Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

CORALLO - Storia e arte dal XV al XIX secolo


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CAPITULA DEI CORALLARI DI GENOVA

Prima istanza del 1477 per il riconoscimento della corporazione. Motivi sociali ed economici dell'istituzione. Strutturazione del conlegium. Imposizione di una tassa agli associati. Ammende ai trasgressori. Normativa contro i furti. Protezionismo corporativo. Proibizione agli stranieri di aprire bottega senza avere fatto un tirocinio. Durata dell'apprendistato. Tutela del garzone. Astensione dal lavoro per la ricorrenza di San Rocco, patrono dei corallari liguri. Testo dei Capitula promulgati il 20 marzo 1492 dal Governatore Ducale Augusto Adurni.

Il primo ordinamento per la regolamentazione dell'attività lavorativa del corallo fu emanato a Genova nel 1492, lo stesso anno della scoperta dell'America. Ma già nel 1477 gli artigiani di questo settore avevano chiesto il riconoscimento della categoria che voleva unirsi in conlegium, che sarebbe venuto ad aggiungersi alle numerose corporazioni già esistenti nel XIII secolo nella repubblica di San Lorenzo. Si trattava, quindi, di allargare agli artefici del corallo quello che era stato sancito per le altre organizzazioni. Le disposizioni emanate alla fine del XV secolo per regolare il settore dei coralI ari risentono quindi positivamente dell'evoluzione legislativa maturata nel corso dei due secoli precedenti.
Quello che maggiormente stimolò i coralI ari genovesi a darsi un ordinamento fu l'incremento produttivo che il settore registrò nella seconda metà del XV secolo.
Nel 1452 i Genovesi ottennero il privilegio di pesca sui ricchissimi banchi di Marsa-el-Khares, al quale si aggiunge quello sulle coste sarde nel 1469 , seguiti dalla scoperta delle pescherie in Corsica nel 14 7 5 e dalle concessioni del banco di San Giorgio ai nobili della città.
Data l'espansione naturale e spontanea il settore era cresciuto in modo indiscriminato, era necessario quindi sgombrare il campo dagli abusi e dalle frodi per tutelare gli iscritti nell'interesse della categoria e della società tutta. Voluti dagli artigiani contro lo strapotere dei mercanti, i Capitula furono approvati in ritardo dal potere politico per porre limiti e condizioni all'irrequieto movimento degli artigiani stessi i quali speravano di conquistare un maggiore rilievo nell'assetto politico della repubblica.
Di fatto, con il trascorrere del tempo, i Capitula verranno ripetutamente aggiornati per meglio adattarli alle esigenze della borghesia mercantile genoana: gli artigiani non riuscirono mai a riscattarsi dalla situazione di inferiorità in cui si trovavano rispetto ai mercanti.
Le disposizioni del 1492 fissarono regole comporta mentali che prescrivevano precisi obblighi nell'ambito tecnico e artistico. Nella loro formulazione erano tanto sapienti da essere ripresi dai Capituli che quasi 150 anni piO. tardi si daranno gli artigiani trapanesi. La continuità e l'intensità dei rapporti commerciali fra Trapani e Genova rafforzano questa ipotesi dal momento che i Genovesi avevano nella città siciliana un proprio consolato già nel XIII secolo. Non dovrebbe essere una coincidenza casuale il fatto che la cattedrale di Trapani è dedicata al Santo Patrono della repubblica ligure, né le affinità di costume riscontrabili'nelle abitudini dei Genovesi e Trapanesi.
