Salvatore Costanza


la copertina del libro

la copertina


© Copyright 1989
Arti Grafiche Corrao



via Valenza, 31
Trapani
Finito di stampare
nel settembre 1989



Ringrazio l'amico
Vito Accardo
per avermi portato
alla conoscenza
di questo libro



Questa ricerca storica riproduce, con ampliamenti e integrazioni, l'omonimo studio pubblicato nel fascicolo speciale dei «Nuovi quaderni del meridione» dedicato alla rivoluzione palermitana del settembre 1866 (n. 16, ottobre/dicembre 1966, pp. 419-38).





Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

LA PATRIA ARMATA di Salvatore Costanza


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RIBELLI E MAFIOSI NEL TRAMONTO DEL BRIGANTAGGIO SOCIALE


4. Tecniche della guerriglia rurale


La consistenza della banda - il numero dei suoi affiliati e la struttura interna - è il primo elemento su cui occorre soffermarsi. Dal nucleo originario dei tre o quattro renitenti e disertori che seguirono Turriciano nei suoi spostamenti si passa, alla vigilia dei fatti del settembre 1866, a una comitiva armata di dodici elementi. (Le cifre piti alte fornite dalle fonti ufficiali per il periodo 20-27 settembre 1866 si riferiscono ai componenti delle squadre di rivoltosi, che per altro non presero parte agli scontri a fuoco ingaggiati dalla banda con la forza pubblica.) Dopo la repressione del 1866-67, il numero dei briganti si ridusse a sei o sette, per salire di qualche altra unità successivamente. Due fatti però caratterizzarono la fase di ricostituzione della banda: il fenomeno ricorrente degli avventizi (fino a venti partecipanti ai vari fatti criminosi) e la divisione che avvenne all'interno dell'associazione brigantesca con il formarsi di gruppi che agivano separatamente. Di fatto, la banda Turriciano si restrinse tra il '67 e il '69 al capobrigante e a due suoi fidi compagni.
Gli avventizi venivano per lo piti reclutati tra i piccoli borgesi, i campi eri e i bestiamari: elementi, cioè, non del tutto ai margini della società, i quali avevano interesse a rimanere in un'ambigua condizio­ne, tra avventiziato brigantesco e manutengolismo, che consentiva loro di esercitare con maggiore efficienza criminosa la violenza fisica e, conseguentemente, di emergere nell'ambiente della mafia. Gli «atte­stati di moralità», inseriti negli atti processuali, li definiscono infatti quasi sempre come «adepti alla mafia»43.

43 Tra gli altri, i borgesi Girolamo De Filippi inteso catonzo, Domenico Gennaci, Giacinto Gennaci inteso ronconello, Gioacchino Gervasi (ucciso durante la grassazione compiuta a S. Vito), Leonardo Incandela di Giuseppe; i campieri Vincenzo Caruso, Pietro Pollina e Agostino Randazzo; i bovari Settimo Cipponeri, Vito Fontana (ucciso ad Azza­lora) e Vincenzo Ruffino; i caprai Rocco Borruso, Giuseppe Morsellino e Francesco Vetrano inteso cudduruni; il sacca io Vincenzo di Giorgio (v. «attestati di moralità» in AST, Corte d'Assise, Processi penali, b. l, fase. 3-4, 7, 13; b. 2, fase. 19-20, 23, 29-30, 38, 41; b. 3, fase. 45-46). I tre fratelli Navarra, Giuseppe Brancato, Francesco Mistretta e Vincenzo Ruffino erano guide dei briganti.

Fin dai primi tempi (se si eccettua l'episodio della liberazione del giovane Ferrantelli), i briganti non si organizzano per assalire le forze dell'ordine. Essi sfuggono alla «sequela» di carabinieri e soldati nel solo intento di mantenere il proprio stato di latitanza. Tuttavia, se attaccati, rispondono al fuoco con impeto; oppure prevengono, quasi sempre da posizioni piu vantaggiose, l'attacco dei militi. In ciò sono aiutati da guide e vedette, in genere ragazzi caprai, che si trovano per esigenze del proprio lavoro di custodia delle greggi nei luoghi piu impervi e panoramici. Le guide precedono il gruppo dei briganti, lo instradano per i sentieri meno battuti, assicurano i collegamenti con i manutengoli. Durante la marcia, i banditi si dividono in piccoli gruppi per coprire da eventuali assalti i loro movimenti. Negli scontri a fuoco con la forza pubblica, si preoccupano anzitutto di situarsi sulle alture dei monti e dei pizzi rocciosi, dietro le pareti di massi che formano una naturale cortina difensiva. Il successo di molte azioni di guerriglia è dovuto in gran parte alla tempestività con cui essi riescono a guadagnare le posizioni piu alte della montagna. I luoghi di sosta e i nascondigli preferiti sono le grotte, spaziose e profonde, di cui è ricca la regione (timpuni, furtulizzi, rutticeddi sono le parole/simbolo che Cajozzo piu spesso richiama nel suo affannato ricordo della siquera).
L'equipaggiamento militare della banda è ridotto al minimo (fu­cili a doppia canna e ventriere); ma non mancano a volte arnesi piu «sofisticati» (cannocchiali, orologi). Tra gli oggetti sequestrati al capo­brigante, nel corso di una irruzione dei militi nella grotta di Costalarga dove egli era nascosto, si trovarono borracce di legno, tascapane «alla militare», una pistola a due canne, cartucce e polvere da sparo44. Un tale equipaggiamento si può dire costituisse la dotazione elementare che ogni sbannutu (bandito) recava all'atto della sua affiliazione alla banda. Solo di tanto in tanto esso veniva rinnovato per l'occasione fornita dalla uccisione o dalla cattura di carabinieri e soldati (come avvenne negli scontri di Castellaccio e Terre Nuove).

