Pino Ingardia



















Archivio culturale di Trapani e della sua provincia
"Solamente un giorno d'Estate" di Pino Ingardia

precedente

successivo

Parte 1


Il costone calcarenitico irto sul finire della piana, quando il tronco ferroviario Marsala-Trapani s'interna dal mare, ad incrociarsi con il torrente Baiata, cent'anni fa era una specie di altipiano a sciara ricco di zabarino sparso fra le rocce, oltre la manciata di casupole strette attorno al vecchio castello dei principi del paese la piazza e il vecchio convento del santopadre già diroccato e preso dai carabinieri a cavallo come stazione fissa.
I vecchi dicono che l'espansione verso Bordinoe la zona della casa Maiale cominciò col finesecolo. Carretterie nuove, tetti a tegola annegata, portoni ad arco e qualche portoncino verniciato spuntarono con la scesa dei montesi, la venuta delle famiglie dei giornalieri dell'interno, senza cambiare abitudini, parlata e nomi.
C'erano curatoli e soprastanti furbi, impegnati nei bagli dei signori di Trapani sparsi sulle prime colline a ridosso del paese, pecorai e caprai amici di questi, generosi di ricotte e malazioni.
I burgisotti non erano tanti, e siccome erano pure affittuari avevano a che fare spesso coi gabelloti e soprastanti per storie di gabelle, specie negli anni della carestia.
La grande massa dei giornatieri era più organizzata, sin dai primi mesi estivi del 1890, quando i mietitori venuti da Monreale sparsero la voce nelle contrade. Poi venne in agosto l'avvocato Montalto con gli operai di Trapani, a parlare del socialismo, a dire che si stava accendendo un fuoco grande in tutta l'isola, e un altro fuoco spuntò anche in paese.
Si costruiva con la pietra viva e lentamente man mano che si aprivano nuove strade dritte, si andò smantellando a gradi il vecchio castello, ormai disabitato, vuoto e inutile, che anzi una volta scomparso si vide nascere vicino una cava, quasi a cancellare il significato signorile per usarne il sottosuolo ad uso del riparo delle famiglie sparse che vi si andavano assembrando.
Costruzioni basse, semplici, che a cominciare si partiva con lo scavo del pozzo, se si trovava acqua di sorgiva, o con la sterna comune a più bocche come tanti caseggiati del santorocco che spesso si comunicavano nel sottosuolo, dove le donne in agosto si calavano tutte in un giorno a lavarne fondo e pareti piene di lippo, quando l'acqua finiva e si doveva ricorrere all'acqualoro di passaggio e mettere mano alle quartare di coccio.
Era una pietra rossiccia, friabile, granulosa. bucherellata come certi formaggi, che con l'usura dell'acqua e del vento produceva una farina finissima come borotalco, destinato a mischiarsi e confondersi con quello delle carreggiate, segnate al tempo delle piogge da infinite tracce di ruote di ferro, zoccoli, cantarate d'animali sparsi nel fango di collina di pietra.
Erano tutte case minute, carretterie per la mula, i paramenti per gli attrezzi e i fornelli per lo starinsieme del giorno, il lavare con le pile di pietra, il mangiare della sera, la stanza da letto coi quadri dei santi e il casalino per il cannizzo del grano e il letto delle figlie femmine.
