Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

CORALLO - Storia e arte dal XV al XIX secolo


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ATTREZZI

Pesca in apnea. Uso dell'ingegno e sua descrizione. Differenti corredi in Sicilia e Campania. Calate. Impiego dell'argano. Primo motore su una corallina. Ingegno chiaro. Salabre, sbiro, tortolo. Scafandri e sottomarini. Condizioni a bordo. Permanenza sui banchi. Preghiere propiziatorie. Salari dei corallini. Esodo verso il Nord Africa. Incentivi dei Francesi. Alimentazione a bordo a Trapani, Livorno, Carloforte, Genova. Panatica. Compensi in Sardegna alla fine dell'800. Emigrazione. Diserzione.

Quando il corallo attrasse l'uomo, e l'avvenimento deve risalire ai primordi delle civiltà organizzate, il problema della sua pesca non dovette presentarsi certo arduo.
È documentaI mente dimostrato che in epoche remote grossi rami si trovavano a profondità assolutamente trascurabili e quindi per impossessarsene non era necessario un grande dispendio di energia.
Tuttavia, si faceva ricorso ad un attrezzo di metallo tagliente che agevolava l'opera dell'uomo-pesce che veniva incaricato di prelevarli dal fondo del mare.
Più tardi, invece, gli Arabi si servirono di un attrezzo che giunge a noi con la denominazione di 'ngegna, termine di chiara derivazione latina.43
Praticamente, senza soluzione di continuità, per dieci secoli (e forse anche di pili) gli uomini che hanno popolato le coste del bacino del Mediterraneo si sono serviti dell'ingegno per svellere i rami.
L'insostituibilità e la dannosità - imputata a questo attrezzo - (che, salvo lievi modifiche, è sopravvissuto al rinnovamento tecnologico) sono state sempre oggetto di alterne dispute.
Di certo oggi le repubbliche del Nord Africa ne inibiscono l'uso perché sostengono che, non essendo crontrollabile dalla superficie, arrechi danno ai fondali dove crescono i preziosi rami pregiudicandone la riproduzione.
Ciò nonostante l'ingegno resta sempre l'attrezzo usato dalla stragrande maggioranza dei corallini mediterranei, italiani in particolare.
I geografi arabi44 lo descrivono come un attrezzo formato da due bastoni di legno incrociati (zavorrati nel punto di intersezione) all'estremità dei quali erano posti brandelli di rete a doppio telo di lino o di canapa che si impigliavano sui rami di corallo e li strappavano dalla roccia sulla quale erano aggregati. Zavorra e bracci venivano saldamente legati per mezzo di una funicella e tutto l'attrezzo era collegato ad un cavo robusto che serviva per manovrarlo dalla superficie.45 In pratica l'effetto di impatto dei bastoni sugli scogli dipendeva dalla zavorra in pietra collocata nel punto di incrocio dei due bastoni, utile anche per agevolarne la rapida discesa in acqua.
A parte lievi modifiche strutturali e alcuni adattamenti alle esigenze di qualche marineria locale, l'ingegno, cosi come è stato descritto dagli Arabi, è rimasto immutato attraverso i secoli.
Seguendo gli storici che nelle diverse epoche ne fecero una accurata descrizione si può conoscere l'esatta differenziazione fra i vari tipi impiegati dai corallini.
Sul finire del XVI secolo l'attrezzo usato a Trapani46 era costituito da due legni incrociati lunghi cinque palmi ciascuno con «quattro reticelle» quadre anche queste di cinque palmi per «banda» le cui maglie erano pitI «ferme però, e piu rade, di maglia che non son quelle con cui il pesce si prende».
Al centro delle assi di legno era legata una pietra informe o appena sbozzata (ma che nel XIX secolo viene descritta di forma semisferica). Nel complesso, una 'ngegna non molto ingombrante vista su una barca «da quattro persone spinta».
Erano le reti che, distendendosi e muovendosi in acqua in direzione opposta a quella della barca, strappavano i rami dalle «pietre tuffose» dove «volontariamente s'alligna».
