Salvatore Costanza


la copertina del libro

la copertina


© Copyright 1989
Arti Grafiche Corrao



via Valenza, 31
Trapani
Finito di stampare
nel settembre 1989



Ringrazio l'amico
Vito Accardo
per avermi portato
alla conoscenza
di questo libro



Questa ricerca storica riproduce, con ampliamenti e integrazioni, l'omonimo studio pubblicato nel fascicolo speciale dei «Nuovi quaderni del meridione» dedicato alla rivoluzione palermitana del settembre 1866 (n. 16, ottobre/dicembre 1966, pp. 419-38).





Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

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PROSPETTI RIASSUNTIVI DEL CATASTO DI CASTELLAMMARE (1842-44)


SPIRITO PUBBLICO E FAZIONI MUNICIPALI


Rapporto del comandante della colonna mobile, capitano Almeida, al principe di Satriano, N. 374 (AST, FI, Polizia, Corrispondenza. 1849-53).

Castellamare 13 sett.e 1849


Eccellenza

In questo paese il motore principale de' sconcerti, dissubidienza alle Leggi, insubordinazione, ed assassinì, è il voler essere a capo di un'amministrazione comunale, e dispotizzare.
Prima dello sconvolgimento della Sicilia reggevano qui la somma delle cose il Cancelliere Comunale D. Andrea De Blasi e lo estinto Sotto Capo D. Giuseppe Marcantonio.
Il primo Cancelliere, e Notaro, richiamava cosi gli affari tutti a sé, ed il matrimonio non si effettui va, né si riceveva il favore del Comune, se non pel di lui mezzo.
Il Marcantonio lusingava con la di lui attitudine le Autorità, perseguitava quel ladro che non le conveniva, ed intanto Forno pubblico, fabbrica di pasta, gabelle, a sé, e la popolazione dovea mangiare e pagare a di costui talento, e tenevano come seguaci:
Il Sacerdote Palermo
D. Procopio Carollo
D. Mariano Di Giorgi
Giuseppe Bologna, i di costui figli sono ladri protetti.
Sorgeva il partito di opposizione, che reclamava con verità, e con menzogna, ma priva, per essere schiacciato, perché il Sindaco doveva dipendere dal Cancelliere, il Giudice dal congresso del glubbo amministrativo, quale ligato in mercimonio con gl'impiegati d'Intendenza, e Procura generale, trionfavano.
Gli emissari rivoluzionari, la giovane Italia, trovavano subito asilo negli oppositori:
D. Giuseppe Marcantonio Plaja
D. Francesco Borruso
D. Simone Rigio, quali avevano per seguaci i fratelli Galante,
La famiglia Zangara
Il prete Mangiarotti.
Presentato si il momento opportuno di sfogare la di loro vendetta, e trovando la popolazione che già additava come connessori il Cancelliere ed il Sotto Capo; cosi con la veste di liberale i primi, e l'imputazione di realismo ne' secondi, si commettevano gli eccessi d'incendi e di assassini.
Sfrenato il popolaccio, ed armatosi, e primeggiando i ladri mettevano a capo la famiglia Ferrantelli uomini villici, armiggeri, e ladri di abigeato e di componenta, ed il maggiore di essi per nome Gioacchino prendeva il comando degli armati, e quantunque inalfabeta diveniva Maggiore, e Comandante la guardia Nazionale, quale ebbe l'avvedutezza proteggere i furti che si commettevano fuori il Comune, che lo han reso mediocremente comodo, impedire quegli che si volevano tentare nel paese stesso, e divenne interpositore delle violenze del Comitato, e potere civico, e delle vendette private, che finir di esercitar si volevano, e salvava la vita al Sotto Capo, Cancelliere, ecc.
Il paese si dichiarava obbligato al Ferrantelli, e lo attestava, come dal documento che si alliga.
Riconquistata la Sicilia, Castellammare è stato il paese che piu tardi di tutti ogn'altro Comune avea cambiato il nome, e gl'individui della rappresentazione rivoluzionaria, quali come cani arrabiati cercavano tuttavia influire, e tener distratti gli animi della popolazione.
