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 BUSSOLA: Trapani Nostra - Libri - Salvatore Mugno

Tito Marrone - TEATRO - a cura di Salvatore Mugno





Tito Marrone

TEATRO

a cura di Salvatore MUGNO



Lo Spettro

Atto unico

Personaggi


LENA

CESARE

LA SIGNORA HORN

FIORDALINA


Tramonto di una giornata autunnale. Una sala in un'antica villa vicino al mare, con mobili massicci e un gran pianoforte a coda. Una porta, a destra; nel fondo una vetrata che dà su la loggia, dalla quale si discende nel giardino, di cui si vedono pochi alberi neri in un cielo pallido.
(Lena e la signora Horn conversano insieme, sedute sopra un divano, davanti a un tavolinetto su cui sono le tazze dove fuma ancora il tè)

LENA - E così, cara signora Horn, rimarrete tutto l'autunno vicino a noi?
SIGNORA HORN - Ci resterò finché avrò bisogno della voce del mare.
LENA - (sorridendo) Tanto vi conforta?
SIGNORA HORN - Mi stordisce.
LENA - E dopo?
SIGNORA HORN - Dopo?
LENA - Tornerete in città, per l'inverno?
SIGNORA HORN - In quale città? Dimenticate che io non ho una città, una mia città. Ho quelle degli altri.
LENA - Sempre per il mondo? In compagnia della vostra taciturna governante?
SIGNORA HORN - Finché sarò vecchia. Allora, non avrò più bisogno della voce del mare, né del frastuono della città, per far tacere il mio cuore. Sarà morto, e io potrò riposare.
LENA - Non avete saputo più nulla?
SIGNORA HORN - Di lui?
LENA - Sì.
SIGNORA HORN - Mi ha scritto ancora: un mese fa.
LENA - Come nella prima lettera? Implora perdono? Vuol riunirsi con voi?
SIGNORA HORN - Non lo so: le fiamme del camino hanno letto. La prima bella fiammata d'ottobre.
LENA - Bruciata la lettera?
SIGNORA HORN - Dovevo leggerla? Conservarla? Avrà ripetuto le stesse cose. Mi rimangono tante lettere! Del tempo che era un altro.
LENA - Non potreste perdonare?
SIGNORA HORN - Una parola che suona male. Dovreste dire invece… -Non potreste più amare?
LENA - Non potreste?
SIGNORA HORN - Ho tentato in questi anni. No… Ho amato troppo quello che ora è scomparso.
LENA - Ma è lo stesso… che ritorna a voi…
SIGNORA HORN - Avete la fortuna di non potermi capire. Voi siete felice con vostro marito.
LENA - Adoro Cesare.
SIGNORA HORN - E Cesare vi adora.
LENA - È vero? (pausa) Ma anch'io… Voi siete una cara amica…
SIGNORA HORN - Che ha già molti capelli bianchi.
LENA - Qualche volta… anch'io ho paura di non essere per lui… Era venuto qui per rimettersi a lavorare. Tanta fiducia in questa sua vecchia casa! Durante sei mesi, non abbiamo che viaggiato. E quando si viaggia…
SIGNORA HORN - (sorridendo) In due…
LENA - Un artista ha bisogno di pace. Ma Cesare è ancora come smarrito. Speravo che qui i suoi ricordi d'infanzia lo riprendessero; che egli potesse ritrovare la sua bella forza… E invece… Che ha in fondo agli occhi? Io temo d'indovinare… (pausa)
SIGNORA HORN - Ditelo a me, signora Lena.
LENA - …che non abbia trovato la compagna di cui ha bisogno. Io non sono che una piccola donna.
SIGNORA HORN - Oh, guardatemi in viso!
LENA - Lo so quello che vorreste dirmi.
SIGNORA HORN - Chimere, le vostre! Tutto è così naturale invece… Ma è l'ora dell'amore! L'arte lo riprenderà quando il suo cuore sarà calmo.
LENA - Scusatemi… Le mie parole hanno riaperto la vostra ferita.
SIGNORA HORN - (febbrilmente) Voi non saprete mai il tormento di sentire che nel mondo c'è una donna che vi ha preso tutto l'amore. Una donna fiorente… più bella di voi!
