Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

CORALLO - Storia e arte dal XV al XIX secolo


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PESCA

Periodo dell'anno durante il quale si effettuava la pesca in Campania, Sicilia e Sardegna. Qualità di corallo pregiato. I Galli ornavano le loro armi con corallo proveniente da Trapani. Progressivo inabissamento dell'antozoo. Teoria sulla natura dei rami: molli sotto le acque, duri al contatto con l'aria. Origine mitologica del corallo. Metodi di pesca presso i Greci, i Romani e gli Arabi. Coralline e corredo per la pesca. Leudo. Formazione delle societas ad curallandum. Impiego dell'ingegno. Ripartizione degli utili. Accordi sulla vendita del pescato. Prezzi del grezzo in rapporto alla qualità. Salvacondotto per l'esercizio della pesca.


Per più di cinque secoli, in genere agli inizi del mese di aprile, i porti piti attivi della Sicilia, della Campania, della Liguria, della Provenza e dell'Africa settentrionale si animarono per l'intensificazione dell'attività che, assieme a quella delle tonnare, avrebbe improntato un'intera annata: la pesca del corallo.
In alcune località, però, la campagna di pesca veniva avviata qualche mese prima. In Campania iniziava in marzo e, in pratica, durava per tutto l'anno «... ab octavo die proximifuturi mensis (marzo) ... usque et per totum mensem augusti»: è la durata prevista nel contratto di «Societas ad curallandum» fra Jacobello de Laurito, Paolello Cicala e Mieli de Arado di Napoli.ll
Talvolta anche a Trapani la pesca aveva inizio in marzo, come nel contratto stipulato fra Simone de Vita e Giovanni Luca Garofalo. In esso, il primo si impegnava a fornire al secondo il corallo che avrebbe pescato «a primo mensis martii proximi venturi anni presentis ad annum unum continuum et completum».12
In Sardegna la pesca iniziava in marzo e durava fino al quattro ottobre (o alla prima domenica di questo mese) e veniva esercitata entro un raggio di 20-25 chilometri dalla costa «principalmente all'altezza di Carloforte medesimo di Capo Marasio e di Bosa».13
Arabi, Siciliani, Campani, Genovesi, Sardi e Catalani, soprattutto, vi attesero con estremo impegno e determinazione, malgrado che andare per i mari a strappare dai fondali i preziosi rami comportasse il concreto pericolo di essere fatti prigionieri e, talvolta, di essere trucidati dai corsari.14
Per sette mesi intensi e defatiganti (in molti casi, anche per tutto il mese di ottobre quando le condizioni del mare lo consentissero) i corallini tessevano i banchi (facendo affidamento esclusivamente sulla forza di braccia dei vogatori) calando la 'ncegna dove l'intuizione e l'esperienza suggerivano.
Un pò dappertutto, nel basso come nell'alto Mediterraneo, si trovava corallo (nel Golfo ligure, come in Toscana, Sardegna, Campania, Calabria e Sicilia); ma quello piu apprezzato pare fosse il siciliano, o quello che si pescava nel canale che separa la Sicilia dagli Stati Nord-Africani (in particolare a Marsa-el-Kharez e Tabarca).
Precisi riscontri storici confermano che in quasi tutte le province rivierasche dell'Isola si pescava corallo di almeno due qualità (rosso e nero), ma non sempre la quantità era rilevante.15
Agli inizi dell'era cristiana, nella Naturalis historia, Plinio16 accenna all'usanza praticata dai Galli di ornare le armi e le corazze con i coralli provenienti anche dalla Sicilia ed, in particolare, da Trapani.
Rimandando ad altra parte del presente volume la trattazione sulle marinerie che nel Mediterraneo pescarono il corallo, pare opportuno, in questa sede, tornare su una annotazione di Plinio, il quale fornisce una prima utile indicazione sulle diverse profondità alle quali, nella successione dei secoli, il corallo si è ambientato.
Plinio affermava che, sotto le acque, i rami erano molli, mentre diventavano duri al contatto con l'aria, o al tatto umano.l7
Dello stesso avviso è Ovidio nelle Metamorfosi, quando ribadisce che quello che in acqua era pianta flessuosa, all'aria diventava duro come la pietra.18
Entrambi gli autori, tuttavia, risentono degli influssi della mitologia greca a proposito della Gorgone. «Ad essa si attribuiva, fra l'altro, l'impietrimento di Atlante, di Fineo, di Polidette e dei Serifi. Il motivo fu trasferito alla vita animale con la leggenda che i coralli abbiano acquistato la proprietà di indurirsi all'aria, grazie al sangue della Gorgone, che, filtrando attraverso la Kibisis, cadde nel mare».19
Ma c'è anche un'altra origine mitologica del corallo, che riguarda i Trapanesi. Secondo la leggenda, quando Cam, figlio di Saturno (per la mitologia fondatore della città: Camesena), scopri il padre nudo su una spiaggia di Trapani gli recise i genitali con un colpo di falce, ed il sangue, stillando nel mare, avrebbe ricoperto i rami di alcune piante marine, le quali - cosi - si sarebbero trasformate in rossi coralli.20
Il nome latino curalium o corallium, secondo Plinio, deriverebbe dalla parola greca il cui tronco Koure significa tosare, recidere, devastare e, dalla desinenza Als, mare. A dare un significato reale alla parola contribuisce la descrizione della pesca del corallo fatta dallo stesso Plinio, anche sulla scorta di quanto avevano tramandato gli scrittori greci.
I metodi in uso nel Mediterraneo durante il I secolo d.C. erano due. Il primo veniva praticato con le reti che, impigliandosi nei rami, li staccavano dai fondali con lo strappo; l'altro consisteva nell'impiego di un attrezzo di metallo tagliente che serviva per recidere alla radice il ramo.21
Tutto questo prova che, agli inizi dell'era cristiana, il corallo cresceva su fondali tanto bassi da consentirne la pesca in apnea. Anche l'affermazione che il corallo fosse molle in acqua dovette essere causata dalla rifrazione continua che il moto ondoso provocava sull'immagine dei rami, in quanto questi si osservavano dalla superficie del mare.
Più tardi il vescovo di Rennes, Marbodo (poeta e agiografo, in lingua latina, fra i piu significativi dei secoli XI e XII), ribadi che a quell'epoca il corallo veniva pescato ancora con gli stessi metodi descritti da Ovidio, cioè con le reti e con l'uso di un ferro acuminato per staccarlo dalla roccia:

«Corallus lapis est dum vivit in aequore vimen:
Retibus avulsus vel caesus acumine ferri,
Aere contactus fit durior, et lapidescit».

Giovanni Stradano in un'incisione del XVI secolo raffigura due pescatori provvisti di appositi occhiali (per proteggersi gli occhi) che si stanno immergendo mentre altri quattro tornano in superficie con altrettanti rami di corallo in mano.22

Incisione di Stradanus raffigurante la pesca del corallo in apnea nei mari siciliani
a riprova che i cormi crescevano a poca profondità.

ATTENZIONE PER VOLONTA' DELL'AUTORE IL CAPITOLO E' INTERROTTO

11 ASN - Not. Andrea de Afeltro, 10 febbraio 1429, VIII Ind. In. G. Tescione, Italiani alla pesca del corallo, pag. 294.
12 AST - Not. Roberto de Afinara, 18 febbraio 1422, XV Ind. Testimoni: Nicola Dactulus, Riccardo de Honocondi, Pandolfo de Tubia e Salvatore de Celi.
13 Targioni-Tozzetti, Relazione al Ministero dell'Agric. Ind. Comm., La pesca in Italia, vol. I, pagg. 248-250.
14 La pirateria veniva esercitata da chiunque andasse per mare; ma cristiani e musulmani se ne facevano reciproco addebito.
15 Dioscuride parla del corallo che si pescava a Siracusa.
16 C. Plinius Secundus nacque a Como fra il23 e il24 d.C. mori nel '79 durante un'eruzione del Vesuvio.
17 Plinio, Naturalis Historia, Cap. 2, libro XXXII.
18 Ovidio, Metamorfosi, libro IV versi 741-751. «Nunc quoque coraliis eadem natura remansit, duritiam tactu capiant ut ad aerea, quodque vimen in aequore erat, fiat superaequora saxum').
19 Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti. Ed. 1949; voI. XVII, pag.o 553.
20 Macrobio, Sa tu rnalia.
21 Claudiano (Claudius Claudianus). Visse fra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C. Nel poemetto scritto per le nozze di Onorio Augusto e Naria, descrive le immersioni della Nereide Doto che strappava dal fondo del mare rami di corallo per offrirli alla coppia, «Mergit se subito vellitque corallia Doto. Vimen erat, dum stagna subit; processerat undis gemma fuit".
22 Giovanni Stradano (Stradanus). Il suo vero nome era Jan Van Der Straet, nacque a Bruges nel 1523 e mori a Firenze nel 1605.



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Mario Tartamella

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Il Edizione Ottobre 1986

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