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STEFANO FONTANA

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STEFANO FONTANA:

Nasce a Monte S. Giuliano il 10 settembre 1855
Muore a Monte S. Giuliano il 10 ottobre 1940

Ebbe i natali da Giuseppe Fontana e da Caterina Bonura. Il padre, tempra adamantina di agricoltore di tipo patriarcale, visse modesta vita dedita soltanto ad accrescere il suo considerevole patrimonio, che vide aumentare in modo straordinario, avuto riguardo alla piccola terra ove abitava, grazie alla cospicua dote della moglie, Caterina Bonura, di ricca famiglia busetana.
Stefano Fontana frequentò le scuole elementari e l'Istituto Tecnico a Monte San Giuliano.
La prematura morte della madre e altre contrarietà lo indussero a interrompere gli studi e a dedicarsi all'amministrazione del cospicuo patrimonio familiare. Di intelligenza lucida e memoria tenace, inflessibile come l'acciaio, diritto come una lama, forbito nel parlare, ebbe particolare disposizione agli affari e alla politica. In possesso di una vasta proprietà di circa 2000 ha, ottenne la gabella di altrettanti fondi dal principe Pandolfina, ad un prezzo irrisorio.
Dal subaffitto a piccoli lotti ai coloni ad un prezzo più elevato, ricavò la somma sufficiente per acquistare le stesse terre che aveva in affitto.
La sua carriera politica ebbe inizio nel 1881, quando entrò per la prima volta a far parte del Consiglio comunale di Monte San Giuliano.
Nel 1882 fu nominato assessore. Il 9 aprile 1886, per nomina regia, fu sindaco. Rieletto per pronunciamento popolare, mantenne tale carica sino al 1914.
Fu benevolo ed amante della sua terra d'origine, Buseto, e ne fu ricambiato dai concittadini.
Solerte ed instancabile nel delicato ufficio di sindaco, lo amministrò con la più scrupolosa cura.
La sua attività amministrativa fu molteplice. Istituì la condotta medica di Buseto e Bruca, e le scuole elementari a Buseto, Badia, Tangi e Bruca. Per non parlare poi delle opere pubbliche da lui fatte costruire: tra queste, l'arteria comunale San Marco-Tangi-Ballata-Buseto, che molto giovò all'economia di quelle contrade e tolse dall'isolamento l'intera area busetana.
Morì il 10.10.1940 a Monte S. Giuliano; la sua morte fu compianta universalmente. Nella vecchia chiesa di Maria SS. del Carmelo di Buseto Centro si apprezzano ancora i monumenti marmorei che la famiglia Fontana fece erigere in memoria dei suoi illustri defunti.

Da una e-mail ricevuta da Stefano Fontana discendente diretto e che inserisco in questa scheda ad integrazione di quanto già pubblicato per meglio conoscere il personaggio.