LENA - (con ansia) E se fosse morta, se fosse morta?
SIGNORA HORN - (che non comprende) Vive. Ci sono gli amici compiacenti che mi informano. (con uno scatto) E lui, perché vuol lasciarla, ora? Perché se n'è stancato? Perché dice che vuol tornare da me?
LENA - Voi l'amate sempre, signora Horn?
SIGNORA HORN - (chinando il capo) L'altro, quello di prima… (pausa) Lui… Se fosse qui davanti a me… Oh! Sento che il disgusto mi fermerebbe il cuore.
LENA - È viva, lei, come voi. E vostro marito vi ritorna. Avete vinto, perché l'ha cancellata dalla sua vita. Ora, non ci siete che voi.
SIGNORA HORN - (quasi a se stessa) Dovrei perdonare…
LENA - Dimenticare. Anzi, non vi ricordereste più. Il miracolo dell'amore che ritorna. Per sempre sarebbe distrutta quella pagina dal libro della vostra vita.
SIGNORA HORN - (con un sorriso stanco) Ma lei potrebbe ricomparire… È ancora giovane… (pausa) Più giovane di me.
LENA - (con forza) No. Solo i morti non muoiono mai.
SIGNORA HORN - Voi non sapete, signora Lena.
LENA - Neanche voi sapete signora Horn. (entra Cesare da destra, con una cassetta da pittore che va a posare in un angolo)
SIGNORA HORN - Ecco l'artista.
CESARE - (scherzando) L'ultima luce del giorno rimanda a casa il pittore scontento. Ma le signore lasciano emigrare la loro anima verso il crepuscolo violetto. Quali sogni mi raccontate?
SIGNORA HORN - E voi che cosa avete saputo rapire alla bella natura?
CESARE - Il pittore è stato rapito da lei, e se ne ritorna a capo basso, con la tela intatta, e i pennelli asciutti.
SIGNORA HORN - Quando si vive di rendita e si possiede una villa come questa, che è quasi un castello, l'arte si vendica. L'arte è ancora l'amica dei poveri.
CESARE - E la nemica degli indolenti. Io mi sorprendo a fantasticare davanti agli aspetti fuggevoli che i miei poveri colori dovrebbero cogliere. E m'accorgo un po' tardi d'essere forse un poeta, ma non un pittore.
LENA - Così mi piaci di più.
CESARE - Mia moglie mi scusa.
SIGNORA HORN - Perché è innamorata, e ha un patto con la luna di miele, per farla fermare eternamente quassù…
CESARE - (ridendo) Come una lampada elettrica sul vecchio castello.
SIGNORA HORN - Dove voi siete venuto per lavorare: non lo dimenticate.
CESARE - Ci sono venuto per far piacere a mia moglie.
LENA - Oh, Cesare! Non me l'hai detto sempre che solo qui, nella casa della tua infanzia, avresti saputo ritrovarti?
CESARE - Sì… Gli alberi… il mare… il cielo… sempre gli stessi. Solo io sono mutato, e non me n'ero accorto. Ma sono stati proprio i miei alberi e le mie nuvole a farmelo sentire, ora.
LENA - Eri tanto felice qui!
CESARE - Ero più giovane. Pensiamo di essere felici, quando l'esuberanza della vita ce lo fa credere.
SIGNORA HORN - Miei cari, io vi lascio. La mia taciturna governante ha paura, se annotta e si vede sola.
CESARE - Lena, accompagniamo la nostra amica.
LENA - (alla signora Horn) Vi dispiace, se viene con voi soltanto lui? Stasera… Sarà il presentimento dell'inverno. Ho freddo. Forse invecchio, Cesare.
CESARE - Purché io non me n'accorga.
SIGNORA HORN - Ma non v'incomodate per me… Rapitemi, pittore!
LENA - A domani, signora Horn.
SIGNORA HORN - Venite a trovarmi, signora Lena. Vi farò vedere l'album con le vedute del mio paese. Anch'io ho avuto un'infanzia. E non pensate più a quello che v'ho detto. Sono io, che invecchio davvero.
LENA - Molti capelli neri e pochi bianchi.