l richiamati al potere avrebbero voluto vendetta di sangue, ma il coraggio ed il partito non gli assisteva, quindi scambievolmente voleva ognuno conseguire lo intento col reclamo, con le calunnie e lo assassinio.
I buoni e sempre timidi cittadini, atterriti, avviliti, rannicchiati nel recinto delle loro abitazioni abbandonato aveano le proprietà, le sostanze ed il commercio.
Questo era il quadro disgraziato di questo paese quando l'E. V. con l'alta sua mente, e provvide misure, provvedeva come la manna agli Ebrei, e spediva qui la Colonna mobile, di cui venivo onorato, e giungeva nel punto culminato in cui il Sotto Capo, che trovavasi non perfettamente appreso presso l'Intendente, volea farsi merito e contribuire allo arresto di uno de' famigerati ladri Melchiorre Valente, ch'erasi rifuggiato ai Fraginisi, e nel conflitto ferito e morto due giorni dopo; circostanza che avrebbe di molto contribuito a far alzare vieppiu la testa agli avventati.
Mi presentavo di sorpresa, circuivo il paese, vietavo le sortite, mi mostrava ostile, facevo da dodeci partite eseguire rigorosamente le visite domiciliarii, ed arrestavo quegli come dicevo col mio foglio N. 355, ma la mancanza di numero di persone di fiducia, conoscitori del personale facevan si che molti evadevano, e mi mettevano nella bisogna di chiedere gli stati degli assenti dal comune, e di loro giustificazioni, e siccome si minacciava di riunirsi in comitiva, e di assembrarsi ne' Fraginisi luogo a 6 miglia distante da qui, della piu bella proprietà di questo Comune, e di delizie, seminato di Casini, cosi mi portava quivi, di salto, la notte degli 11, ed all'alba del 12 davo ivi una battuta generale a quelle campagne, si per arrestare quegli che avrebbero potuto imbattere nella rete tesa, che per disturbarne il pensiere, ed atturarli, ed un solo se ne arrestava disarmato quale dichiarava essersi gli altri col favore della notte allontanati.
Rientrato qui facevo affigere il notamento degli assenti, avvisando che chi non si presentava, o non giustificava l'assenza nel corso di ore 18, si sarebbe proceduto per la lista preparatoria del fuoribando; ciò ha ottenuto i suoi felici risultamenti, che fino al momento ore l8 Italiane, perché deve partire la posta, se ne sono presentati in N. «...», oltre a Gioacchino Ferrantelli, fratello Antonio e figli, che sono stati per i primi a presentarsi, di gran esempio per gli altri non solo, ma han promesso di rendere degli utili servizi, come dirò in altro rapporto N.375.
Ho ordinato che una commissione composta dal Regio Giudice, Capo Urbano, 1° e 2° Eletto già riunita classificassero in tre categorie i ladri di l°, 2° e 3° rango, onde potersi dare il piu equamente possibile le misure di provvidenza, in modo sempre di non rappresentare violento, né debole l'operato del Real Governo; riassicurare nel tempo istesso gli animi completamente abbattuti de' pacifici cittadini quali cominciarono a respirare l'aere della salvezza delle vite, del riacquisto delle proprietà e della pace domestica all'ombra delle leggi, e benedicono a voce piena le cure ed i sudori che l'E. V. spende a di loro prò, e qui si ripete e si dice il Re Ferdinando 2° è sempre nostro padre.
Non manco sempre mettermi di accordo con questo funzionante Sott'Intendente Sr Guarraschelli, quale sempre piu pieno di zelo ed attività si coopera perfettamente, e cerca a tutt'uomo rendere servizj al Re (N.S.); deggio dire pure che questo Regio Giudice D. Gioacchino De Naro, mostrandosi zelante ed intelligente, cerca cooperarsi anche egli alla buona riuscita di questo pubblico ordinamento.