Lo storico francese Henri Bresc sostiene che «a Trapani, le reti sono dette ricze come quelle usate per la pesca del pesce, fatto che indica la mancanza di una specializzazione nel lavoro del corallo. Altrove, di fatti, si chiamano redassie - redacie a Marsiglia nel '300 - radacas sulle barche catalane di Trapani nel 1423 ».47
È certo che il termine ricze (usato per altro solo in alcuni contratti) è di derivazione latina e il latino (quasi in tutta Italia) fu lingua notarile ufficiale fino a tutto il '700, e in molti casi pure agli inizi del XIX secolo. Tuttavia, nel '400 contemporaneamente si usavano sia il termine ricze che ricie, tanto a Trapani che in Campania.48
Lo storico francese afferma inoltre che l'impiego di generiche ricze da parte dei Trapanesi (e come abbiamo rilevato anche dei Napolitani) implica la loro «mancanza di specializzazione nel lavoro del corallo».
Secondo Pugnatore il corallo nasceva «in sul fondo del mare, ma non nell'arena, se non su le pietre e specialmente tuffose» (cioè sul calcare compatto) «per potere dentro ai suoi fori porre le radici piu ferme».
Fino al XVIII secolo inoltrato si riteneva che il corallo appartenesse al regno vegetale.49
In Sicilia, intorno al 1740, dai punti estremi dei bracci della «croce» pendevano solo quattro gruppi di reti e sulla corallina era montato una argano, per manovrare la «grancroce».50
L'inglese Brydon51 definisce «machine» l'attrezzo usato dai Trapanesi e lo descrive come una grossa croce di legno, con al centro una pietra pesante e dura capace di trascinare la croce in fondo, sul «letto di corallo».
Ad ogni estremità dell'ordegno erano sistemati piccoli pezzi di rete.
Nell'ultimo quarto del XIX secolo in Sicilia ognuno dei legni dell'ingegno misurava ancora cinque palmi; le «reticelle» erano sempre disposte nei quattro punti estremi della croce ed erano lunghe «cinque palmi l'una», «ma piuferme e piu rade di maglie delle reti da pesci».
L'andamento della «calata» (il tempo che intercorre dal momento in cui l'attrezzo si butta in mare a quello in cui riemerge) fornisce altri elementi di raffronto: «la barca spinta con remi da piu persone rimorchia la pietra ed i legni con le reti appresso, in sul fondo per distese, e alquanto increspa te: ad esse allora tutto il corallo, che incontrano, nelle loro maglie avviluppando, di là dove è radicato, lo svellono, e secondo che sono ritirate, seco lo traggono».52
Dopo il 1880 per la costruzione della 'ngegna veniva impiegato legno di quercia o di leccio, mentre i brandelli di rete (detti «coscioni») erano lunghi ciascuno due metri e mezzo circa e la zavorra era costituita da pietra o ferro.53
I gruppi di rete diventarono cinque: i Trapanesi ne aggiunsero uno («coda di mezzo») nel punto di intersezione dei bracci, (le altre erano denominate «code»). Le reti, che erano di due qualità (a maglie grandi e a maglie piccole), misuravano un metro quadrato e ogni «fiocco» pesava mediamente tre chilogrammi (quando era asciutto). Di dimensioni decisamente piti rilevanti era l'attrezzo usato dai Torresi: la lunghezza delle assi era di 4-5 metri, mentre i «rizzinielli» («purgatorio» e «cosciuni») erano di numero da 25 a 35 (divise in 5 gruppi) lunghi 8 metri.
L'ingegno trapanese al completo superava il peso di due quintali, quello torrese piti del doppio, ma non su tutte le coralline siciliane e campane veniva azionato con l'argano.
Nelle imbarcazioni più piccole la «croce» si issava a bordo a mano, cioè esclusivamente con la forza delle braccia dell'equipaggio. Nel corso della lunga giornata lavorativa questa operazione si effettuava almeno tre volte, preceduta e seguita da un continuo sforzo muscolare causato anche da tutta un'altra serie di lavori.