SIGNORA HORN - Già: ma quelli partono, e questi arrivano… A domani.
(La signora Horn e Cesare escono insieme. Lena, rimasta sola, va verso la veranda, la socchiude, rimane qualche momento a guardare il cielo. Poi s'avvicina al pianoforte, lo apre, e restando in piedi tocca qualche tasto. Con un filo di voce, accompagnandosi lievemente su lo strumento, accenna un verso della romanza di Desdemona, nell'Otello. "Amava un uom che poi l'abbandonò". Pausa. Una nenia infantile giunge dal giardino. Una figurina sottile si disegna nell'incerta luce, dietro i vetri)
LENA - Chi è? Una bambina!
FIORDALINA - (dal di fuori) Signora… bella signora…
LENA - Che vuoi? Chi sei?
FIORDALINA - Posso entrare?
LENA - Entra…
FIORDALINA - (comparendo) Oh! Non siete voi…
LENA - (sorridendo) Sì, sono io.
FIORDALINA - Non siete la signora.
LENA - Ma sì: sono la signora.
FIORDALINA - Allora… siete la padrona?
LENA - Sono la padrona.
FIORDALINA - Ma anche l'altra era la padrona.
LENA - L'altra?
FIORDALINA - La bella signora. Quella che mi dava i dolci.
LENA - Anch'io posso darteli. Vieni.
FIORDALINA - (guardandosi attorno) È tanto che non entro più qui.
LENA - Prima ci venivi?
FIORDALINA - Oh, sì! La bella signora mi voleva bene. Poi, hanno chiuso la villa.
LENA - Io sono qui già da qualche mese.
FIORDALINA - Ma lei cantava sempre, e voi non cantate mai! E non sapevo se eravate lei. Perciò non venivo.
LENA - Avevi paura?
FIORDALINA - Stasera, avete cantato anche voi. Ero laggiù, nascosta dietro la siepe. Eccomi qui. Fiordalina.
LENA - E io sono Lena.
FIORDALINA - La signora Lena.
LENA - Sì.
FIORDALINA - Dunque non siete la signora Flora.
LENA - Sapevi che si chiamava così?
FIORDALINA - Si chiamava così, ed era molto bella.
LENA - Sono brutta, io?
FIORDALINA - Anche voi siete bella… Ma… È un'altra cosa.
LENA - Abiti qui vicino?
FIORDALINA - Dietro lo scoglio grande. La capanna del pescatore di ricci. Mio padre. Ma voi… non vi ho vista mai da quella parte. Già… la strada è cattiva.
LENA - (sorridendo) Verrò a farti una visita.
FIORDALINA - Anche la signora Flora diceva così.
LENA - Dunque… ci rassomigliamo.
FIORDALINA - È un'altra cosa.
LENA - Lo conosci, mio marito?
FIORDALINA - Vostro marito?
LENA - Non hai mai visto quel signore alto, con tanti capelli.
FIORDALINA - Il pittore!
LENA - Sì, ecco.
FIORDALINA - Ma il pittore… non era il marito dell'altra signora?
LENA - Quella signora è morta.
FIORDALINA - Morta! Oh! E ora ci siete voi? Perché?
LENA - (malinconicamente) Ti dispiace?
FIORDALINA - Ma alla signora Flora voleva tanto bene… Andavano sempre insieme, per la spiaggia.
LENA - Per la spiaggia?
FIORDALINA - Non era sua moglie?
LENA - Sì… Ma vedi, ora…
FIORDALINA - Ora, siete voi sua moglie. Capisco. E perché non andate anche voi con lui?
LENA - Zitta. (dandole qualche cioccolatino, che prende da una coppa) Ecco i tuoi dolci. Va': a casa devono aspettarti.
FIORDALINA - Mio padre, in queste sere di luna, rientra tardi. Si siede sopra uno scoglio, e accomoda le sue reti. E io vado in giro per i sentieri. Canto come le piccole rane. Non m'avete sentito?
LENA - Va', Fiordalina.
FIORDALINA - Siete in collera con me?
LENA - No…
FIORDALINA - Mi mandate via…
LENA - Ritornerai domani.
FIORDALINA - Non verrò più.
LENA - Perché?
FIORDALINA - Perché vedo che vi ho dato un dispiacere… Ma anche voi siete bella! Addio…
