Giuseppe Marco Calvino


opere teatrali


novelle in versi


testi inediti


la copertina del libro Il secolo illuminatissimo

la copertina


Salvatore Mugno - scrittore

Salvatore Mugno
scrittore



Ringraziamenti:
Renato Alongi
Renato Lo Schiavo
Renzo Porcelli
Sergio Marchingiglio

Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

Giuseppe Marco Calvino - Il secolo illuminatissimo
a cura di Salvatore Mugno

Busto di Giuseppe Marco Calvino presso la Cattedrale di Trapani
Busto di Giuseppe Marco Calvino presso la Cattedrale di Trapani

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III. CALVINO INEDITO

1. TESTI TEATRALI IN PROSA
Apologo. La biblioteca, il topo e il ragno


È uno dei testi più brevi, intensi e amari della nostra raccolta: nella chiave del racconto allegorico, un topo e una ragnetta dialogano e disquisiscono sulla propria condizione e, di riflesso, sullo stato della cultura e dei costumi trapanesi nei primi decenni dell’Ottocento.
I due animaletti assistono al mutamento di destinazione di parte della sede della Compagnia della Carità, detta dei Bianchi, dove, il 21 aprile 1830, sarà aperta alla cittadinanza la “Pubblica Biblioteca Comunale del Capovalle di Trapani” (intitolata “Fardelliana” nel 1831).1
Il topo rimemora gli abbagli e le amarezze di certi trompe-l’oeil e le illusioni di poter condividere il pasto di qualche condannato a morte che in quell’Istituto avrebbe dovuto trovare i religiosi conforti: «(...) perché, sebbene negli uomini le scellerataggini degne di morte son tante che, se se ne scannasse al meno la metà, non basteria a purgar questa società, pure fra di loro si difendono in modo, comprandosi la giustizia, che, fra cento omicidi, tu non ne conterai un solo che soffre la pena di morte. Ecco dunque che io me ne stavo sempre ad attendere a muso asciutto».
L’”insetto”, dal suo canto, può ben vantarsi di avere protetto e conservato per lungo tempo i dipinti del convento grazie ai provvidenziali veli delle sue tele («lavorando al buio in queste affumicate pareti senza gloria e senza profitto») prima che i “nuovi barbari” non le distruggessero.
Il topo replica che ai figli tocca scontare le malefatte dei padri, appellandosi al mito di Aracne (trasformata in ragno da Minerva, adirata per essere stata sfidata a una gara di ricamo dalla fanciulla, a cui la stessa aveva fatto dono dell’arte di tessere) e alla omerica Batracomiomachia (in cui i topi subiscono la punizione di Minerva per averne violato il tempio). Come dire che i mali giungono sempre pour cause.
Adesso, la nuova amministrazione municipale, dopo aver posto riparo alle impellenze materiali dei cittadini, starebbe occupandosi di cibarne anche lo spirito...
Già citando Omero, il Calvino mette in moto l’autoironia e denuncia il discredito e la derisione che spesso circondano i letterati («se un poeta è degno di fede», precisa, colmo di dubbio); l’istituenda Biblioteca gli presta il fianco per stoccate ancora più acide: a cosa potrebbe servire in quella comunità? Dirà, per bocca del topo: «(...) per quante biblioteche tu vedessi in questa città, anziché esser frequentate dai dotti tu le vedi solitarie e polverose, e non mostrano da per tutto che trofei della nostra possenza e del nostro impero. La maggior parte di esse, abbenché ne inventi con molta cura, armati di ben poderosi gatti ci cacciano con tutta l’attività dai refettori, pure ci lasciano godere in pace quel rispettabile asilo, e lì solamente e la mia razza e la tua stan tranquillissime».
Il piccolo roditore che, a differenza del ragno aduso a rintanarsi, ha gironzolato per il “mondo”, ha idee ben precise sugli uomini: ne conosce il «dolce ozio e la saporita inerzia» e non ripone alcuna fiducia nelle nuove generazioni «che da qui a poco non sapranno né leggere né scrivere, all’infuori delle femmine di questo paese che faranno da maestre agli uomini, che per la femmina neanche una buona meta è, mercé la protezione che le accorda quel magistrato. Le fanciulle diverranno famose, ma le fanciulle non frequentano le biblioteche e per questo riguardo non abbiamo di che temere».