***
Rapporto del comandante della colonna mobile, capitano Almeida, al principe di Satriano, N. 375 (Ivi).
Castellammare li 13 Sett.e 1849
Eccellenza
Come promettevo a V. E. con l'altro mio foglio di pari data N. 374 ho l'onore sommetterle.
Me1chiorre Valente uomo sanguinario, coperto di misfatti e nequizie, famiggerato ladro, uccisore di questo Sotto Capo Urbano D. Giuseppe Marcantonio, corre latitante per questi monti, né conosco ancora chi abbia potuto riunirsi ad egli; arrestarlo sarebbe della massima importanza, e non facile il riuscire, e sollecitamente come desidererei.
Il disarmo di questo paese ha avuto risultamento simile a quello degli altri Comuni, che seguendo il sistema generale hanno sotterrato in campagna le di loro armi, quindi niente facile il rinvenirle, ed anche che qualcheduno con promesse facesse qualche denunzia, niente si rinviene, come ho sperimentato jeri, ed anche rinvenendole fuori il domicilio che vantaggio otterrebbe la giustizia? veruno. Intanto occorre disarmarlo, ed è necessario industriarsi altrimenti. Rinvenutosi il ruolo della guardia Nazionale ove si leggono N. 389 nomi, e presasi contezza, si ritiene che quattro quinti erano armati, meno quegli che fan parte della Guardia Urbana, ed i permessati, un 200 fucili dovrebbero essere sepelliti, ed occorrerebbe averli in ogni modo.
Presentatisi a me i Ferrantelli, e consegnate le armi che tenevano con patente di Urbani, freddamente li ho ingiunto a partire a domicilio forzoso per tre mesi in Ustica; mostrati si ubbidienti, han dichiarato che pentiti, e convinti de' di loro mancamenti commessi, avrebbero voluto rendere de' servizj, purché si fossero presi in considerazione, e sonosi offerti.
Primo: Arrestare Melchiorre Valente, che sarebbero i soli, che potrebbero piu facilmente conseguirlo, sia per la conoscenza de' luoghi, che per la fiducia che quegli dovrebbe tenere in essi; ma han chiesto impunità, che se dovesse avverarsi conflitto non risponderne se lo ammazzassero. Ed io vi ho convenuto perché perdere Valente, od uno de' Ferrantelli, è sempre ottima cosa, e domando l'autorizzazione di V. E. onde potersi il Valente scriversi francamente sulla lista di fuoribando.
Secondo: I Ferrantelli si compromettono girare essi per tutti quegli che conoscono tenere le armi conservate, e persuaderli a disotterrarle e consegnarle al Comune in silenzio, minacciandoli in inadempimento di denunziarli; ho accettato anche questa seconda parte con darle 48 ore di tempo in cui tacitamente permetterò che si portassero al Comune armi di qualunque natura esse siano, ed avendo riarmati provvisoriamente i Ferrantelli quali hanno moltissima influenza ne' contadini e nel popolo, e sono vigili, ed in attenzione del risultamento «...»