(E la bambina se ne va dalla veranda. Lena rimane a guardarla, finché scompare nel giardino. Poi, ritorna al pianoforte, si siede. Riprende, ma senza cantare, la frase di prima. Improvvisamente si ferma)
LENA - No! Il suo pianoforte… (E lo chiude con forza. Pausa)
CESARE - (entrando da destra) M'hai sentito?
LENA - Hai fatto presto.
CESARE - La casa della signora Horn è a due passi. Pensavi a lei, mentre sonavi?
LENA - A lei? A un'altra donna.
CESARE - A chi?
LENA - Niente. Ma perché proprio alla signora Horn?
CESARE - (sorridendo) "Amava un uom che poi l'abbandonò". La Romanza del Salce pare la sua romanza.
LENA - È anche quella di tante altre.
CESARE - Già. Gli uomini sono sempre i grandi colpevoli.
LENA - Non lo dicevo per te, Cesare.
CESARE - Oh, io mi sento innocente! E mi merito un premio. Vuoi scendere con me nel giardino? L'aria di questo autunno è dolcissima.
LENA - (con ansia) Dove andiamo? Su la spiaggia?
CESARE - Fino laggiù? Troppo lontano, e io ne torno adesso. A testa bassa: perché il povero pittore non ha saputo fermare i colori cangianti del cielo su la sua piccola tela.
LENA - Desideravi tanto di venirci, qui, nella tua casa antica.
CESARE - Che ora è anche la tua. La nostra vecchia casa. Se chiudo gli occhi, mi pare di averti avuta con me, bimba, per i viali dove il vento del mare soffia tra le palme.
LENA - Grazie. Ma vedi solo la bimba, se chiudi gli occhi.
CESARE - Allora, eravamo due fanciulli, che non si conoscevano.
LENA - E poi… Le donne venute dopo non mi riguardano.
CESARE - Ma lo sai che nella mia vita tu sola conti.
LENA - Grazie ancora. Il pittore decade, ma il poeta nasce. M'hai offerto un madrigale. Non si dice così?
CESARE - Sono sincero.
LENA - Si è sinceri spesso… perché non si guarda più in là del momento.
CESARE - Ma che hai? Hai giurato di essere cattiva?
LENA - Ora mi punisco. Non vengo con te su la spiaggia.
CESARE - Non su la spiaggia: nel giardino.
LENA - Non vorresti accompagnarmi fino al mare?
CESARE - È tanto triste!
LENA - E richiama memorie malinconiche. (una lunga pausa)
CESARE - S'è fatto buio. Ti contenti della luna della signora Horn?
LENA - (girando la chiavetta) Accendiamo la luce domestica.
CESARE - Ora, siamo nella nostra intimità.
LENA - Noi due soli?
CESARE - Io mi siedo qui, sulla poltrona del nonno; e tu al pianoforte.Mi piace fantasticare, mentre tu suoni. Chopin: notturno...
LENA - No, Cesare...
CESARE - Perché?
LENA - Se invece parlassimo insieme, come due buoni amici?
CESARE - Ma perché non vuoi suonare? Ci pensavo, ritornando. Ora mia moglie mi aspetta seduta al pianoforte. Io entro senza rumore; e lei continua come se io non ci fossi. Invece, m'hai sentito subito. E hai smesso.
LENA - Stasera, niente musica.
CESARE - Niente musica. Domani sera.
LENA - Domani… potremo trascorrere tutto il pomeriggio in casa della povera signora Horn. È sempre lei che viene da noi.
CESARE - Ma dopo, per consolarmi… Perché la nostra amica non è davvero allegra, con quella sua governante che pare un fantasma…
LENA - Per consolarti, rientrando, ti farò il gioco delle carte.
CESARE - Come una zingara.
LENA - Ti dirò la ventura.
CESARE - Non voglio saperla: sono superstizioso.
LENA - Ma io indovino solo la buona sorte.
CESARE - E per ricompensa?
LENA - Mi bacerai la mano, come un cavaliere antico.
CESARE - Te le bacerò tutt'e due, adesso; ma quando avranno finito di suonare, Chopin: Notturno…
LENA - No.
CESARE - Domani, allora.
LENA - Neanche domani.
CESARE - Hai fatto un voto.