Non v’è, dunque, scampo dalla crescente ignoranza nel «secolo che chiamano illuminato». Il ritratto dei giovani - dediti, nei casi migliori, ai commerci e a fare bella mostra di sé - è impietoso e quasi calzante a meraviglia anche a molti nostri ragazzi di fine millennio (e non soltanto trapanesi e siciliani): «Guarda intorno, non vedi di quali studi si pasce questa gioventù, quali biblioteche frequenta? Tolta quella che si applica al commercio, e di questo, bisogna confessarlo, sono industriosissimi, il resto non studiano che a esibirsi il collaretto, il giustacuore, il fiocco, le calze, insomma ad attillarsi è tutto il loro studio diretto, e poi a dissiparsi a far all’amore e ad andar vagando tutto giorno qua e là a zonzo». Per non dire della boriosa supponenza e dell’arroganza di avvocati e medici, figure professionali dai caratteri sociali e umani spesso assai peculiari ancora oggi nel consorzio isolano. Potrebbero godere di qualche riguardo i letterati e gli studiosi, ma non a Trapani, non in Sicilia: «(...) di questi ne trovi pochissimi, e quei pochi stessi rivilitissimi, che più la lor moneta non ha corso, e scorgendo che dopo tanti sudori non hanno guadagnato un obolo - povera e nuda vai filosofia - si son dati ad altro mestiere, ed invece di lambiccarsi il cervello sui libri, passan felicemente il tempo ad un tavolino di tarocchi, che di profitto spesso gli è largo quanto a intisichir nello studio vedeansi costretti, e così nulla fanno mai, e dato un eterno addio a’ libri, se ne stanno meglio a grattarsi la pancia».
Chi, tra di essi, non riuscisse a spegnere l’ardore della passione, è costretto a tener segreta come una vergogna la propria attività artistica e scientifica, a trafficarla per vie underground: «Se poi avvi taluno che, spinto dal proprio genio, e dalla naturale, irresistibil forza che lo spinge allo studio ed a produrre, benché le sue produzioni non hanno smercio in una sì fatta società, come se le sue opere fosser genere di contrabbando, le va leggendo occultamente a pochi veri o finti amici (...)». Sapeva bene il Calvino che all’artista si prospettano (e si direbbe che non molto sia cambiata da allora la nostra realtà) o la rinuncia (imposta dagli sberleffi, dalla miseria economica e dal disincanto) o la resistenza, nell’ombra (“civetta” docet!) e con pochi ristori. Il nostro autore viveva tale alternativa in modo lacerante e altalenante, aggrappandosi al suo status di possidente e alla caparbietà dello scrittore.
La Biblioteca, insomma, a dire del topo, presto sarebbe diventata il nuovo dominio delle bestiole, ma il Calvino - adesso voce diretta dell’autore - invoca lo sterminio di quei menagrami, appellandosi ad Atena - dea delle arti e della giustizia - e auspicandone un riconoscimento culturale.
Ci sembrano pagine di straordinaria importanza intorno alla nostra città, un documento di autentica letteratura per la qualità dello stile e l’efficacia espressiva. Rari e “comprensibili” - in un testo grezzo, di prima battuta - i cedimenti, le virate dal dominio artistico.


NOTE

1 Intorno alle vicende relative alla istituzione della Biblioteca cittadina, si cfr. G. Di Stefano, Le origini della Fardelliana, «Trapani», 1962.
Circa le attività e i “traffici” di cadaveri e denaro della Confraternita di Santa Croce di Trapani, detta dei Bianchi, insediata nell’edificio in cui, poi, trovò ubicazione la Biblioteca Fardelliana (ancora oggi allocata nel medesimo palazzo), si cfr. S. GIRGENTI, La Compagnia dei Bianchi di Trapani (1555-1821), Trapani, Libera Università di Trapani, 1988.

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