Le coralline per navigare si servivano delle vele (talvolta occorreva anche l'ausilio dei remi), ma quando si dovevano arare i fondali con l'ingegno si muovevano usando i remi. Solo nel 1898 a Torre del Greco fu installato un motore su una corallina.54
L'alta temperatura estiva e l'esposizione pressocché continua al sole (durante gli otto mesi in cui si protraeva l'attività) accrescevano la fatica. Il riposo non superava mai le sei ore. «Chi poteva far presente le loro sofferenze? Ignorati e poveri rimanevano sottomessi a tanti tiranni, per i quali l'utile era il proprio tornaconto e non la conservazione degli uomini».55
A Torre del Greco e a Trapani per i corallini andava comunque male: «gli uomini vivevano veramente tra difficoltà e disagi, anche di ordine affettivo e familiare, dovuti alla prolungata permanenza fuori casa; infatti agli otto mesi di pesca (da Pasqua ai Morti) si aggiungevano quelli necessari per raggiungere le piazze di raccolta del corallo, che per la vendita dello stesso»56 che doveva essere inoltrato a Genova o Livorno.
La permanenza in mare si protraeva per una-due settimane57 a seconda che la zona prescelta per la pesca si trovasse vicina o lontana rispetto al luogo di partenza.
Le piccole imbarcazioni, invece, rientravano quasi ogni sera.
Anche i ragazzi venivano risucchiati nella spirale dei sacrifici affrontati dai pescatori per sostentare la famiglia.
Il 5 marzo 1876 il Compartimento Marittimo di Napoli autorizzò con regolare Libretto Matricolare Ferdinando D'Amato, che aveva solo lO anni e sei mesi (era nato a Torre del Greco il 28 giugno 1865), ad imbarcarsi in qualità di mozzo su una corallina diretta alla Maddalena.
Le testimonianze raccolte sull'ultimo ventennio del secolo XIX confermano che l'attività iniziava la mattina presto, ai primi chiarori (fra le 4 e le 5). Giunti sul posto stabilito l'equipaggio ammainava le vele, toglieva il timone e il padrone si spostava a poppa per recitare una preghiera e implorare San Pietro per una ricca pesca (come fanno ancora oggi i tonnaroti trapanesi nelle tre tonnare superstiti di Favignana, San Giuliano-Palazzo e Scopello), quindi si buttava in mare l'ingegno.58 «Si lavorava 15-18 ore al giorno e si effettuavano 5-6 cale... Il lavoro non si esauriva neppure con la fine della pesca: a sera, durante il viaggio di ritorno, bisognava arrecettare l'ingegno che voleva dire prepararlo per il giorno successivo».59
Per otto mesi i corallini conducevano una vita al limite delle possibilità umane con compensi che, nella stragrande maggioranza, erano appena sufficienti per la sopravvivenza loro e delle rispettive famiglie. Alla fine dell'800 sulle coralline trapanesi erano pochi i componenti della ciurma che percepivano emolumenti compresi fra le 400 e le 500 lire per una intera campagna.60
Queste retribuzioni venivano considerate abbastanza elevate in un'epoca in cui non c'erano molte alternative di lavoro.
La pesca era scarsamente redditizia e la prospettiva di un ingaggio sui grossi bastimenti che solcavano l'oceano (anche se economicamente piti allettante) comportava separazioni molto prolungate e laceranti dalle famiglie. Tanti pescatori preferirono perciò continuare a sopportare le fatiche dell'attività corallina piuttosto che accettare i rischi di una trasformazione radicale delle proprie abitudini di vita, anche perché il miglioramento economico sarebbe stato esiguo.
Ma il punto di rottura restava sempre immanente. Gli incentivi dei Francesi . (che intendevano colonizzare l'Algeria e costituire una propria flotta corallina) e l'emigrazione, che apriva la prospettiva per il riscatto economico e sociale, assottigliarono sempre piu lo stuolo dei pescatori di corallo, fino ad estinguerlo.