Va detto, però, che i Capituli di Trapani avevano uno scopo piti spiccatamente tutelativo della ortodossia dell'arte della lavorazione, in quanto impongono particolareggiati adempimenti agli appartenenti alla corporazione.
A capo dell' arte genovese erano posti due consiglieri e quattro consoli i quali restavano in canca per un anno.
Tutti gli aderenti avevano l'obbligo del giuramento, cosi come prescritto dalle Oidinationes di Alghero e di Sassari, come del resto era costume del tempo ispirato a rigidi principi religiosi.
Gli associati erano tenuti al pagamento di una tassa la cui entità oscillava da 5 a 20 soldi all'anno, in rapporto alle esigenze dell'arte. I corallari trapanesi, versavano, invece, una quota fissa che serviva anche per l'acquisto di un cero con il quale dovevano sfilare in occasione di determinate processioni.
Particolare attenzione i Capitula genovesi dedicarono alla prevenzione delle frodi che si verificavano nel settore. Chi veniva colto in flagrante rischiava la sospensione (una sorta di radiazione) per un periodo di tempo la cui durata era affidata alla discrezione dei Consoli e dei Consiglieri che erano a capo della corporazione durante quel periodo.
I titolari delle botteghe artigiane avevano il diritto di perquisire i propri collaboratori.
Frequentemente i garzoni portavano via dalle botteghe materiale già finito e pronto per la vendita e introducevano rami grezzi (per compensare la quantità di prodotto giacente nella bottega).
I trasgressori venivano puniti con una ammenda e con la confisca del prodotto; inoltre venivano sottoposti al giudizio della magistratura ordinaria.
I Consiglieri e i Consoli avevano ampi poteri nella conduzione di indagini per accertare eventuali irregolarità commesse nell'ambito del settore. Tutte le volte in cui queste venivano rilevate, a carico degli iscritti si applicavano sanzioni e ammende che dovevano essere pagate entro 15 giorni dalla data di contestazione.
A Genova, come a Trapani, ai delatori che segnalavano l'irregolarità spettava un premio che in Liguria era fissato nella misura di un terzo della pena comminata.
La somma residua era destinata al 50 per cento alle opere portuali e la restante parte per la gestione della struttura corporativa. Anche le Ordinationes algheresi prevedevano che una parte degli introiti del fisco (relativi alla gabella del corallo pescato) venisse spesa per il porto e i moli.
Per tutelare al massimo gli aderenti alla corporazione, era tassativamente inibito agli stranieri aprire bottega per la vendita o per la lavorazione del corallo a Genova, senza avere prima osservato il prescritto tirocinio. I trasgressori sarebbero stati puniti con un'ammenda di 100 fiorini, la piti alta fra quelle comminabili.
Altrettanta severità era riservata al settore dell'apprendistato. I famuli (figura a metà fra il servitore e il garzone apprendista) e i discepoli dovevano restare per sette anni continui nella bottega di un artigiano prima di potere esercitare in proprio. Stesso trattamento veniva riservato agli stranieri. Il periodo di apprendistato veniva però ridotto a quattro anni per i Genovesi residenti i quali avessero potuto dimostrare che i loro ascendenti erano presenti in città da almeno 50 anni. Pure quattro anni di apprendistato dovevano osservare i fratelli dei maestri.


