Salvatore Costanza


la copertina del libro

la copertina


© Copyright 1989
Arti Grafiche Corrao



via Valenza, 31
Trapani
Finito di stampare
nel settembre 1989



Ringrazio l'amico
Vito Accardo
per avermi portato
alla conoscenza
di questo libro



Questa ricerca storica riproduce, con ampliamenti e integrazioni, l'omonimo studio pubblicato nel fascicolo speciale dei «Nuovi quaderni del meridione» dedicato alla rivoluzione palermitana del settembre 1866 (n. 16, ottobre/dicembre 1966, pp. 419-38).





Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

LA PATRIA ARMATA di Salvatore Costanza


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RIBELLI E MAFIOSI NEL TRAMONTO DEL BRIGANTAGGIO SOCIALE


2. Geografia del brigantaggio


In un luogo denominato Zucco dello Spàracio, i pastori ancora oggi riconoscono la tavufa di Turriciano. È una pietra rettangolare di marmo attorno a cui sostavano i briganti durante il giorno. Luogo di riposo e di raccolta particolarmente adatto, per la sua posizione pano­ramica, ad avvistare chiunque volesse raggiungerlo e a poter sfuggire in tempo agli assalti della forza pubblica. Dall'alto si domina la vista dei monti e delle contrade entro i confini dell'antico paese degli Èlimi: a nord-ovest fino al monte Erice col suo armonico nucleo urbano sulla vetta; e a sud-est verso Calatafimi e Segesta, seguendo gl'itinerari di remote civiltà, che s'intersecano nel ricordo con le risonanze epiche della «conquista» garibaldina.
L'area geografica in cui agi il brigantaggio comprendeva i territori dei Comuni di Castellammare, Alcamo, Calatafimi e Monte S. Giuliano (circa 700 kmq), tra il confine occidentale della provincia di Palermo, la regione del Belice e del Fiumefreddo (a mezzogiorno) e i limiti estremi, settentrionale e orientale, segnati dal mar Tirreno. (L'area geografica stessa viene ora inclusa, per le sue condizioni morfologiche, nella zona collinare costiera del Trapanese.) Vi prevale un sistema irregolare di rilievi non molto elevati (l'altezza è di poco superiore ai mille metri), indicati con il nome di monti sicani. Qualcuna di queste montagne emerge isolata sulle colline, conferendo al paesaggio un aspetto tormentato e aspro: il monte Sparagio (m 1110), che si protende sino al promontorio di San Vito, il monte Inici (m 1064) e i pizzi rocciosi che costituiscono il Passo del Lupo. L'altitudine attenua il carattere mediterraneo del clima. D'inverno, le precipitazioni sono piu frequenti che nelle zone pianeggianti, con indici di piovosità che oscillano fra i 900 e i 600 mm, favorendo la formazione di abbondanti acque superficiali e sotterranee11.

11 Il territorio nord-occidentale della Sicilia è esattamente descritto nelle monografie regionali di F. POLLASTRI (Sicilia. La terra. Il clima. L'uomo, Palermo 1948-49), F. MlLONE (Sicilia. La natura e l'uomo, Torino 1960) e A. PECORA (Sicilia, voI. XVII della collana «Le Regioni d'Italia», Torino 1968). Qualche cenno topografico pure in G. CASTRONOYO, Erice. oggi Monte S. Giuliano in Sicilia, I, Palermo 1872, pp. 156-69.

Perciò nelle parti submontane, la vegetazione si presenta per lo piu florida, a tratti lussureggiante nelle macchie variopinte dei giardini e degli agrumeti. Ma in questi cento anni la terra ha subito profonde trasformazioni nelle tipologie colturali, nei modi di conduzione e nell'assetto della proprietà. Un tempo le sole zone coltivate ad oliveto e a vigneto erano quelle vicine all'abitato. Le masserie si reggevano in gran parte sui grami valori dell'economia frumentaria. Le montagne e i pianori sotto stanti erano destinati al pascolo o alla dimora boschi va. Con l'enfiteusi dei feudi demaniali (1791), lo scioglimento dei diritti promiscui (1841), conseguente all'a­bolizione del regime feudale, e la vendita dei beni rurali ecclesiastici (1862), si avviò quel processo di diboscamento che fece aumentare in un primo tempo i terreni pascolativi, ma che in seguito favori mediante i nuovi contratti di affittanza e colonia l'impianto di colture piu redditizie12.
I feudi di Arcuraci, Bayda e lnici costituirono, fino al 1812, un'isola baronale nel vasto demanio ericino, che si estendeva a nord­ovest di Castellammare. Il bosco di Scopello, invece, rimase fino all'Unità di pertinenza regia, poiché era riserva di daini e cinghiali per la caccia che vi praticavano i re di Sicilia; e perciò non fu incluso nei provvedimenti borbonici per l'enfiteusi dei beni demaniali13.