LENA - Te lo dico; ma non devi ridere. Quel grande pianoforte mi opprime.
CESARE - Ma è quello della casa! Mi ricordo la piccola nonna seduta lì, con le sue mani color d'avorio come i tasti.
LENA - Ci sono troppe ombre. E quando io mi siedo per suonare, molti altri si siedono accanto a me.
CESARE - Ma tutti i mobili qui sono ancora quelli d'un tempo. E tu non te ne sei mai lamentata. Eri felice di venirci, nella casa del mio passato.
LENA - (con un sospiro) Ero felice…
CESARE - E ora? Che cosa è cambiato?
LENA - Ora… Ma gli altri mobili non contano. Solo il pianoforte, vedi.
CESARE - Lena… Pensa che anch'io ci ho suonato, quand'ero alto così, "La donna è mobile"… con un dito solo.
LENA - Per questo lo ami? Solo per questo?
CESARE - Forse.
LENA - E io, quand'ero alta così… e mi mettevano tanti cuscini sul seggiolino… tenevo già i concerti in famiglia. Poi mi regalavano i sigari.
CESARE - I sigari?
LENA - Sì… di cioccolata, con la stagnola rossa in punta che pareva fuoco. E a te che ti davano?
CESARE - Gli schiaffi.
LENA - (pensosa) Ma il pianoforte era un altro…
CESARE - Quello di mogano giallo, che è rimasto lassù.
LENA - Cesare… se vuoi essere proprio carino… Perché non lo facciamo venire con noi, quel vecchio pianoforte giallo?
CESARE - Non mi vorrai sostenere che questo abbia un suono peggiore!
LENA - Non si tratta del suono, ma di me… e di lui. Ci conosciamo da tanti anni! Due vecchi amici, che si sono confidata ogni cosa.
CESARE - Pensa: questo è un Boisselot. Ha un prezzo d'affezione, ora. La fabbrica fu distrutta da un incendio, qualche anno fa, e non ne costruiscono più.
LENA - Si potrebbe venderlo.
CESARE - Ti pare? Il Boisselot della nonna…
LENA - Hai ragione. Rimarrebbe qui, come un gran signore, con la sua pelliccia lucida e le sue borchie dorate. E quell'altro in un cantuccio, per me.
CESARE - Due pianoforti in un salotto!
LENA - Ma no: uno solo, per la figura! Il mio… come un parente povero… nascosto in un angolo… magari dietro una tenda giapponese, con le cicogne.
CESARE - (ridendo) Con gli aironi!
LENA - Come vuoi. Vedrai… Accomoderò tanto bene…
CESARE - E quello sarebbe per te.
LENA - E per te. Perché, a poco a poco, ti ci affezioneresti. Ha una vocina discreta… familiare… E ora che viene l'inverno… Ci pensi? Tutt'e due in quell'angolo… Io a sonare, e tu a dipingere.
CESARE - A dipingere… Con la luce elettrica!
LENA - Perché con la luce elettrica?Io sonerei anche di giorno, mentre tu staresti davanti al cavalletto.
CESARE - Ma io sono un pittore d'aria libera!
LENA - Per questo, non ti sei mai accorto che un modellino ce l'avevi anche qui, in casa.
CESARE - Ti piacerebbe che ti facessi il ritratto?
LENA - Dopo tanti mesi di matrimonio… sarebbe tempo che ti accorgessi anche di me. Ma tu sei un pittore d'aria libera!
CESARE - Anch'io ero ritrattista, una volta.
LENA - Come l'hai detto! "Una volta".
CESARE - E riuscivo bene. L'hanno scritto anche i critici!
LENA - Chi erano i tuoi modelli?
CESARE - Donne.
LENA - Donne! Quali donne?
CESARE - Quelle… che lo fanno per mestiere.
LENA - Soltanto?
CESARE - Una volta, feci un pastello alla contessa Dèbora.
LENA - Ah, una contessa!
CESARE - Settant'anni. Ora, è in un museo.
LENA - Chi, la contessa?
CESARE - Il suo ritratto.
LENA - E altre donne… meno venerande?
CESARE - Te l'ho detto. Modelle a un tanto l'ora.
LENA - Soltanto?
CESARE - Soltanto.
