano ideologico era un liberaI-moderato, fu uno degli uomini che meglio comprese la gravità del problema contadino, soffermandosi in queste sue pagine sull'esistenza nel corpo della «nazione» della profonda frattura tra città e campagna: «Si - scriveva - il popolo illetterato delle campagne abborre da noi, popolo addottrinato delle città italiane, perché la nostra storia gli vieta quell'assetto economico che risponde presso molte altre nazioni ai suoi piu stretti bisogni. Esso diffida di noi perché ci vede solo vestiti coll'autorità del padrone, armati di diritti eccedenti, irragionevoli...
Non crede a noi perché avvezzo ad udire dalle nostre bocche accuse di malizia, di rapacia che la sua coscienza sa essere false ed ingiuste...
Vergogna per la nazione piu esclusivamente agricola di tutta Europa ch'ella abbia formulato contro la parte piu vitale di se stessa il codice piu ingiusto, la satira piu violenta che si possa immaginare dal malvagio talento d'un nemico».
In conclusione, Costanza ci ha dato un'opera documentata e pensata, una ricostruzione storica viva e suggestiva, alla quale auguriamo il largo successo di pubblico che essa merita.

Milano, 30 aprile 1989

FRANCO DELLA PERUTA


successiva












E-mail e-mail - redazione@trapaninostra.it