12 Un quadro abbastanza preciso e differenziato di una simile contrattazione agraria viene presentato, per gli anni '70 del secolo scorso. da Sidney Sonnino nella sua inchiesta sui contadini in Sicilia (voI. II, pp. 117-57 della ristampa edita da Vallecchi nel 1974, a cura di Z. Ciuffoletti).
13 Con sovrano rescritto del 24 gennaio 1846, Bayda, Inici e Scopello con altri ex feudi passarono alla circoscrizione amministrativa di Castellammare (v. «Giornale d'Inten­denza di Trapani», n. 4 del marzo 1846, p. 52). Sulle baronie di Arcudaci. Bayda cd Inici, ma specialmente su quanto è rimasto degli antichi insediamenti, Vincenzo Adragna ha scritto tre brevi itinerari ecostorici: Il castello di [nid. Il castello di Bayda. Il grande bosco di Arcodaci, in «Trapani», a. XVIII (1973), n. 198; a. XIX (1974), n. 204; a. XXI (1976), n.217.

Sono questi i luoghi che richiamano piu di frequente il ricordo delle imprese brigantesche di Turriciano. Ritornano pure nella memoria poetica dei cantastorie, delle anziane popolane che tramandano, ma ora con smarrito senso della primitiva ispirazione morale, le nenie della paura e della commiserazione fiorite intorno al caso del capobrigante.
Quei luoghi racchiudono tuttora i vestigi murali del passato ba­ronale attraverso i castelli turriti in rovina, le chiesette patronali, le epigrafi poste sopra gli archi secenteschi, per ricordare gli ospiti piu illustri (nel 1801, Ferdinando I scampato da Napoli dies noctesque interquievit nel castello di Bayda), le famiglie succedutesi nel beneficio feudale, ovvero il «torbido egoismo» dei figli di Loyola, che ebbero fino all'eversione dell'asse gesuitico (1767) il possesso della masseria d'lnici. Una lapide murata nel cortile del castello d'lnici svela ai visitatori gli ètimi nascosti nel toponimo: Queste terre / in origine dall'elce trassero il nome / la torre / sorse al mille indice di posa e sicurezza al viandante / ilice ed indice lungo tempo alternando nomarono / qui / i figli di Loyola pace, ricchezza e fama / qui / i Cardillo, acquirenti dal 1781 al 1860 lucro, splendore / cacce regali / dein casus eccidium carcerque / F.M. Alliata-Cardillo / 1°.5.1905. Ignoto rimane il caso sventurato cui si riferisce la scritta (era, forse, l'eccidio dei cutrara?). Ma a indicare il mutamento intervenuto, dopo quella data, nello stile lapidario degli acquirenti, si può leggere su un'altra ala del cortile un monito dall'accento vagamente mafioso: Gitante / che qui arrivi / ammira svagati / ma rispetta / la proprietà altrui. I sedàra cosi pensavano a perpetuare l'unica dignità di cui potessero sentirsi onorati: la roba.
Tra Inici e monte Spàracio, scabro e roccioso, si adagia Balata di Baida. Dal piccolo borgo una trazzera dopo breve tratto porta al castello, che sorge sopra un'altura ombreggiata da eucaliptus. I baroni di Bayda usurparono il feudo al regio demanio. Questa, almeno, è l'opinione di Luca Barberi, l'autore dei Capibrevi, che difese contro il baronaggio i diritti della corona di Sicilia (quo namfuerit pacto a Regio Demanio segregatum me latet). L'usurpazione avvenne probabilmente nel periodo convulso della guerra del Vespro, in cui alle potenti famiglie dei Passaneto e degli Abate, che ebbero per primi quel feudo, fu permesso in premio della loro «lealtà» ai re d'Aragona di esercitare tirannicamente il potere nel val di Mazara14.

14 Vito Maria Amico, che elenca le successioni baronali di Bayda, scrive anche che il castello «è munitissimo pel sito e pei bastioni, decorato di nuove fabbriche a comodo dei coloni dell'estesissimo territorio, degno invero di ammirazione, ed appare lontano ai viaggiatori di quelle parti» (cfr. Dizionario Topografico della Sicilia, a cura di G. DI MARZO, I, Palermo 1856, p. 126). Sugli insediamenti medievali di Scopello e Bayda, v. la nota di F. D'ANGELO, in «Sicilia Archeologica», Trapani, a. XIII (1981), n. 44, pp. 65-70.