L'ingegna (in una stampa d'epoca) e il suo impiego pratico.

ATTENZIONE PER VOLONTA' DELL'AUTORE IL CAPITOLO E' INTERROTTO



43 Mongitore, Sicilia ricercata nelle cose piu memorabili, pago 194: «A trapanesi è attribuita l'invenzione dell'ordegno di pescare il corallo», frase riportata 20 anni dopo da A. Leanti, Stato presente della Sicilia, pago 169, voI. I. Tuttavia, entrambi gli autori non citano in base a quale fonte debba essere accreditata tale affermazione.
44 Description de l'Afrique Septentrional par EI-Bekri, par Mac Guckin de Slane, pago 118, Parigi 1913; Kitab-EI-Istibcar L'Afrique Septentrional au XII siécle de notre ére, traduite par E. Fagnan, pago 28.
45 A. Trapani chiamate rispettivamente «palombe» e «calamento».
46 G.F. Pugnarore, op. cit., pag. 162
47 Henri Bresc., Il corallo siciliano nel Mediterraneo Medievale, in «Fardelliana", n. 2-3, 1982, pag. 41.
48 AST - Not. Benedetto Trusello, 7 luglio 1447, X Ind. Not. Giovanni Forziano, 12 gennaio 1453, I Ind. ASN - Not. Andrea de Afeltro, 2 dicembre 1430 (in Tescione op. cit).
49 A.Leanti, op. cit., pago 170.
50 A. Mongitore, op. cit., pagg. 194-5.
51 Brydon, A tour through Sicily and Malta, pag. 345.
52 R. Gregorio, Opere rare edite ed inedite riguardanti la Sicilia, pag. 758.
53 G. Baldoni, Il corallo considerato come specie animale e come prodotto commerciale, Trapani 1882, pag. 49.
54 B. Liverino, Il corallo, pag. 25.
55 P. Loffredo, Una famiglia di pescatori di corallo.
56 B. Liverino, Il corallo, pago 194.
57 C. Parona, Il corallo in Sardegna, pag. 59. «Partivano dal paese Carloforte la sera della domenica e non ritirandosi che alla sera del sabato successivo».
58 C. Parona, op. cit., pago 55. Questo rituale veniva osservato dai corallini sardi di Bosa e Carloforte.
59 B. Liverino, op. cit., pago 32. «E la vita dei pescatori è stata dura fino a non molto tempo fa. Un corallino, ormai a riposo, mi diceva che nei non lontani anni 50 (1950), quando lavoravano a Porto Conte usavano accamparsi alla meglio in una insenatura sottostante una casa di pena. I detenuti... si dicevano dei veri signori confrontando la loro vita con quella dei pescatori».
60 G. Balboni, op. cit., pago 51.



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DEDICATO A:
Mario Tartamella

1986 © Copyright by
Maroda Editrice

I Edizione Aprile 1985
Il Edizione Ottobre 1986

Per il cortese contributo di esperienze, si ringraziano le famiglie: Adragna, Alagna, Barraco, Barresi, Burgarella, Cammareri, Cardella, Cirafici, Curatolo, D'Ali, D'Angelo, Fardella, Fa da le, Giacalone-Salvo, Governale, Ingarra, La Porta, Manzo, Marini, Marotta, Matranga, Messina, Orbosué, Parigi-Fontana, Romano, Todaro, Virga; nonché le Dirigenze del Museo Regionale «Pepoli» di Trapani e del Castello di Boloeil.

Un ringraziamento particolare al dottore Aldo Sparti (Direttore dell'Archivio di Stato di Trapani) per la costante e dotta disponibilità.

Fotolito: GAMBA - Roma

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