Il porto di Genova in un manuale francese in uso presso la marina mercantile dell'800. Collezione Umberto Pace.

Esenti del tutto ne erano, invece, i figli dei maestri.
L'ingaggio avveniva per contratto che doveva essere stipulato entro il termine massimo di 15 giorni dalla data in cui il famulo cominciava a frequentare la bottega dell'artigiano, ciò per impedire lo sfruttamento dei ragazzi. Gli apprendisti non erano, tuttavia, liberi di cambiare istruttore una volta sceltone uno. Avrebbero potuto farlo soltanto se il primo dato re di lavoro avesse acconsentito.
Particolare attenzione veniva dedicata al mondo del lavoro giovanile, forse come tutela contro la diffusa pratica del loro sfruttamento. A Trapani era prescritto che i dipendenti dovevano essere pagati con cadenza mensile e non con il prodotto lavorato.
Parallelamente i pescatori di Alghero, con l'entrata in vigore delle Ordinaciones del 149 3, dovevano essere compensati con una paga fissa per sottrarli al rischio dell'incerto andamento della pesca, ma forse anche per riservare agli imprenditori piti cospicui margini di guadagno.
La coesione fra gli iscritti alla corporazione era assicurata da precise norme che stabilivano la presenza contestuale degli artigiani (e in taluni casi anche dei loro familiari) in determinate ricorrenze.
I corallari erano obbligati a prendere parte alle luminarie che venivano allestite in occasione della festa dei Santi Protettori dell'arte Simone e Giuda. (A Trapani il vincolo era esteso anche ai lavoranti). I partecipanti dovevano essere provvisti di brandoni, che possono essere assimilati alle immagini che pendevano dalla collana che portavano i corallari trapanesi in occasione della processione del cirio.
Gli artigiani genovesi, avrebbero, inoltre, dovuto rispettare la festività di San Rocco, astenendosi dal lavoro per quella giornata.
In occasione del matrimonio della figlia di un corallaro i suoi colleghi avrebbero dovuto fare partecipare ai festeggiamenti la propria moglie e i propri figli.
L'intento era quello di fare familiarizzare al massimo gli aderenti ad una stessa organizzazione. Come pure identico valore doveva avere la prescrizione secondo la quale in caso di morte di un corallaro gli altri erano tenuti a rendergli visita.
Piti ampia era invece la disposizione alla quale erano vincolati gli artigiani trapanesi i quali, quando sentivano rintoccare la campana della cattedrale, avrebbero dovuto accompagnare il sacerdote che andava ad amministrare l'estrema unzione.
Affinità tra le disposizioni vigenti a Genova e a Trapani e quelle praticate in Campania sono riscontrabili nel Monte dei marinai; qui gli aderenti destinavano al Monte una parte dei propri proventi che poi sarebbe andata agli orfani od agli indigenti dell'arte.
Ma questa sapiente preveggenza verrà quasi cancellata dal Codice Corallino di Ferdinando di Borbone il quale riservò maggiore attenzione alla lavorazione industriale.
Scompare cosi in Campania una componente preminente tra quelle che erano le regole che i corallari ed i corallini di Torre del Greco si erano dati nel rispetto della loro tradizionale impostazione cattolica.
Nessuna attenzione i Capitula genovesi riservarono alla tecnica di lavorazione, tanto meno al settore della pesca. La prima non costitutiva forse oggetto di particolare disciplina essendo questa elementare per il tipo di produzione corrente, e comunque demandata ai maestri artigiani nel chiuso delle loro botteghe.
Per quanto riguarda la pesca del corallo è desumibile che questa costituisse un comparto a se stante, magari affidato alle regole generali dell'attività peschereccia.
Non si può dire, comunque, che il provvedimento emanato dal Governatore Ducale sia la promulgazione degli atti predisposti dalle maestranze.
La stesura ufficiale dei Capitula genovesi deve essere ben lontana da quella che ci è pervenuta, sia per i contenuti che per la forma.
Dopo la presentazione delle regole che spontaneamente gli artigiani del corallo si erano date, il Consiglio degli anziani affidò a due suoi componenti, Francisco Navono e Melchione de Nigrono, il compito di esaminarle e revisionarle correggendo ed emendando laddove ritenevano di farlo e con la più ampia discrezionalità.
Navono e Nigrono sentirono anche Antonio de Plagia «uno ex Arte cora/iorum nomine dictae Artis instante». Ma l'artigiano non aveva potere deliberante per cui la sua presenza era solo formale.
È ben chiaro che lo scopo da raggiungere era piuttosto quello pubblico (fiscale anzitutto) che il privato.
Il testo definitivo non rispecchia, quindi, né la volontà della categoria dei corallari, tanto meno l'impostazione originaria degli estensori per cui il decreto ducale è espressione del potere pubblico e non già di quanti l'avevano messo in essere.
Cosa ben diversa sono i Capituli che dal.1633 regoleranno l'attività interna ed esterna dei corallari trapanesi.
Ma fra i due atti intercorrono 141 anni che avranno contribuito a creare una maggiore maturità politica.





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DEDICATO A:
Mario Tartamella

1986 © Copyright by
Maroda Editrice

I Edizione Aprile 1985
Il Edizione Ottobre 1986

Per il cortese contributo di esperienze, si ringraziano le famiglie: Adragna, Alagna, Barraco, Barresi, Burgarella, Cammareri, Cardella, Cirafici, Curatolo, D'Ali, D'Angelo, Fardella, Fa da le, Giacalone-Salvo, Governale, Ingarra, La Porta, Manzo, Marini, Marotta, Matranga, Messina, Orbosué, Parigi-Fontana, Romano, Todaro, Virga; nonché le Dirigenze del Museo Regionale «Pepoli» di Trapani e del Castello di Boloeil.

Un ringraziamento particolare al dottore Aldo Sparti (Direttore dell'Archivio di Stato di Trapani) per la costante e dotta disponibilità.

Fotolito: GAMBA - Roma

L'impaginazione delle tavole a colori è stata curata dall'Editecnika srl Palermo-Trapani

Fotocomposizione e stampa: Arti Grafiche Siciliane - Palermo





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