Quando spuntò la lega di miglioramento dei giornalieri la prima riunione coi dirigenti stranei si dové fare nella chiesa sconsacrata del santopadre, che doveva essere pure lui figlio di giornalieri perché portò fortuna allo sciopero di quell'anno, fatto coi fittavoli contro i signori di Trapani che bazzicavano solo teatri e pasticcerie.
Don Ignazio Ingrassia, capo della lega, che si era fatto cristiano mangiando una vita burranie, patate e cocuzze, per tre mesi si alzò coi cinquanta pazzi del comitato di lotta alle quattro di ogni notte per bloccare le porte del paese e fermare i lavori della campagna.
Andò a consegnare lo stesso giorno con Bastiano del monte, l'altro capolega, il memorandum al Prefetto, per ammorbidire la testadura dei signori sulle gabelle e la giornata. Dissero poi che i montesi e i pacecoti erano diversi nelle richieste, ma era tutta propaganda dei soprastanti.
Lo sciopero era compatto. Si mise in giro la notizia che i giornali parlavano di un paese in rivolta e un giorno giunse una pattuglia di carabinieri a cavallo venuta dalla città, e si mise a caricare carretti e carrozzini senza motivo, spararono in aria, uscirono le sciabole e arrestarono dopo mezz'ora don Ignazio, dopo averlo prelevato alle porte del bordino, al rientro in paese dopo una nottata di girare sulle trazzere di Chiggiare.
Le femmine di casa si chiamarono al santorocco quando si sparse la voce del giro degli arresti. C'era ancora caldo e l'aria ferma faceva colare dalle fronti rivoli abbondanti di sudore sulle fronti cotte dei giornalieri e affittuari ammanettati e trattenuti con catenelle arrugginite dalle forze dell'ordine a cavallo, che scendevano a passo d'uomo come in processione. Quando furono vicini partirono d'improvviso le prime piettate, i cavalli s'infuriarono e ci fu il quarantotto per qualche quarto d'ora, fra grida, lamenti e bestemmie contro le divise. Erano sbucati a decine dai cortili più impensabili, dal serraglio, dalle viuzze con zappe e bastoni. Appena si aprì uno spiraglio si diedero al galoppo trascinandone tre tirati dalle catene a spezzargli i polsi per la furiosa corsa delle bestie colpite dalle legnate dei dimostranti. Don Ignazio era tra quelli.
Si seppe dopo che i nomi al Prefetto li aveva fatti uno della razza dei soprastanti, che coglieva voti per Nunzio Nasi, l'amico dei Fontana e dei Serraino. Dopo una settimana la mediazione del Prefetto portò qualche frutto e nasceva il primo accordo con la Cooperativa di affittanza, l'occupazione a prezzo concordato del feudo Conigli, mentre si aumentava la giornata di tre soldi.
La lega di miglioramento si riunì con Montalto e dopo qualche giorno uscì con Ignazio, festeggiato con una bicchierata notturna, dopo un lungo esame della situazione.
Venne pure un giorno il compagno Cammareri di Marsala a parlare della crisi agricola e del latifondo, ma diceva cose difficili col suo ragionamento della nazionalizzazione della proprietà.
I tetti a tegola annegata fumavano abbondante e non si fermarono quando si seppe degli spari e dei morti di Castelluzzo, davanti alla porta della lega dei quotisti. Erano di certo i soprastanti e i loro ruffiani.
E così, tra provocazioni, minacce e pretese, con l'arrivo della guerra i ricchi si misero in testa di sfasciare la timugna, aumentando le richieste del canone d'affitto, dando spago alle soperchierie dei soprastanti.