ho letto sul suo lodevole sito una scheda intestata al mio omonimo bisnonno, il cui ritratto, per amore della verità, dovrebbe essere in gran parte rettificato. Esso è basato sulla falsa narrazione del canonico Amico, un prete che, nonostante i larghi benefici ottenuti da Stefano Fontana, fu sempre un suo ipocrita avversario.
Egli scrisse, come lei riporta, che il padre di Stefano Fontana, Giuseppe, era un piccolo proprietario, che riuscì a costruire una considerevole fortuna, anche grazie al matrimonio contratto con Caterina Bonura di ricca famiglia busetana. In tutto questo c'è di vero soltanto il fatto che Giuseppe Fontana e Crapanzano, padre di Stefano, sposò Caterina Bonura e la circostanza ch'egli lasciò ai figli un considerevole patrimonio, che, al tempo in cui fu diviso (atto not. I. Salerno 22.X.1887), ascendeva ad un migliaio di ettari di terra, oltre agli stabili urbani, ai censi e alle mandrie di bestiame.
Quanto al fatto ch'egli sarebbe stato di modesta condizione, è il caso di rammentare che il padre di lui, Paolo, era proprietario di ottanta salme di terra fra Castelluzzo e gli Acci e altre sessanta ne aveva nelle stesse contrade il fratello di Paolo, Antonino; entrambi le avevano ereditate dal padre, Stefano (fonte AsTp - Rettifica dei riveli del 1811 eseguita nel 1815 busta 8 bis Monte San Giuliano), il quale aveva pure un altro figlio, Giuseppe, di cui non è stato possibile accertare la possidenza a quell'epoca, proprio perché nell'archivio di Trapani sono presenti solo le rettifiche e non i riveli originari del 1811. Stefano aveva avuto le sue terre in enfiteusi perpetua all'atto della censuazione dei feudi demaniali di Monte San Giuliano nel gennaio 1791. Suo padre, pure lui Stefano, deteneva anche precedentemente quelle terre come affittuario del comune. Tutti erano grandi allevatori di bestiame, come si desume agevolmente dal fatto che le terre in questione giacevano proprio nell'attuale riserva dello Zingaro (all'epoca Zingalo era solo una delle contrade di quelle plaghe, che comprendevano pure Sanguigno, Acci, S. Vito Castelluzzo, il Sauce, Pianello, Pozzillo etc.) da secoli destinata al pascolo e all'allevamento e che nello stesso 1815, (astp Secrezia - riveli bestiame 1815 busta 435) Paolo Fontana di Monte San Giuliano dichiara una sua mandria esistente in c.da Rocche d'Emilia di Trapani al tempo della diramazione dell'obbligo, la quale mandria constava di 100 bovini, esclusi i capi fino a due anni, sicché si trattava di circa 300 capi, 130 fra pecore e capre, esclusi i lattanti, sicché dovevano essere almeno duecento, otto cavalle, otto mule e uno stallone e, verosimilmente non si trattava dell'unica sua mandria, ma di bestie ivi portate per ragioni commerciali.
Lo stesso Paolo Fontana è l'uomo che nell'estate del 1820 entra nel ristretto comitato di salute pubblica di undici membri nominato per reggere il comune al tempo della guerra (per notizie sulla guerra del 1820 può leggere Russo Ferruggia, il diario di Nicolò Burgio e il padre Benigno di Santa Caterina, tutti presso la biblioteca fardelliana di Trapani). Sarà lui, insieme con Giuseppe Tosto, che assumerà, di fronte ai tremebondi civili della vetta (il comitato era fatto di undici membri, 3 ecclesiastici, sei civili e i due grandi massari appena nominati) il peso dello scontro con le bande palermitane che avevano invaso il territorio di Trapani e Monte San Giuliano, respingendole con gravi perdite (il Burgio attribuisce agli ericini il merito di aver causato cento morti ai palermitani prendendone prigionieri trenta).
Quanto a Stefano Fontana Bonura mi pare indispensabile precisare che fin dal 1886 aveva comprato dal principe Monroy le tenute di Menta e Colli (circa 1300 ettari), che, insieme con la sua proprietà di Bellanova erano i migliori terreni dell'agro ericino; nel 1898 acquistò dalla principessa di Fondi, donna Bianca Colonna de Sangro, insieme coi suoi familiari, l'intera baronia di Bayda (circa 2000 ettari) e, in prosieguo di tempo, quasi tutti gli ex feudi della baronia di Arcudaci dal principe Monroy e diverse altre tenute in provincia e, segnatamente, a Castelvetrano (in totale più di 6.000 ettari) Poco dopo l'occupazione della Libia, acquistò la grande tenuta di Taruna (5.000 ettari), che trasformò, grazie ad ingenti investimenti per lo scavo di pozzi e opere destinate a bloccare la desertificazione, in un enorme uliveto dotato, fra l'altro, di tre oleifici. Fra la fine dell'800 e il 1923 gestì in affitto, coi suoi parenti, la tonnara di Bonagia. Quando la Congrega della carità di Palermo la vendette, sottoscrisse 1/3 della società anonima La Fenicia di Pesca, che ne acquistò la proprietà e le cui restanti quote furono sottoscritte da Giulio d'Alì ed Emanuele Burgarella. Fondò, nel 1903, con altri stretti familiari e ne fu socio di maggioranza,la Cassa Rurale Ericina; fu socio di maggioranza della S.O.M., società Old Marsala di Fontana e Sardo, i cui stabilimenti sorgevano nell'attuale via P. Mattarella, precisamente nell'isolato che ospita attualmente Banca Intesa e in quello successivo; fu socio di maggioranza della società cinema Fontana, la quale, fra l'altro, dotò la città della casina delle Palme, eretta su terreno avuto in concessione; fu socio di maggioranza di uno stabilimento di concimi chimici che sorgeva in via Fardella, precisamente all'altezza dell'attuale agenzia di Unicredit; fu socio di maggioranza della prima compagnia di trasporti pubblici siciliana, che collegava Paparella al Monte, che fondò nel 1910.
In definitiva, come si vede, la sua attività di agricoltore e proprietario di diecimila ettari di terreno all'incirca, non esauriva le sue imprese economiche, mentre l'attività politica fu soltanto il portato della sua preminenza economica, che lo portò, insieme con la restante parte della famiglia, a reinvestire nel circuito di Monte San Giuliano rendite di cui il paese era stato privato da quasi seicento anni, consentendone, così, la fisica sopravvivenza. Si trovò alle prese con un giusto movimento di protesta popolare causato dall'immiserimento della popolazione contadina, ma capeggiato da capipopolo che non capivano quanto sulla condizione di quelli pesasse la politica economica di uno stato che pretendeva di ergersi a potenza mondiale, e perciò investiva negli armamenti somme largamente superiori a quelle che poteva permettersi, essendo così costretto ad una severissima politica fiscale che erodeva i margini dei proprietari fondiari e, di conseguenza, dei coltivatori. La riduzione del conflitto sociale allo schemino dell'appropriazione del plusvalore privava i contadini di una vera prospettiva di riscatto e metteva la borghesia fondiaria nel mirino degli agitatori.
Per chiarire la situazione socio economica del comune di Monte San Giuliano fra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo, oggetto di racconti e valutazioni assai distorte, allego un testo da me scritto a commento del diario del prete ericino Salvatore Miceli.
Sperando di aver fatto cosa utile, colgo l'occasione per porgerle distinti saluti.


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Questa scheda è stata redatta da Pietro Vultaggio - in seguito rettificata da Stefano Fontana

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