Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

CORALLO - Storia e arte dal XV al XIX secolo


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PREMESSA

Il culto del corallo, bene apotropaico, panacea di tutti i mali. La natura animale dei cormi scoperta nel XVIII secolo. Il mito presso i Greci, gli Arabi, gli Ebrei, gli Indiani. Impieghi nella farmacopea, nell'edilizia, nell'oreficeria, nell'arte.
Propiziazione delle funzionalità femminili, premessa ineluttabile di fecondità. Corallo usato come denaro. Nel '400 i corallari trapanesi erano quasi tutti Ebrei. Le due fasi della lavorazione: empirico-artigianale e artistico-culturale.

Corallo mito e panacea

Se un'epoca remota dovesse essere valutata e giudicata con gli occhi di chi la osserva a distanza di secoli, certamente risulterebbe deformata (o per eccesso o per difetto) e, quindi, snaturata.
Cosi, se noi oggi volessimo comprendere l'importanza che il corallo ebbe per i popoli del Mediterraneo (dal Medio Evo al secolo scorso) non potremmo assumere, come parametro, i nostri tempi.
Oggi i rami strappati dagli abissi ci appaiono come una qualsiasi materia dalla quale ricavare oggetti anche preziosi, ma null'altro. Quindi, questa valutazione, se imposta come grandezza unica per esaminare presente e passato risulterebbe fuorviante.
Il corallo non può essere considerato come materia a se stante; è parte del mistero che avvolge da sempre gli abissi marini, anzi è simbolo di mistero esso stesso.
Le leggende che incombevano nei resoconti dei marinai, l'esigenza di tendere l'arco del coraggio fino all'esaltazione della sfida quotidiana gratificavano il corallino conferendogli sul piano sociale quel prestigio di cui la sua condizione economica non lo accreditava.
Il cormo strappato all'ignoto condensava tutte queste prerogative e ne rappresentava l'estrema sintesi.
Fino al XVI secolo la scienza ufficiale affermava che il corallo era flessuoso come una comune pianta marina quando cresceva in fondo al mare, per diventare duro come pietra in superficie.
Questa sua prerogativa esclusiva, il colore demoniaco, la sua origine mitologica contribuirono a formare il culto del corallo che era prezioso quanto l'oro, ma piu importante di questo, perché al valore venale aggiungeva il potere apotropaico.
Una scienza medica empirica, il livello culturale medio estremamente basso, la religione intesa come punizione dei peccati correnti e una morale comune ipocrita per molti secoli furono premesse ineluttabili per una fede incondizionata verso il corallo panacea di tutti i mali e bene immunizzante da ogni imponderabile. Questo concetto universale si è formato autonomamente sia presso gli Orientali che gli Occidentali. Infine, questi due miti confluirono in un unico mito potentissimo e incrollabile, divenendo patrimonio comune delle due civiltà. Non deve, quindi, stupire l'ostilità che Incontrò il giovane medico francese, Jean-André Peyssonnel, il quale nella prima metà del XVIII secolo scopri la natura animale del corallo.
La scienza ufficiale gli si oppose, nella scia della difesa ostinata - e talvolta ottusa - della tradizione, ma soprattutto gli fu avversaria irriducibile l'opinione corrente. Solo l'Illuminismo metterà d'accordo scienziati e pensatori in una direzione univoca che porterà il corallo alla stregua di qualsiasi altra materia. Ma, prima d'allora, la fede nel corallo era incrollabile.
Ogni popolo si era creato una genesi che nella mutazione di uomini o divinità individuava una radice per confermare il suo potere e il suo mito.
Presso i Greci, era il sangue che sgorgava dalla testa recisa della Gorgone a trasformare in coralli le arborescenze marine sulle quali era adagiata; gli Arabi credono che Dio abbia trasformato le gocce di pioggia in perle e coralli; per gli Indiani il corallo è la metamorfosi di un essere umano; per gli Hawayiani invece fu una dea a trasformarsi.
Per più di dieci secoli il corallo fu panacea in tutti i mali e sinonimo di ricchezza: fu impiegato come bene apotropaico (solo che si detenesse anche grezzo), in medicina, nell'edilizia, nell'oreficeria e nell'arte (sia per ricavarne oggetti sacri che per trasformarlo in simboli scaramantici e fallici).
Ne furono dotati i bambini, guarnite le chiese e le gallerie private, fu dato ai morti perché li accompagnasse nell'aldilà, usato per ornamento femminile, come afrodisiaco, o mezzo propiziatorio nei riti induisti.
In occasione della peste che nella primavera del 1592 colpi la città di Trapani il medico e filosofo Pietro Parisi, insignito della cittadinanza onoraria di Palermo per i suoi meriti scientifici, prescriveva una ricetta: «piglia assenzio; santonico, una oncia mezza; reubarbaro, dramme due; rasura di corno di cervo, dramma una.