44 L'elenco degli oggetti sequestrati il 6 gennaio 1870 a Pasquale Turriciano è riportato per intero in appendice (N. 15). Il fascicolo dell'istruttoria che lo contiene è intestato ad Antonino Mistretta, che in un primo tempo sembrò ai militi che fosse il brigante fuggito al momento della loro irruzione nella grotta di Costalarga; ma lo stesso Mistretta nell'interrogatorio del 20 febbraio 1870 davanti al giudice sostenne che in quella circostanza «il ribelle si fu Pasquale Torrigiano» e che egli, a quell'epoca, si era già allontanato da Castellammare per rifugiarsi nelle campagne di Partinico. Successivamente si avviò con un suo compagno verso Alcamo, e qui fu catturato dalla forza pubblica. Del resto alcuni particolari dell'avvenimento fanno pensare al capobrigante piuttosto che al suo gregario: il ritrovamento di due lettere di scrocco, firmate da Turriciano, e soprattutto la straordi­naria agilità dimostrata dal fuggiasco. Sulla base di questi elementi, il giudice prosciolse Mistretta dalla specifica imputazione di resistenza armata per l'episodio di Costalarga (ivi, b. 4, fase. 96-97).

Negli ultimi anni, probabilmente per la necessità di rifornire i molti avventizi, si preferi espropriare le armi ai proprietari delluogo45. Mancano nella documentazione acquisita dal tribunale dati e prove su eventuali aiuti forniti da emissari politici, se si eccettua un vago riferimento a contatti coi rivoltosi palermitani, incluso nel poemetto di Cajozzo, e che tuttavia non pare senza ragione per le circostanze in cui gli stessi contatti poterono verificarsi. Per il resto, la banda visse autonomamente, col solo concorso del manutengolismo locale, il quale non fece mai mancare ad essa viveri, ricetto e protezione. Nella sentenza con cui la sezione d'accusa della Corte d'Appello di Palermo rinviava la causa di Caleca e Manzella (che erano stati i primi compagni di Turriciano) alla Corte d'Assise di Trapani si può leggere una efficace descrizione delle condizioni di agibilità consentite al capobrigante: «È a tutti noto come teatro di questi continui conflitti con la forza legale fosse l'ex feudo o montagna d'lnici nel territorio di Castellammare ove quel brigante per favore di manutengoli, per faciltà di nascondigli, per vedette che gli annunziano l'approssimarsi della forza, comunque vi tenesse la sua principale dimora, è riuscito sempre a sottrarsi all'arresto»46.
All'interno dell'associazione brigantesca, i compiti e gl'incarichi erano distribuiti in modo quasi automatico. Il capo brigante aveva la responsabilità diretta della resistenza contro le forze dell'ordine, con la guida tattica delle operazioni di guerriglia. Di rado egli si trovò implicato in episodi di delinquenza comune, o anche negli atti di ritorsione e di vendetta contro 'nfami, la cui esecuzione, di solito, era affidata ai gregari47. Gli avventizi partecipavano soltanto alle imprese criminose contro la proprietà.

45 Ivi, b. 2, fase. 33; b. 3, fase. 47, 80-81; b. 4, fase. 82.
46 Ivi, b. 1, fase. 5 (sentenza di rinvio del 27 novembre 1869). Antonino Manzella, renitente della classe '45, era figlio di una sorella di Pasquale Turriciano (Antonia). Fu arrestato dopo i fatti del settembre '66, e condannato dalla Corte d'Assise di Trapani, il 4 aprile 1870, a cinque anni di reclusione. Pietro Caleca, anche lui renitente (classe 1840), si allontanò da Castellammare intorno al '66, recandosi a Roma. Tornò in patria, nel '71, per sostenere davanti al tribunale di Trapani la propria innocenza, che, infatti, gli fu riconosciuta con sentenza del 17 novembre s.a.
47 In almeno tre esecuzioni di «spie» (Peppi lu mulu, Sciccariddazzu. Musso lordo), il tribunale credette di poterne addossare le responsabilità ai tre fratelli Cajozzo, a Liborio Turriciano e ad altri sei gregari, ma non al capobrigante (ivi, b. 1, fase. 9, Il; b. 2, fase. 40; b. 4, fase. 84-85).

Se almeno nella prima fase operativa della banda le funzioni del capo furono da tutti accettate senza riserve, in seguito però la disgregazione dei livelli di autorità e omogeneità tattica non consenti piu a Turriciano di mantenere il suo ruolo di preminenza. Eppure egli con­servò sempre nel suo scapolare di panno bleu o marrone gli alamari del comando48.

48 [vi, b. 3, fase. 67; rapporto del comandante del distaccamento militare di Baida al pretore di Castellammare, l novembre 1867.


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