***
Rapporto del comandante della colonna mobile, capitano Almeida, al principe di Satriano, N. 430 (Ivi).
Castellammare 23 settembre 1849
Eccellenza
Ero assordato dal pubblico clamore, tutti mi gridavano innanzi acqua. Diecimila abitanti che dovevano abbeverarsi, cuocere il cibo, e nettezza con cinque penne d'acqua.
Imprecazioni, brighe a causa de' disordini familiari: una lurida fonte ove occorreva tenervi una guardia, giacché una libbra d'acqua era una quistione.
La popolazione mi rinfacciava che V.E. aveva mandato per giustizia, ma ch'io non ne faceva, che l'acqua vi era ed io non ne prendevo contezza.
Vero il fatto, il torto era mio. L'acqua esisteva, la Comune aveva spesa 9000 ducati per portarla al paese, una mano rapace e la inerzia amministrativa faceva commettere la piu turpe delle frodi a carico di una popolazione, dell'or­dine pubblico, della giustizia e decorosità del Governo e suo rappresentante.
A due miglia circa dal paese al luogo detto Pozzillo sin dal 1790 erasi costruito un condotto reale che riunendo in una cinta varie sorgive, e che per condotti diversi si portavano in Castellammare circa 30 penne d'acqua potabile, e per tanto effettuirsi la Comune avea speso D.ti 9000.
Il condotto reale passava per mezzo al fondo della famiglia Marcantonio che con impudenza senza pari ostruisce il condotto al di là della di lui casa di campagna, eseguisce un taglio nella parte superiore del condotto, e si serve delle acque per inaffiamento de' di lui giardini, formandovi in una delle bocche di luce un pozzo, e del quale vendeva per un grano a coppi della quartara, e se ne aveva formata ancora un oggetto di specolazione, in modo che gli abitanti dovevano pagare l'animale da basto e l'acqua se non volevano perire.
Nel 1826 un Sindaco pietoso pensava per un momento far rimettere la cosa nel punto in cui conveniva ed appena apriva bocca che una sentenza fulminava di distruggersi subito la piu menoma ombra di usurpazione, e render­si libere nel corso le acque a questo Comune tutte sue, tutte proprie, e che per abbeverarsi la popolazione erasi speso D.ti 9000.
Assicurato io della esistenza de' fatti come la luce del giorno, e dopo di aver ocularmente verificato il tutto, ho ingiunto riunirsi una commissione composta come appresso:
Io
Il ff. Sig.r Sotto Intendente
Sig.r D. Gioacchino Denaro Giudice Regio
Sig.r D. Gaetano D'Anna Sindaco
Sig.r D. Pietro Lombardo 1° Eletto
Sig.r D. Francesco Barraco 2° Eletto
Sig.r D. Francesco Albertini Decurione
Sig.r D. Gaetano Fundarò Idem
Sig.r D. Sebastiano Domingo Id.
Sig.r Giuseppe Navarra Id.
D. Gaspare Nicotri Agrimensore
Capo mastro muratore Vincenzo Filippazzo
Idem id. Gaspare Fugardi
Dottore in medicina Comunale D. Leonardo Calandra
Id id id D. Pietro Galante
Ed invitate la famiglia Marcantonio e suo Avvocato, ci siamo recati tutti sopra luogo, e visto
La identità della esistenza della proprietà comunale.
Vista la usurpazione commessasi a danno di lO 000 abitanti.
Visto che le parti usurpatrici stesse si vergognavano di quistionare, e dichiaravano essere convinti e rei.
Vista la sentenza che la Comune doveva prendere possesso de' suoi dritti. Vista la urgenza imperiosa di dissetare questa popolazione.
Visto che altro non mancava che la rappresentanza del braccio forte per eseguire la legge ed il dritto nella sua estensione.
Ho immantinenti, e dietro l'unanimo consenso della sopracitata commis­sione, fatto abbattere tutti gli ostacoli che impedivano il libero corso delle acque in quistione.
Però non si è potuto avere la soddisfazione di vedere quelle acque tanto desiderate correre e rinfrescare le ardenti fauci di questa popolazione, poiché la mano malefica aveva devastati molti condotti che dovevano raccogliere le acque summenzionate; ma questo zelante Sindaco, provvido Sotto Intendente al momento han fatto mettere mano a tutti i lavori necessarì, e si spera tra giorni vedere appagata la brama di questa popolazione che attende le acque come gli Ebrei nel deserto.
Il Cap.no dello Stato Maggiore Comand.te la Colonna Mobile