Facciasi polvere, della quale se ne potrà prendere una dramma in brodo di capone, & se sarà nobile se gli potrà dare la rasura dell'unicorno, la quale, oltra che oecide i vermi, è potentissimo rimedio contro la peste, & pesti/ere febbri. Et si sarà povero, diasi la nostra corallina, che-si piglia ne i nostri mari, alla quale non avanza medicina nessuna ...».
Più particolarmente, un'acqua cordiale era la confezione preziosissima di giacinti, fra i cui intrugli sono prescritti sia il corallo rosso che il corallo bianco.1
I cascami della lavorazione del corallo erano destinati ai noti usi della farmacopea medievale; oppure, miscelati alla flora sottomarina che accompagna e segue il corallo (quali parassiti animali ed avanzi di alghe), venivano inviati a Tunisi dove erano impiegati negli impasti di malta per preservare le case dagli scorpioni.2
Ma sono collegate all'idea di maternità le più affascinanti applicazioni profilattiche discendenti dalle prerogative cromatiche del corallo. Secondo le leggi omeopatiche, alla stregua delle pietre del sangue, il corallo ha prerogative eminentemente emostatiche.
Negli Abruzzi era credenza diffusa che un amuleto ottenuto dai presiosi rami marini fosse propiziatorio delle funzionalità femminili, premessa ineluttabile della fecondità.
Dalle madri il concetto era subito esteso ai bambini i quali venivano provvisti di corni, amuleti o talismani in corallo (fasce ombelicali, orecchini, collane).
Il corallo, quindi, racchiude in sé tutte le magie ed è «amuleto degli amuleti, talismano dei talismani, esso è un toccasana generale».3
Ma anche nel culto dei morti c'é posto «per arderlo in parte, insieme con i corpi morti dei re e satrapi loro, et in parte per sepelirlo con quelli delle persone piu opulenti, in guisa di nobil arnese (si come già gli egizj usavano di sepelir i lor morti con le cose che gli eran vivendo state piu care, et in Giudea con gli aromati)».4
Un cornetto di corallo è stato trovato nel corredo funebre di una tomba (scoperta alle pendici del monte Erice) che si fa risalire al primo millennio a.c. e custodito nel museo comunale della vetta.5
La presenza del corallo in un corredo funebre preistorico può essere considerata sostitutiva dell'ocra ed entrambe rappresentative del sangue con un valore certamente rituale.
Furono i Romani che, assorbendo antiche tradizioni di provenienza orientale, diedero il maggiore impulso all'impiego del corallo come scongiuro ed esorcismo contro il fascinum. Questa credenza si materializzò nel fallo che portavano appeso al collo i bambini a difesa dal malocchio e dal genio del male, e le donne come emblema della forza generativa e della fecondità.
La naturale morfologia dei rami di corallo riporta al mito dionisiaco e, per la rassomiglianza cromatica, a quel fallo che è stato oggetto di culto universale presso i popoli orientali e occidentali, fin da quando la tecnica neolitica lo riprodusse assieme alla vulva come espressione mistica enteficatrice delle eterne leggi della rigenerazione umana. Usanza questa, che prima dei Romani, era stata degli Etruschi.
In un recente scavo a Tarquinia sono stati ritrovati reperti di diverso genere in terracotta: statue, piedi, falli e uteri che venivano offerti in dono votivo alle divinità.6
L'usanza di proteggere i bambini con il corallo si può dire che sia sopravvissuta senza soluzione di continuità fino all'inizio di questo secolo, come pratica corrente e largamente seguita.7
Le famiglie piu raffinate ne tenevano un ramo nelle loro gallerie, equivocamente per ornamento, di fatto con celati propositi scaramantici.
Oltre che nelle corti di re, principi e nobili, a riprova che si trattava di un costume molto radicato in quasi tutte le classi sociali, nel suo testamento Giacomo Speciale «artium et medicinae doctor» annota una «branca di curalli»;8 si tratta di un grosso ramo non sottoposto ad alcuna lavorazione elencato assieme ai beni posseduti dal medico trapanese.
Il corallo come medicamento, in mura tura, simbolo di fecondità, succedaneo del sangue, afrodisiaco, amuleto, ornamento, ma anche denaro.
Il genovese Giovanni de Canobio vendette a Nicolò Scrigno (medico-fisico) e a Santoro Lulinu (banchiere) una nave per 160 onze. Sessanta di queste sarebbero state corrisposte in corallo lavorato.9
Sabuto e Mordochai Grecu (ebrei) comprarono dal nobile Enrico La Matina (banchiere) gli introiti della tonnara di Bonagia, sulle coste trapanesi, dando gli in pagamento 50 libbre di corallo lavorato.10
Ma come vedremo più avanti, una schiava mora fu comprata a Marsala pagando in corallo.