LENA - Ma… Perdonami, Cesare… Se posso giustificare che a me, dopo soli pochi mesi di matrimonio, non hai fatto ancora il ritratto… (si ferma) Niente.
CESARE - Continua.
LENA - Non volevo dire altro.
CESARE - Volevi dire…
LENA - No.
CESARE - E perché, Lena?
LENA - Io non ho detto nulla… Parliamo solo di noi. (pausa)
CESARE - Tu pensavi alla morta.
LENA - Non vorrei pensarci, Cesare; ma è più forte di me. (pausa)
CESARE - Mi fai soffrire.
LENA - Io soffro più di te. (Pausa. Poi, con impeto) Com'era? Molto bella? Vorrei vedere il suo viso.
CESARE - (con tristezza) L'ho dimenticato.
LENA - No.
CESARE - Mi devi credere.
LENA - Allora… Se io scomparissi… Se questo mare mi portasse via… Cesare, Cesare, dimenticheresti anche me?
CESARE - Ma che hai questa sera?
LENA - Questa sera… (con altro tono) È venuta la bambina poco fa.
CESARE - La bambina…
LENA - La figlia del pescatore.
CESARE - Fiordalina!
LENA - (con amarezza) Come ricordi il suo nome! Sì, quella che vi vedeva insieme sulla spiaggia.
CESARE - Per questo, volevi andarci…
LENA - E tu hai detto di no. Lei sola ci dev'essere stata con te.
CESARE - Ma che cosa pensi?
LENA - E m'ha detto che era bella.
CESARE - Zitta.
LENA - Più bella di me?
CESARE - Ho dimenticato, Lena. Non ci sei che tu.
LENA - Ma un ritratto devi averlo. Vorrei vederlo, il suo viso. (abbassando la voce) L'ho cercato tanto nella casa.
CESARE - (con durezza) Non ci sono più ritratti. Non c'è più niente di lei.
LENA - Guardarla per un attimo… Per essere sicura che, così come sono, tu puoi amarmi. Come hai amato lei.
CESARE - Più di lei, Lena.
LENA - Lo dici perché è morta. Se non fosse morta… oh, sarebbe ancora qui con te! E tu le prenderesti le mani… e gliele baceresti… come volevi fare a me.
CESARE - No. Tu non sai.
LENA - In questa sala stessa, è vero? Il suo pianoforte… E tu qui, vicino a lei. Oh, Cesare! (con un singhiozzo) Come potrò essere ora per te? Non la vedrai sempre tra noi due come la vedo io?
CESARE - (mormorando) Se tu sapessi…
LENA - Oh, lo so!
CESARE - Sai che è morta.
LENA - E per questo… è più forte di me. Come posso vincerla? Uno spettro!
CESARE - (con voce sorda, come se evocasse un'immagine lontana) Se n'è andata… Se n'è andata per sempre…
LENA - Forse, ora sì. Ora è lontana. Sono il tuo nuovo amore. Sono la donna che ti canta nell'anima, oggi. Ma domani…
CESARE - Domani… come oggi.
LENA - Quando questo tumulto si sarà sopito… Quando vorrò riposare sul tuo cuore… Quando dovrebbe scorrere la nostra lunga giornata serena…
CESARE - Come oggi, cara.
LENA - Tu sei sincero, ora. Ma domani, Cesare… Domani, tornerà lei…
CESARE - Non può tornare.
LENA - Sì… a poco a poco… Come tornano i morti, dai quali non ci possiamo difendere. Lo so, tu non vorrai pensare a lei. Ma tutto, qui, nella sua casa, ne ha conservato le tracce, mio povero Cesare… Lì si è seduta quel giorno, e una riga di sole le accendeva il colore della veste e il riflesso le ravvivava il viso… Ti ricordi? E un'altra mattina… Oh, le so anch'io queste cose! Sono donna.
CESARE - No. Era già morta per me.
LENA - (fissandolo) Come l'hai detto, Cesare!
CESARE - Morta, due volte.
LENA - Perché dici così?
CESARE - Tutto s'era cancellato. Ed ecco sei scesa tu a cercare nel fondo. Qualcosa di torbido ora torna a galla.
LENA - (tremante) Cesare… non comprendo bene… Ma ho paura d'averti fatto male… molto male…
CESARE - Lo devi sapere.
LENA - Che cosa? Non parlare.