***
Nota informativa del giudice regio di Favignana all'Intendente di Trapani. Oggetto: Sorpresa di una lettera (Ivi, Affari diversi. 1850).
Favignana li 22 Febbraro 1850
Signore
Ieri dopo pranzo veniva io colpito dalla fisonomia di un individuo, che seppi di non ingannarmi, quando intesi, che chiamavasi Francesco Lombardo da Salemi, ex rilegato di questa isola, dall'epoca in poi della voltura del 1848. Chiamatolo, mi diceva esser venuto per estrarsi talune fedi. Lo tenni d'occhio, e mi avvidi che fu di costui cura introdursi nel carcere e conferire col celebre Galera. Allora incaricai il fedelissimo Caporonda Camillo Ania, onde indagare con destrezza l'oggetto della conferenza, ed il Galera manifestò, che aveva per mezzo di d° Lombardo ricevuta da coteste prigioni centrali la tangente della camorra in tari due e grana 12 siciliane. Chiamato il carceriere, ed avendolo chiesto del come si fosse introdotto colui, legittimossi, che profittò di trovare aperta la porta d'ingresso nel cortile di queste carceri, mentre egli entrato era nella sua stanza, e che avvistosene, se ne dolse col Galera, da cui ne riportò ingiurie e minacce.
Liquidato da me per vero questo fatto, ho disposto che il Galera fosse passato a camera serrata, ed il Caporonda, di fargli addosso una diligente perquisizione. Bello fu il mio pensiero, perché dal fedelissimo Caporonda ripeto, gli si rinvenne una lettera portata dal Lombardo, antico camorrista, e che reputo importantissima. Subito ho disposto, che il Lombardo venisse del pari assicurato, finché non si sviluppasse l'oggetto delle parole, che per me hanno gravissimo significato, e che non possono colorirsi in senso diverso da quello, di attendere qualche gran novità.
Si rende adunque interessante, che Galera, ed il Capo di cotesti camorristi dichiarino a quale oggetto mirano, le notizie certe di che il secondo dava lieta novella al primo, assolutamente, da questo fatto, per me irresipiscibile e peri­coloso.
Le indirizzo originalmente la lettera, dalla quale vedrà, che per posdata sono scritte le parole arcane, circostanza che dà maggior risalto all'occhio di un uomo veggente. Si uniscano i fatti precedenti, l'indole del Galera, colui che gli scrive, il luogo da dove si scrive, il contenuto di ciò che si è scritto, e da lei, e dal Real Governo non potrà non tirarsi la conseguenza, o venirsi alla necessità di misure confacenti alla bisogna.
Intanto le sommetto, che ho escarcerato il Lombardo, per essersi presen­tato un fidejussore, che ne risponde, come dall'annessa copia legale di atto d'obbligo sotto pena di ducati 30 in caso di non consegna ad ogni ordine di Polizia, e che non mi pare il caso di escarcerare il Galera, anzi di allontanarlo da una relazione cosi vicina a cotesta vicheria, per tagliare una volta quelle comunicazioni, che tanto riescono dannose nell'interesse dell'Ordine.
La prego infine a favorirmi di accusarmi ricezione delle due carte, ossia della lettera e del verbale di cauzione. Serva tutto l'anzi detto per superiore di lei norma, e per adempimento costante del mio dovere.
Il Giud.e Regio Vincenzo Pergola

