Invio a voi un testo magnifico di Eliodoro Lombardi, cittadino Trapanese, nel quale il poeta, magnifico visionario e profeta, legge il destino delle nobili anime a contrasto con la pochezza dei molti che giorni felici e Patria hanno devastato. Si leggano, maxime, le righe in grassetto evidenziate; in esse parole valide oggi più ancor di ieri. Coltivate del Lombardi la superba memoria; sarà ascritto a onore Vostro e della Vostra altrettanto nobile città. – Ringrazio ll signor Tacchella per l’invio.
AI SUPERSTITI DI CALATAFIMI Così, prodi, così lasciaste a noi Vi gracida così: «Dell’Ideale Sangue spendeste, e seminaste in cento Movendo incontro: e poi che, al fin vinceste Per l’irto orgoglio, che, turgido flutto, Ben vi stia se un tugurio ed uno strame Esser leone è ben, ma un po’ di volpe Apprender l’arte ben sagace e fina Parteggiar pel successo e pel banchetto Queste le norme onde abbrancar pel ciuffo Al porto andrebbe, ove i fastosi onori L’alma felicità con tonda faccia Invece ?… Uno stambugio, un pan stentato Così vien recitando il piccioletto
«E sia. Lustro ed onori al tumido pavone,
D’una patria il retaggio;
L’avvenir vi darà nome di eroi,
Ma il presente, più saggio,
Colmi la mente e il petto,
Poeti foste, e il senso del reale
In voi fece difetto.
Campi le vostre carni
Lacere; ad ogni rischio, ad ogni stento,
Rotti, squallidi, scarni,
Ed afferraste il lido,
Voi, d’ltalia fattor, voi non coglieste
Tanto da farvi il nido.
Vi precluse ogni via,
Voi l’albero piantaste, ed altri il frutto
Ne ciba. Or ben vi stia.
Vi prodiga la sorte,
Se di voi ride il mondo, e se la fame
Batte alle vostre porte.
Ci vuol dentro il cervello…
Le provvide malizie non son colpe:
Lo scrisse il Machiavello.
Di chi volvesi e gira
Ora a destra, ora a centro, ora a mancina,
Secondo il vento spira;
Della prospera sorte;
Starsene queto, avviticchiato e stretto
Sempre, sempre al più forte:
L’instabil Dea, con queste
Non è a temer vortici e gorghi, o buffo
Di venti e di tempeste.
Con vele aperte, d’ogni pondo scarca,
Fatta secura appieno,
Con esse andrebbe omai la vostra barca
Per mar fido e sereno,
E la pingue Opulenza
Stanno sul lito, e spande i suoi favori
La fulgida Potenza.
E con amabil riso
Ivi aprirebbe a voi le rosee braccia
Baciandovi sul viso…
Ed una larva ardita:
O malaccorti, è questo il vostro fato,
Questa per voi la vita !…
Vulgo a Voi, luminoso
Rudero di battaglie; e Voi, con detto
Fra beffardo e sdegnoso:
La fiera solitudine e il deserto al leone.
L’aquila che in un cavo dell’alpi il nido ha fitto
E che pugna, e che stenta a procacciarsi il vitto,
Ma che spazia, che s’alza, che varca il monte, il piano,
Che domina la selva, che affronta l’uragano,
E nel sole, esultando, nel sol che disfavilla,
Beve la luce, beve senza muover pupilla;
Forse il lombrico invidia che nel limo si abbica
E, pascendo a suo agio, di melma si nutrica ?
A ciascun la sua parte. Ad altri il nobil merto
Di ben fiutare il vento, e ritrarsi al coperto,
E in ogni dì foggiando nuovi e fallaci dei,
Dicendo al sol : sei l’ombra, all’ombra il sol tu sei,
All’eterna Menzogna, all’immonda Sirena
Curvar l’anima abbietta e la codarda schiena.
A noi balda e sincera la povertà che sdegna
Le oblique arti e dei Buoso la svergognata insegna;
A noi l’aria, la luce, il mar selvaggio, e pura
E fida amica, e madre, questa immensa Natura
Che ci mantien pur saldi muscoli e nervi, e dorso
Franco di basto, e bocca libera e senza morso,
E capo cretto, e guardo securo, anima altera
Che s’infrange, non piega, e coscienza intera.
A noi salir la rocca faticosa ove stende
Le man rudi la gloria a chi tenace ascende :
A noi, nel pan stentato, dello stento l’ebbrezza
Acre gustar, che a sensi alti l’anima avvezza,
E parerci una reggia la squallida stamberga
Che, ignudi, è ver, ma onesti, ma liberi ci alberga.
Oh la pingue opulenza ! Oh gli onori fastosi!
Ai mimi, ai mimi, ai lepidi Girelli; ai gloriosi
Gingillini del tempo a cui l’utile è nume,
E trafficar dei martiri fin l’ossa han per costume.
A noi, grulli ed ingenui, basti, e fia molto, il dire,
Coll’occhio intento ai vigili astri dell’avvenire,
Il dir fra le macerie e le infrante catene :
La terza Italia è sangue, sangue di nostre vene.»
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