La mafia della provincia di Trapani, stanca di assistere a questi spettacoli politici, stanca di vedere il povero contadino spruttato da voi, arruffa popolo, vi invita a smetterla. Non solo, vi invita a far in modo che per mercoledì di questa settimana tutti riprendano il lavoro. Badate bene a quel che fate. Ricordatevi che siamo in Sicilia terreno non dei socialisti ma di nazionalisti. Ricordatevi che la mafia della provincia se mercoledì non sarà ripreso il lavoro, voi farete la fine del rag. Giovanni Orcel segretario Camera lavoro di Palermo.
Quanto sopra è stato decretato perché non è giusto che un disgraziato come voi, un delinquente come voi, si delinquente, perché mentite con la coscienza di mentire viva e porti alla fame tanti poveri contadini per il solo scopo politico. La mafia della provincia riunitasi a Marsala per decretare quanto sopra.
Marsala, 21.IX.1920.


Di questa ne arrivarono per posta, senza mittente, tre.
Il presidente della cooperativa, con Jaco, non ne fece cenno, che gliela portò ancora chiusa suo figlio Francesco a Gencheria, in mezzo agli altri accampati a gruppo, armati di fucile e con una pezza rossa stretta sul braccio. Aspettavano ormai da quindici giorni, sparsi sulle nere colline bruciate di ristoppie, coi muli manzi arrenati, dopo la consegna del memorandum della riunione di Salemi con tutte le cooperative di affittanza della provincia. Un'ora dopo arrivò al baglio Pietro, il segretario con l'altra copia, tutto sudato e pallido e se lo chiamò a solo nel pagliaio dell'accampamento.
- E che, non te l'aspettavi?
- Ma qui la partita si fa più difficile ... e poi non hai visto che non vogliono cedere? L'on. Pipitone stava dando l'anima per noi... lasciamolo trattare senza l'arroganza delle armi...
- Ma Pietro, indietreggi così alla prima minaccia?
I cornuti vogliono raddoppiata la gabella e tu t'illudi che indietreggiano con le chiacchiere? Hai sentito a Pietroburgo, e qui in Italia nelle fabbriche di Torino?
Stai tornando vivo per miracolo dalla guerra europea e non capisci che i signori la guerra la vogliono ora fare al feudo: la terra è nostra, di chi ha fame. È una partita che non possiamo giocare a metà.
- Don Jaco, è una pazzia continuare, mezzo paese ci vuole morti con questa idea delle guardie rosse.
- Vattene a fare i conti, và, pezzo di coniglio...
Il paese se ne stava acquattato, in attesa di novità e le donne uscivano appena per accompagnare con la scopa l'acqua dei canali; se ne stavano per ore a spiare dalle fessure delle porte accarpate qualche carretto di passaggio. Tenevano chiuso per non ricevere il prete, che in quei giorni girava a fare opera di persuasione fra le famiglie più esposte.
Pietro, che se ne stava in paese a tenere la contabilità della Cooperativa, una mattinata si vide spuntare dalla strada uno con la bicicletta dirigersi a gran velocità alla sua casa. Fecero un carrozzino e uscirono.
Uscirono subito dal caseggiato, a tre chilometri si fermarono e fu portato verso le buse del fiumesecco dove giaceva coperto di mosche Nino Scuderi il capo­squadra di Dattilo, staffetta di partito.
Quando fu portato in casa e adagiato sul letto in mezzo alle femmine che si straziavano trovò nella tasca del gilé la terza copia.
Si organizzò due giorno dopo la riunione delle guardie rosse, del partito e della cooperativa.
- Don Jaco vuole rovinare tutto! C'è tanta gente influente interessata all'abbassamento delle gabelle! Vediamo di fare intervenire il prefetto. C'è troppa gente nelle campagne latitante, che può diventare facile nemica dei socialisti, e la mafia non ha difficoltà a scaraventarcela contro. Chi ha sparato sul compagno Scuderi?
- Tu Pietro sei di quelli che pensi alla carriera e «il socialismo che trionferà» ti pare come nei libri che ti manda Prampolini. In queste settimane di occupandone tanti giornatieri sono diventati uomini, e da uomini vogliono chiudere questa partita. Che ne sanno a Roma di questa nostra miseria? E gli alletterati cosa altro sanno fare oltre gli articoli?
Lo stesso giorno alla casazza di don Jaco un carretto a lenta andatura coperto di frusce si fermò alle tre, coi corpi sanguinanti dei due figli, fulminati verso Dattilo.
La sera lo zio mentre si recava a visitare le salme dei nipoti venne investito all'angolo con la via Umberto I da una vampata nel buio.
La stessa notte i feudi vennero abbandonati in ordine sparso, senza fiatare. Quell'anno cadeva Bastiano del monte al bivio Gianguzzi senza una parola per calmare la pena di don Jaco e dei familiari dei-morti ammazzati. Si apriva cosi nel più nero silenzio la lugubre via delle Americhe. Un giorno qualunque del '23 un vecchio zoppo vendeva per la sua liquidazione i mobili e le sedie della cooperativa.


E-mail e-mail - redazione@trapaninostra.it