Il castello è ora in rovina, ma un'ala di esso è abitata da contadini: sottratti alle spinte emigratorie di questi anni, legati a quei pochi tumoli di terra che la riforma agraria ha ritagliato dal latifondo, oggi per lo piu spezzato in unità poderali di media dimensione, essi rappresentano la continuità di una vita rurale povera e faticosa; ma è pure densa di significati etico-sociali la loro presenza attiva nel castello.
Dai fianchi del monte Spàracio le acque piovane irrompono a valle, portando pietre e fango. «La muntagna esti sdillassata», dicono i contadini riferendosi alle frequenti smottature del terreno che, insieme con l'incendio dei boschi, hanno reso ancor piu precario l'assetto geologico di queste zone e ne hanno intaccata la stessafacies naturalel5. Non ostante le modificazioni intervenute nel paesaggio agrario (soprattutto nell'ampia fascia costiera che insiste sul golfo di Castellammare, dove per l'insediamento stagionale del turismo di massa si è ormai perduto ogni segno dell'antica fisionomia agreste), i luoghi interni, e quelli montani - che registrano ovunque valori minimi di densità demografica per il massiccio esodo rurale -, conservano l'aspetto aspro e selvaggio di sempre.
È quindi ancora possibile ritrovare nel territorio piu interno e impervio del Castellammarese le pietre/simbolo di quella civiltà del lavoro (bagli, macaseni, màrcati, pagliari) che qui si è conservata a lungo nei suoi rilevati e distinti caratteri antropologici. Le strutture abitative e di servizo tuttora esistenti rimandano alla mente di chi le visita comportamenti di vita, e riti quotidiani o stagionali delle occupazioni contadine, che hanno radici in una situazione ecologica molto diversa dalle piu note tipologie del latifondo siciliano. Vi erano comuni certi sistemi del rapporto colonico (ma altri furono peculiari dell'appoderamento nei fondi destinati al vigneto), oltre alla liturgia di antico retaggio feudale delle prestazioni d'opera. Vi erano invece dissimili gli elementi fisici dell'ambiente, e in modo particolare la morfologia abitativa e i materiali da costruzione, le funzioni e gli usi della casa contadinal6.

15 V. ADRAGNA, Il castello di Bi1yda, p. 6.
16 Un tempo viddani (braccianti salariati) e burgisi (coltivatori in proprio) vivevano pu're in campagna. I primi soggiornavano in basse case di tufo, dove si assommavano in un solo vano, sotto il tetto ordito di travi, un po' tutte le funzioni abitative della famiglia, oltre a quelle di ricovero degli animali e di deposito degli attrezzi rurali. Invece i secondi abitavano in costruzioni a due piani, rivestite da intonaco; in esse i locali erano disposti con maggiore aderenza ai bisogni dell'azienda e alla vita privata del proprietario (v. G. v ALUSSI, La casa rurale nella Sicilia occidentale, Firenze 1968, pp. 51-59). La casa del viddanu è descritta in tutte le sue parti da Salvatore Salomone Marino in una monografia del 1879 su Costumi e usanze dei contadini di Sicilia (rist. a cura di A. Rigoli, Palermo 1968, pp. 51-59). Sull'abitazione dei contadini si sono pure soffermati G. PITRÈ, La famiglia. la casa, la vita del popolo siciliano, Palermo 1913, pp. 76-93, e G. COCCHIARA, La vita e l'arte del popolo siciliano nel Museo Pitrè, Palermo 1938, pp, 17-24. Per il rapporto ambiente/edi­lizia rustica, v. ora A.1. LIMA, La dimensione sacrale del paesaggio. Ambiente e architettura popolare in Sicilia, Palermo 1984.

Fulcro della vita rurale era il bagghiu17, come il centro delle attività produttive dell'azienda agraria e la sede delle sue regole gesti 0­nali. Nel baglio era, infatti, raccolto e distribuito il potere reale del burgisi riccu, attraverso le forme gerarchiche del servizio che legava il contadino povero, o il bestiamaro, il vaccaro, il capraio, al campiere e al gabelloto, fino al curato lo e al proprietario. Tali forme risultavano cristallizzate dalla consuetudine; ma piu dalla forza di coazione rap­presentata dalla mafiosità, che ne costituiva insieme il medium culturale e la ritualità esistenziale. Il baglio svolgeva in gran parte lo stesso ufficio che un tempo era stato affidato al castello del barone. Solo che al patrocinio del signore si era sostituito il prestigio dei don, e alla devozione verso eli lui il rispetto, carico di significati emblematici, del pubblico. Lontano dai centri abitati, e molto spesso collocato in posi­zione eminente su non grandi rialzi del terreno, il baglio elaborava una vita comunitaria pressoché conclusa in se stessa (cicli lavorativi e bisogni fondamentali dell'esistenza quotidiana, ritmi biologici e rapporti di convivenza all'interno della famiglia estesa), e perciò quasi del tutto priva dei segnali piu vistosi del dinamismo e del ricambio dei fattori economici che non fossero correlati con la pratica della violenza fisica. La mafia cosi riconosceva ncllocus baiulare il modo e i tempi della conservazione del potere proprietario; ma pure la cultura neces­saria al predisporsi dei piu violenti alla promozione sociale.