***

Rapporto «riservatissimo» del giudice regio di Castellammare all'Inten­dente della Provincia. Oggetto: Stato morale di Castellammare e provvedimenti che si richiedono (Ivi, Corrispondenza, 1850).
Castellammare li 4 Sett.e 1850
Signore
Preposto, sono ornai otto mesi, ad amministrare giustizia in questo Comu­ne, erami riuscito, tracciando le vie della prudenza e della fortezza, a restituire la calma a questi abitanti, già per lungo tempo tra vagliati dal furore delle parti e dalle gare le piu accanite dello spirito di famiglia. Godeva a me l'animo in vedere le persone civili del paese riunirsi nel Casino di Compagnia, ove un piacevole conversare rendea piu miti gli animi, e facea dimettere quei sdegni, a cui era mestieri porre fine e riposo. Tacevano una volta le ire, né di Castellammare si narravano quelle tante vergogne, che altra volta aveano infastidito le Autorità Superiori della Provincia, e stancato sin'anco l'inesauribile saggezza del Governo.
Cosi duravano per otto mesi le cose di questo Circondario, se non che taluni esseri malefici, nutriti sempre di odj e di sdegni, ed ai quali è un elemento necessario lo stare tra la divisione ed i partiti, han posto ogni studio per turbare il bel sereno di quella pace, che fin 'oggi si è qui goduta. Parlo dei noti D. Giovan Battista San Giorgio e D. Santi Carollo. Stato il primo Capo Urbano e poi Vicecapo, e per le sue turpezze esonerato dall'uno e dall'altro ufficio, non sa tranguggiare lo stato di nullità, in cui veniva ridotto, e per uscirne è ricorso ad ogni arte subdola, ed anco a mene e macchinazioni le piu indegne. Quei posti di Capo e Vicecapo gli disturbavano i sonni; l'uno o l'altro formano la meta de' suoi desiderj, e mentre il Governo di fresco lo rimovea dal posto di Vicecapo, si è sforzato di trarre me alle sue voglie, portando vana lusinga, che io lo proponessi come necessario a quel posto, e come unico che lo potesse disimpegnare. Ripeto, vana lusinga. L'Ufficio di Capo o Vicecapo nelle mani di San Giorgio diventa un strumento di private vendette, un adito a lorde speculazioni, una chiave che mena a nuove scissure di partiti e di fazioni. I proggetti adunque del San Giorgio vanno a rompere in faccia alla mia fermezza, ed io sto saldo nel proponimento di non secondare un'ambizione cotanto ributtante. Ma San Giorgio non sa acquietarsi, e facendo suo prò del carattere troppo facile del Carollo, che ne seconda gli ambiziosi disegni, si studia di spargere lo allarme in ogni rincontro del piu lieve momento. Ogni piccolo fatto è per loro un avvenimento, e quando giorni sono succedeva rissa di lieve rimarco, si è detto da Carollo che omai non si sentiva piu rispetto per la legge, e che i rissanti credevano ritornati i tempi del quarantotto. In siffatto modo operando, inten­dono provare che senza di loro la giustizia è malferma, e che con essi soltanto può acquistare forza e vigore.
Essi però s'ingannano a partito. Gli autori della rissa comunque non la denunziassero, e non avesse la stessa prodotto delle conseguenze, furon da me posti agli arresti; e qui la giustizia, sia in linea di prevenzione, sia in quella di repressione, non ha giammai perduto le sue piu belle prerogative, quelle cioé della fortezza e della imparzialità.
