Archivio culturale di Trapani e della sua provincia
PARTO Versione italiana di Marco Scalabrino


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PRESENTAZIONE di Lucia Cardillo Di Prima

È la ricerca del senso della vita il motivo dominante di questa silloge di poesie di Ines Hoffmann, proposta nella versione in Italiano del poeta Marco Scalabrino che, fedele al testo in lingua portoghese, con un linguaggio ora visionario, ora perentorio, ora velato di malinconia, ci introduce nelle profondità dell'anima, nel disordine della mente e nell'innocenza del cuore.
L'autrice sceglie l'esilio, l' autosegregazione per sfuggire all' angoscia dell' esistere, si rifugia nella solitudine "per potere sognare / e piangere ... / per rimpiangere / quel grande amore / che si è smarrito / per strada / nell' Autunno, / nell' Assenza".
Lontana dal consorzio umano e dal clamore del mondo, spia la vita che scorre al di là del muro e non vive. li vagheggiato spazio di libertà dove "consegnare la vita al tempo", volare "libera / per i mondi, / totalmente slegata / dal corpo" e raggiungere luoghi lontani, si rivela un labirinto nel quale gli specchi della paura riflettono i fantasmi che si levano con le loro "fisionomie deformi e dissolute" dal fondo buio dell 'inconscio, trascinandola nella danza maledetta "degli esseri / senza memoria, / senza intelletto, / senza salvezza 0.0 di coloro il cui senno bazzica la luna."
In una solitudine metafisica, che non la protegge neanche da se stessa, Ines deve fronteggiare gli attacchi della "bestia nera e ributtante" che dilania e lacera il seno e stordisce con "le sue ali furibonde". Non le resta che misurare lo spazio infinito che si stende attorno a lei e l'abisso nel quale i suoi due "sé" si affrontano in una lotta cruenta che si conclude sempre con un "verbale di coesistenza" e la resa di entrambi.
Per domare la bestia e dare ordine al caos, non servono i rifugi, né le tutele imposte dall'esterno, né le "mani di estranei che vanno e vengono: osservano guardano toccano ... manipolano" il suo corpo o il polso, trattandola come un "cencio umano ... feccia umana devastata", senza scorgere "l'anima morta che alberga dentro".

Mi sono riscattata
con le mie sole forze
e mi sono concessa
il perdono degli innocenti.

Il riscatto passa attraverso se stessi, attingendo alle radici della propria vita, fino a quella crepa che si è aperta tra l'essere e l'esistere e che impedisce di vivere in sintonia con il tempo:

Sciogliere l'anima,
affidare al tempo la vita
affinché essa si riabbia ...
Chiedere al tempo, per un istante,
di tornare indietro.
E interrogarsi:
che fare se si ferma?
Cancellare le nefandezze
rimediare alle pecche
mantenere soltanto l'allegria?
Ci sarebbero dunque solo gioie
se non ci fossero più afflizioni?
Che il tempo riprenda.
Per un attimo
non mi incontri, qui
seduta.
Che mi lasci nel mio quietismo
fino all'ora di alzarmi.
Seduta,
gli occhi nel vuoto,
spoglia di pensieri ...
Il mio tormento è sapere chi sono.
Il peso che mi opprime
è ciò che non ho fatto,
ciò che non ho raccolto,
ciò che non ho costruito.
Il peso è il vuoto.
Temo di perdermi
di non ritrovare il varco
di ritorno alla ragione.
Sento che sgattaiolo dal corpo,
dalla coscienza,
che mi spingo fino a un luogo nel quale
non ci sono conseguenze,
non ci sono lotte da ingaggiare,
non è necessario ribattere
per atti inconsulti.
Là sono dissennata e libera.
E se poi non torno?

In questi versi c'è il travaglio di chiunque si confronti con il tempo e con la vita. Un'odissea di bilanci, di dubbi, di deliri. Un viaggio alla ricerca di se stessi, gli occhi, il cuore e la mente abitati dallo spasimo del ritorno.
Per ritornare, è necessario muoversi, percorrersi dentro, non costruire muri per seppellirvi il cuore, né chiudere le finestre, sprangare la porta, gettare in mare la chiave, perché la vita, più forte di qualsiasi ostinazione, non risparmia nessuno e ci raggiunge dovunque, anche nel labirinto dell'inesistenza, costringendoci a danzare, come il Minotauro di Dtirenmatt, il nostro destino, a danzare la paura la disperazione la solitudine, . ma anche la liberazione la gioia l'amore. La vita non può essere lasciata fuori, perché è fluida come il mare e, come il mare, ha un ritmo imprevedibile, mescola pieno e vuoto, colpa e innocenza, felicità e dolore e, per di più, non ha forma, ma assume quella che ciascuno di noi vuole darle:

Il mare ...
le sue eterne onde,
una cosa prendono,
un' altra ne restituiscono.
Mai nulla di prevedibile nel suo andirivieni,
mai lo stesso ritmo:
sempre, solo, la sua ineluttabilità.
La vita è così?!

La vita è così: può essere vagheggiata, ricreata, ma non elusa. E Ines ne è consapevole:

Abbandonai il mio rifugio ...

Non ho potuto eludere
la realtà
che spalanca
davanti a me
la sua faccia
tutti i giorni.

La vita ha fame di vivere ed è pronta a re scindere qualsiasi contratto siglato per mummificare il cuore:

Voglio mancare alla parola data!
Voglio rompere
l'accordo!
Arrestai il mio cuore
ne tappai ogni spiraglio
smussai tutti gli angoli.
Oggi mi dolgo di quella decisione.
Cerco
negli occhi di qualcuno
l'amore ...

Desidero imparare nuovamente
ad amare,
desidero abbandonarmi,
ricominciare.

Per ricominciare occ0l!e vegliare con pazienza e umiltà sul seme che cresce nel buio del "mondo misterioso indescrivibile impenetrabile", che c'è in ciascuno di noi, coglierne ogni trasalimento e palpito e aspettare il momento del parto per dargli il nome.
"Nelle parole lanciate io mi libero". È la parola il filo di Arianna al quale Ines Hoffmann si affida per portare alla luce gli spettri che l'hanno atterrita. È la parola che, al termine di un doloroso travaglio, partorisce il suo destino al quale la paura aveva mutato connotati.
Dal vuoto di una vita, si leva una voce per tradurre in parole l'assenza, l'attesa, il delirio. Dal silenzio del cuore, levita "un desiderio insolito ... una vaghezza di libertà e d'amore ... una rosa costellata di spine, macchiata di sangue, di acqua e di sole ...", Dalla disperazione nasce la speranza, a "infiorare di pace il cammino" e si fa poesia.




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FERULE

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Collana di
scritture in dialetto
e creativa di autori
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