17 Bagghiu deriverebbe dall'arabo bahah (cortile). A masserie e bagli è dedicata una parte del citato lavoro di Giorgio Valussi (pp. 79-96). Sulle caratteristiche dei bagli nella Sicilia occidentale, e sul ruolo che essi hanno avuto nella genesi ed affermazione del ceto agrario in epoca moderna, v. la mia relazione Per una storia dei bagli: lavoro agricolo e vita quotidiana, in Atti del Convegno su Il baglio. Analisi, valorizzazione e recupero degli insediamenti rurali (Marsala, 20-21 dicembre 1980). Recentemente se ne è occupato nell'ambito di una ricerca sugli aspetti strutturali dell'economia rurale ericina v. ADRAGNA, Da Busit a Buseto Palizzolo. «Parecchiate» e proprietà in un territorio di Monte San Giuliano dal sec. XVII ai primi decenni del sec. XIX, in Buseto Palizzolo: I bagli, Quaderno n. 4 dell'«Annuario 1985-86» della Scuola media A. Manzoni di Buseto Palizzolo, pp. 11-47.

Nel territorio compreso tra l'abitato di Castellammare e i boschi di Arcuracì e Scopello, i bagli dei burgisi erano il rifugio dei briganti; ovvero le tappe sicure dei loro percorsi. Qui i briganti trovavano le condizioni ideali onde spostarsi e agire indisturbati. assicurandosi una lunga autonomia per le coperture omertose dell'ambiente. Negli atti processuali relativi alla banda Turriciano, i luoghi contrassegnati dalle sue imprese costituiscono una vera e propria mappa geografica dell'in­treccio mafia/banditismo. Ancor piu che nelle zone all'aperto, sulle montagne o dentro le grotte, l'esistenza dei briganti è agevolata dalla rete permutabile di appoggi costituita dai numerosi bagli disseminati nel territorio. (Per es., Gioacchino Ferrantelli e i suoi figli avevano la loro masseria a Celso; ad Azzalora Giuseppe Fontana; sulla montagna Spàracio Quartana e Loria; ai Fraginesi il sacerdote Coppola e Vincen­zo Caiozzo; a Baida Giacinto Gervasi e ad Inici Girolamo Galante e Giacomo Verderame). L'ambiente naturale che faceva da sfondo e, insieme, da sostegno logistico ai movimenti dei briganti poteva ormai riconoscersi in tali «episodi» del caratteristico insediamento rurale come in una sorta di qualità formale del paesaggio e di struttura compensati va del brigantaggio.
Alla natura dei luoghi e alla «morale collettiva» che sostennero la lunga latitanza del banditismo, cui accennava Cuidera nel suo studio antropologico, occorrerebbe perciò allegare il fattore insediativo: «La catena di montagne che da Castellammare si estende fin sopra Calatafimi, ai luoghi dove fu un tempo Segesta, e, con breve interruzione, segue sino a Capo S. Vito, forma un ambiente vasto e silenzioso, inaccessibile ad ogni coltura, e che riunisce, peggiorati, gli elementi del feudo. Ivi il brigantaggio ha trovato sempre un terreno favorevole al suo sviluppo «...» Ogni parte di quella regione, l'aspro monte che sovrasta la città, l'Asparagio immenso coi suoi burroni nascosti, coi suoi pizzi inaccessibili, che s'estende da la classica spiaggia di Bonagia, vicino a Trapani, sino all'altro mare del Golfo, il Pizzo di Cofano, una piramide ideale dalla cui sommità si può sfidare impunemente qualunque attacco, tutto il resto del suolo incoJto e difficile, ogni rocca, ogni spelonca, è un ricordo delle gesta di banditi, di sequestri, di ricatti «...» Nell'età eroica del brigantaggio, che ivi durò sino verso l'anno 1870, vi si radunavano gli elementi piu pericolosi, non solo dei dintorni, ma vi facevano le loro apparizioni i campioni piu baldi della Sicilia. Era l'unico ambiente della provincia, naturalmente adatto al ricovero di gente pregiudicata, dove è possibile tutta una strategia invincibile, contro i rappresentanti della giustizia umana. Intendiamo per età eroica del brigantaggio quella fase in cui esso si svolge spontaneamente, in mezzo ad una morale collettiva assai primitiva, ed assume certe forme, quasi di tutela e di compensazione, pigliando un atteggiamento che, dinnanzi ai diseredati ed alle vittime sociali, ha qualcosa di nobile e di glorioso»18.

18 Cfr. L. CUIDERA, Vivai criminali, pp. 29-31.


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