Tutto questo però non mira a provare che il Capo ed il Vicecapo di Castellammare pienamente consonassero alle mie vedute ed ai miei incessanti desiderj. Convengo che sarebbe consiglio improvvido esonerare il Capo Sig.r AIbertini, qui necessario perché disimpacciato da studio di parte, e scevro da basse e riprovate passioni, ma la di lui poca attitudine fa sperimentare grande il bisogno di un Vice capo che efficacemente lo coadjuvasse. D. Giuseppe Lombardo Borruso, chiamato non è guari a questo ufficio, ha deluso l'aspetta­zione e tradite le speranze che sul di lui conto si concepivano. Poco curante del carico affidatogli, e poco avverso alle persone di ambigua condotta, non seconda le mire della giustizia, che in questa si amministra. È necessario dunque che venisse surrogato da altri che piu fido e piu solerte si dimostrasse.
Né qui si arrestano le ambizioni sfrenate, gli aggiramenti e le coverte vie.
Se San Giorgio e Carollo agognano ai posti di Capo e Vicecapo, talun altro, e precisamente questo D. Mariano di Giorgio (di cui non vi ha pari in falsità di carattere e depravazione di core), è forte martellato dall'ansia di occupare il posto di Supplente. Di Giorgio adunque contro il Supplente Mangiarotti dirigge i suoi colpi, e forse di liberalismo lo va notando. Insomma la calunnia adotta lingue diverse, e mentre Mangiarotti è un individuo attaccato all'ordine, e sente tutta la forza de' proprj doveri, vuoi si denigrare facendo uso delle armi che la calunnia e l'invidia apprestano di accordo.
Per ultimo a rendere piu completo il mio rapporto è mestieri che io trattassi di una classe di persone non meno pericolose delle mentovate, e sul di cui conto si rende indispensabile che si adottassero misure governative e di rigore. Parlo. qui di taluni rivoluzionarj che non solo non amano correggersi, ma che tuttora vagheggiano strane e pazze idee di libertà e di eguaglianza. Primi e piu perniciosi tra costoro sono i famosi Abate D. Ignazio Galante e il Dr. D. Simone Riggio. lo non valgo a dipingere con veri e giusti pennelli le tante immoralità del primo e le improntitudini del secondo. La virtu, la Religione, la legge, il buon costume sono per l'Abate Galanti oggetti tutti di umana convenzione, e quindi variabili a seconda i luoghi, i tempi ed i bisogni dell'uomo. Dopo i giorni dell'anarchia, il suo nome è proferito siccome quello di un genio malefico, ed a lui si attribuiscono i molti danni ond'era Castellammare fieramente disastrato. Né oggi può dirsi migliore di prima, avvegnacché vive tuttora impacciato in amorosi rapporti con donna nota per antiche e recenti libidini, e le di lui simpatie sono tutte per gli amatori del disordine e dell'anarchia. Ciò non ostante quest'Essere perniciosissimo è Precettore della scuola secondaria di questo Comune.
Le avventatagini del Rigio, sono poi note al Governo. Una processura lo tiene in prigione per ingiurie inferite al ritratto del Re nostro Signore, e sebbene gravi ragioni fanno dubitare della verità di questo fatto (per come conoscerà dagli atti compilati) pure è ben certo che il Riggio in privati discorsi prorompeva dicendo: che se ne fotteva di Dio e di Ferdinando. Simili bestemmie addimostra­no quale reo animo e quali principj portasse il Riggio.
Riggio e l'Abbate Galanti vivono entrambi di speranze colpevoli, e me ne convince il vederli tristi, quando apprendono la solidità ed energia del nostro Real Governo, e come tutto cospira a consolidare maggiormente l'ordine e la pace di cui godiamo.
A costoro tien dietro il Chirurgo D. Leonardo Calandra. Anch'egli si pasce di strane utopie, ed è poco amico all'attuale ordine di cose.
Tale si presenta lo stato morale del Paese, ed è ben giusto che venisse purgato con delle forzose residenze e dagli ambiziosi che lo disturbano creando fieri partiti ed allarmi, e dai liberali che non amano correggersi e rassegnarsi al migliore dei governi.
Il R.° Giudice Leonardo Gullo