Frontespizio di uno dei tanti manuali di stregoneria stampati senza soluzione di continuità fino a qualche secolo addietro quando la superstizione era piu forte della scienza e di ogni dottrina.


Presso i Genovesi l'impiego del corallo come denaro era molto diffuso.
Marco Polo riferi, dopo uno dei suoi viaggi in Oriente, che i Tibetani lo usavano come moneta corrente.
Forse discende dalla esigenza animistica primordiale il culto per il corallo che accompagnerà perennemente l'umanità, con maggiore o minore intensità in rapporto all'alternanza della moda culturale vigente.
Secondo le fonti sanscrite, nel Navaratna (un anello magico) sono incastonate nove pietre preziose fra le quali il diamante, il rubino, lo smeraldo, lo zaffiro, la perla e il corallo.
Nell'altopiano iraniano veniva attribuita a Zaratustra l'esaltazione esoterica delle virtù profilattiche che dovevano fare del corallo l'archetipo degli amuleti e dei talismani.
Nel Vecchio Testamento e nella mitologia classica il corallo viene visto come simbolo della bellezza attribuita ai principi di Sion e per i Greci consacrata ad Apollo.
In un suo resoconto sul regno del Bebino, Filippo Pananti riferisce che gli aborigeni celebravano un rito selvaggio (chiamato festa dei coralli) durante il quale il re e i suoi dignitari intingevano le loro collane nel sangue umano implorando gli dei di non privarli di questo alto segno della loro dignità.
Solo pochi popoli sulla faccia della T erra non hanno cercato nel corallo una diga per arginare l'imponderabile costituito dal male.
Per il resto, isole disabitate sono state poi popolate solo dai corallini, civiltà sono sorte per arricchirsene e poi sono scomparse con il suo declino, una cultura si è formata sulle sue prerogative immunitarie per poi svanire con l'elevazione del livello culturale. Ma il mito del corallo non è stato mai cancellato; sopravvive nelle sacche sociali costituite dagli emarginati, salvo ad uscirne quando le classi preminenti decidono di riadottarlo.
Nella storia del corallo si possono comunque individuare due periodi (due vere e proprie ere): la prima antecedente al Medio Evo; la seconda va da quel periodo storico ai giorni nostri.
Tuttavia, in questa seconda fase, distinguerei due periodi: un primo tempo che fu caratterizzato dalla semplice ripresa del mito del corallo (la fase empirico-artigianale) durante la quale i preziosi rami marini vennero rudimentalmente trasformati per ottenerne monili (collane e bracciali) e «paternostri»; un secondo tempo (la fase artistico-culturale) quando a fianco dell'artigianato dedito alla fabbricazione dei monili sorse e si affermò una classe di artisti, che riscattò la dimensione animistica che prima di allora lo aveva accompagnato.
Comunque, fu una ragione spiccatamente fideistica (ebraica e cristiana) a rilanciare questo bene che dal XVI secolo in poi ebbe in Occidente (per esso intendendo essenzialmente Trapani) la sua trasformazione piu prestigiosa.
Agli inizi del '400, quando i pescatori della città falcata raggiunsero una notevole supremazia nella pesca dei rossi rami, la numerosa comunità ebraica residente a Trapani si occupò intensamente della loro lavorazione, assecondando un dettame della propria religione. (Poi - come sempre - sopravanzò la ragione economica). Di fatto in città era costituito da Ebrei il 90 per cento dei corallari.
All'assetto sociale di questi ultimi, al ruolo che ebbero nell'economia siciliana (e non solo in questa), ai rapporti con le comunità cristiane, alle ragioni che indussero il re Ferdinando il Cattolico a decretarne l'esplusione è dedicato un capitolo di quest'opera.
La ricchezza scaturita dalla pesca e dalla trasformazione del prodotto marino più ricercato, oltre alle perle, ha fatto risorgere e fiorire città come Barcellona, Genova, Trapani, Marsiglia, Livorno, Napoli e Torre del Greco (le capitali della civiltà del corallo). La fatica improba dei corallini, la pirateria, le pestilenze, le vessazioni fiscali non hanno soppiantato un'attività che ha arricchito mercanti, rimpinguato le casse dissestate dei regnanti, stimolato i traffici, contribuito a creare una classe di artisti-artigiani che tentarono (a Genova, ma soprattutto a Trapani) di sovvertire l'ordine sociale attraverso l'organizzazione di moti popolari per una gestione più allargata e meno oligarchica del potere.