CESARE - Parlerò, Lena. E il tuo spettro se ne andrà per sempre. (pausa) Ma non capisci che quella donna… quella donna… Ah! (si copre il viso con le mani)
LENA - Oh, Cesare! Non dirmi più nulla. Ti domando perdono.
CESARE - (con voce sorda, quasi a se stesso) L'ho cacciata… Via da me, via da me! E questa villa è rimasta chiusa. (pausa) Poi, la malattia. Una lunga agonia. È finita in casa di sua madre, dove s'era rifugiata. E lui… Abbandonata quasi subito.
LENA - Taci.
CESARE - Ecco. Ora, sai.
LENA - (con un soffio di voce) Che cosa ho fatto!
CESARE - (cercando di dominarsi) Avevi ragione. Quel pianoforte…
LENA - Non ci pensare più.
CESARE - Deve scomparire. (pausa)
LENA - Mi puoi perdonare? Sono stata cattiva… Ti volevo tutto per me…
CESARE - Sì, cara…
LENA - Mi perdoni?
CESARE - Dovevo tenerti lontana da tutto questo mio passato…
LENA - E io… per il mio grande amore… anche il tuo passato volevo… Oh, Cesare!
CESARE - Non c'è più nulla, Lena. L'alba mia nasce con te.
LENA - Sì… L'alba della nostra bella giornata… (gli prende le mani, poi, con tenerezza) Vuoi che ti suoni Chopin?
CESARE - Ora no.
LENA - Ora no. Restiamo così, in silenzio, con le nostre mani intrecciate.
CESARE - Le mani della mia pianista…
LENA - Le mani del mio pittore…
CESARE - Lena… Credi che saprò ancora dipingere?
LENA - Ma che cosa dici?
CESARE - Non so… C'è come una grande stanchezza dentro di me. La natura non mi parla più. Una volta…
LENA - (scherzando) Una volta… c'era la vecchia contessa Dèbora, che è finita in un museo. Ora, ci sono io.
CESARE - Ci sei tu.
LENA - E io devo essere il tuo solo modello.
CESARE - Questa casa… questo cielo… questo mare… Tutto dovrà scomparire…
LENA - Non ci sarò che io.
CESARE - (sorridendo) Allora dovrò fare come quei pittori del Rinascimento che non raffiguravano che una donna sola, sempre.
LENA - Una donna sola, sempre.
CESARE - E dopo tante prove…
LENA - Verrà il capolavoro.
CESARE - E lo esporremo. Con questo titolo: La sconosciuta.
LENA - Come ai tempi della contessa. E i critici ne tesseranno gli elogi.
CESARE - Ma chi lo comprerà? La contessa è morta.
LENA - Senti… Verrò io a comprarlo. Tutta velata; nessuno mi riconoscerà.
CESARE - (ridendo) Tu! Con quali danari?
LENA - Con quelli che devi darmi per comprare l'anello col grande smeraldo, che abbiamo visto insieme.
CESARE - Col mio stesso danaro?
LENA - Ma il danaro è mio, perché l'anello sarebbe stato mio.
CESARE - E che diranno i giornali, di questo scandalo?
LENA - Non sapranno nulla. Stamperanno, nelle cronache mondane: "La sconosciuta è stata acquistata da una sconosciuta. Ma questa volta non si tratta della veneranda contessa Dèbora. L'acquirente, che si è presentata misteriosamente velata, è invece molto giovane e dev'essere molto carina". Tu ne sarai lusingatissimo.
CESARE - Per due ragioni.
LENA - E il quadro ce lo porteremo lassù, nella mia piccola casa e lo appenderemo in alto, sopra il nostro pianoforte giallo.
CESARE - E sonerai Chopin.
LENA - E mi bacerai la mano.
CESARE - Che non avrà l'anello.
LENA - Perché? Non me lo vuoi più comprare? Oh, gli uomini! E me lo avevi promesso.
CESARE - Hai ragione, cara: dimenticavo.
LENA - Domani, dunque…
CESARE - Potremo partire…
LENA - E questa vecchia casa?
CESARE - La chiuderemo per sempre.
(si abbracciano, mentre cala il sipario)

pagina a cura di    Gigante Lorenzo Maurizio    per Salvatore Mugno

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