***

Rapporto del giudice regio di Castellammare al direttore del dipartimento di polizia in Palermo (ASP, ML, Polizia, Affari diversi. Alcamo, b. 1505, filza 48).
Castellammare 20 Aprile 1860
Signore
Spenti oramai i torbidi che per piti giorni afflissero questa Comune, adempio al dovere di rassegnarle tutti i fatti che occorsero in quel calamitoso periodo.
La sera del 4 andante giungeva in questa la novella di una insurrezione scoppiata in codesta, ed una ben intesa apprensione invadeva gli animi di tutti questi civili che sin da remoti tempi per odii inveterati trovavansi scissi in partiti. Mi diedi io allora ad esortare buoni e tristi, perché dimenticato il passato si fossero tutti compatti con me uniti per lo mantenimento dell'ordine. Tutto procedeva tranquillamente, quando la notte del 5 giungeva in questa una banda armata di Alcamo ad oggetto di sconvolgere l'ordine, e mi riusciva di farla respmgere.
Epperò il dopo pranzo del 6, mentr'io mi trovavo a pranzo con la mia famiglia nella Casa del Giudicato ove abito, mi vidi sorpreso da una massa di popolo nella quale ebbi a scorgere i detenuti nelle Prigioni di Alcamo naturali di questa Francesco Lucchese e Francesco Frazzitta che dicendomi di essere stato già inalberato in Alcamo il vessillo della rivolta doveva senza repliche anche qui procedersi a quella sollennità e dovevano eziandio sprigionarsi tutti i detenuti in queste Carceri. Per la Dio mercé piti buoni in quel momento terribile accorsero alla custodia della mia vita che, risparmiata, vengo trascinato nella parte della via Maestra ove sventolava una bandiera tricolorata. La sera si aggrediva la Dogana d'onde si toglievano le armi ed il denaro, come eziandio erano disarmati i Rondieri e condotti in Carcere dal quale erano stati sprigionati i detenuti ivi esistenti. Signoreggiava in quel momento il paese la classe piti trista di ladri, e di sanguinari; ed io che in quel momento vidi compromessa con la mia la vita dei piti onesti e pacifici cittadini, ebbi il destro di vincere con la piti lusinghiera promessa quella canaglia e di distornarla dall'attuazione di tutti i divisamenti di sangue, e di rapina. Epperò alquanti di ta' misfattori si riunivano in banda armata, e partivano per codesta. Il ceto dei proprietari che nutriva ancora gli antichi rancori mi presentava il quadro di una stragge cittadina, e quindi grandi ostacoli doveva sormontare per unirlo compatto in armi, e prevenire cosi il turbine che minacciava scoppiare di una conflagrazione di sangue e di rapina. Ma mercé le mie piti commoventi dimostrazioni del pericolo in che tutti versavamo conseguiva il salutare intento di conciliarli e di armarli tutti alla tutela dell'ordine e della sicurezza publica. Lo imponente sciame dei turbolenti ladri rimase allora sopraffatto dal numero dei buoni tutti ben com­patti, e cosi ebbi la sorte di veder falliti tutti i di loro criminosi disegni.
Il giorno 12 giungeva una banda armata da Monte S. Giuliano che unitasi con molti naturali di questa in unica massa muoveva per la volta di Alcamo.
Finalmente il giorno 14 superati tutti i su detti cimenti, e trovandomi presidiato da tutti i proprietari ed impiegati che si erano consolidati in armi, colsi il momento favorevole per abbattere il vessillo della rivolta, cui sostituito quello del nostro adorato Monarca (D.G.) lo feci condurre per tutte le strade di questo paese con la banda musicale e fra gli evviva entusiasti di tutti i buoni, avendo sin anco la sera fatto illuminare tutti i balconi con l'armonia sino a notte innoltrata della suddetta banda che allietò coi suoi concenti questa buona popolazione.
Il dopo pranzo del suddetto giorno mi giungeva l'Uffizio del Signor Sottintendente di Alcamo col quale mi avvisava che per la dimane sarebbe Egli venuto con un grosso di armati per abbattere il vessillo tricolorato e rimettere l'ordine: ciò che produsse il salutare effetto di tranquillare gli spiriti ancora palpitanti e di spaventare i malvaggi che forse avrebbero voluto tentare una reazione. E qui mi corre l'obbligo Signor Direttore di farIe particolare mensione del Capo Urbano Signor Ferrantelli che non si risparmiò fatiche per la sicurezza publica come ancora dei Signori Don Pietro Lombardo, Don Andrea Di Blasi ed il Signor Tenente della Dogana D. Antonino Lanza i quali coadjuvandomi costantemente in tutti i rincontri si cooperarono con me per la salvezza del Paese e per la restituzione dell'ordine.
Il Giudice Regio Alessandro Lo Jacono


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