1 C. Guida, Honora medicum, pag. 12.
2 L.B. Bianchini, Storia economico-civile di Sicilia, vol. I, pag. 270.
3 G. Tescione, Il corallo nella storia e nell'arte, pag. 16.
4 G.F. Pugnatore, Historia di Trapani, pag. 161.
5 C. Trasselli, La pesca nella provincia di Trapani, pag. 24.
6 S. Moscati, Pelle rosa, labbra rosse, in «L'Espresso» pag. 99, 16 settembre 1984.
7 Ferrante Imperato, Historia natura/e, Napoli 1590, vol. I, XXVIII.
8 AST - Not. Giovanni 'Saladino, 16 luglio 1454, II Ind. Testi: Vincio Census, Giovanni de Advena, Enrico Terracena. Cit. da A. Fontana. Sull'archivio notarile e distrettuale di Trapani, pag. 26.
9 AST - Not. Benedetto Trussello, 5 giugno 1451, in C. Trasselli, Sull'arte in Trapani nel 400, pag. 42.
10 C. Trasselli, op. cit., pag. 45.




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DEDICATO A:
Mario Tartamella

1986 © Copyright by
Maroda Editrice

I Edizione Aprile 1985
Il Edizione Ottobre 1986

Per il cortese contributo di esperienze, si ringraziano le famiglie: Adragna, Alagna, Barraco, Barresi, Burgarella, Cammareri, Cardella, Cirafici, Curatolo, D'Ali, D'Angelo, Fardella, Fa da le, Giacalone-Salvo, Governale, Ingarra, La Porta, Manzo, Marini, Marotta, Matranga, Messina, Orbosué, Parigi-Fontana, Romano, Todaro, Virga; nonché le Dirigenze del Museo Regionale «Pepoli» di Trapani e del Castello di Boloeil.

Un ringraziamento particolare al dottore Aldo Sparti (Direttore dell'Archivio di Stato di Trapani) per la costante e dotta disponibilità.

Fotolito: GAMBA - Roma

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