Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

L'odore della cera - di Giovanni Cammareri


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IL DIAVOLO E L'ACQUA SANTA - Monitor n° 36 - 10 novembre 2006


Martina Franca: Basilica di san Martino. san Martino di Tours, tempera anonima sec. XIX

Di san Martino, come di ogni altra festa, se ne parlava ogni anno. Le nostre buone maestre delle elementari scandivano i giorni della scuola percorrendo i giorni del sacro che scorrevano ordinati, puntuali, nella giusta distanza l'uno dall'altro. Alimentavano la memoria, le nostre buone, care maestre delle elementari. Ci regalavano il senso della cultura innaffiando le nostre radici e infiammando ci la fantasia.
E il tempo andava. Scorreva lento. Anzi, normale.
Regolare, ecco, scorreva per come doveva andare; tranquillo e profumato dall'odore pungente delle matite temperate.
Un anno, insomma, durava esattamente un anno e sarebbe troppo poco dire ch'era tutto li: l'estate fredda dei morti e l'estate di san Martino... santa Lucia e Natale, Carnevale, Pasqua... . Finiva e ricominciava. Questo lungo rosario sciorinato fra letture e poesie da imparare a memoria. Mese dopo mese, stagione dopo stagione. Anno dopo anno.
Per san Martino ci piaceva sognare. Quelli con il cavallo il mantello e la spada fanno sempre sognare i bambini. Almeno quelli di una volta. Quelli di oggi... bè, non saprei.
Può darsi ci riescano certi altri cavalieri abitatori di videogames, sempre alle prese con spaventosi esseri del male, orribili figure che a volte perfino uccidono i cavalieri.
San Martino, come tutti i cavalieri di una volta, aveva un fare da gentiluomo; oltre al coraggio l'animo era sensibile e il cuore custodiva la nobiltà che si richiede agli eroi.
La storiella la conosciamo tutti; quando con la spada fece a metà il suo mantello fu per riparare dal freddo un povero viandante desideroso di aiuto. Ci dissero, le maestre, che il viandante era Gesù. Martino ovviamente non lo sapeva, ma il suo generoso gesto venne premiato con il sole che spuntò improvviso in quel cielo terso di novembre, a non fargli patire il freddo.
Fu l'estate di san Martino. Che ogni anno puntuale ritorna.
L'età adulta però, capovolge ogni cosa. Le convinzioni diventano dubbi e i miti sbiadiscono nell'incertezza dei racconti.
San Martino di Tours, dio delle battaglie, divenne re dei beoni, mentre il povero viandante che si prese il mezzo mantello nelle apparenze di un povero diavolo, come a volte si dice, era invece esattamente il diavolo; sì, il demonio nelle mentite spoglie di un vecchietto infreddolito.
Riporto testualmente Pitrè: Una volta il diavolo gli si presentò in forma di povero che moriva di fame, e gli chiese la carità; ma S. Martino che non aveva neppure un quattrino in tasca, lo rimandò. Il diavolo, sempre infingendosi, tornò a chiedere, e tanto chiese, pregò e supplicò che il Santo togliendosi d'addosso il mantello glielo diede. Il diavolo lieto della burla) gli si svelò; ma S. Martino non si scompose; che anzi con la maggior calma del mondo gli disse: lo t'avea creduto un povero, e ti avevo dato la roba mia; adesso che ti conosco, ti caccio via da me, brutta bestia! Va nei profondi dell'inferno! .
All'inizio del medesimo stralcio il noto folclorista rimarca frattanto il seguente detto popolare: cui si leva di viml) dici: viva Sammartinu!; a proposito cioè della storia che lo erge a protettore dei beoni.
Chiedendone il perchè a un qualsiasi bevitore di vino dei tempi andati, questi non esitava a disquisire sulle ottime referenze, proprio in materia enologica, del santo. Da qui il singolare protettorato.
Non manca invece, chi afferma che egli fosse addirittura astemio e che in seguito al celebre e controverso episodio, fondato un monastero assieme a ottanta discepoli, la virtuosa compagnia trascorse i suoi giorni nella totale astinenza a Bacco.
In realtà, il collegamento fra san Martino e il vino, nasce in modo del tutto incidentale.
Parecchio a causa dell'abusata rima. La restante parte trova conferma nel casuale legame fra 1'11 novembre, giorno dedicato al santo, e il periodo della trasformazione del mosto in vino: a san Martinu ogni mustu è vintl. E poi ancora: Ppi san Martinu si tasta lu vinu; si vivi lu vinu e chi più ne ha più ne mette, e chi non lo beve non va in paradiso e rischia di vedere trasformato il vino in aceto!
Allora in questa giornata occorreva fare baldoria. Mangiare e soprattutto bere a sazietà. Magari inzuppando i cosiddetti biscotti di san Martino nel.. .moscatello. Al termine di un lauto pranzo. Perché a Palermo era in uso organizzare dei gran banchetti. A base soprattutto di tacchino. L'usanza è riferita da Enrico Onufrio, Guida pratica per Palermo, anno 1882. Egli parla di abitudine così inveterata, che tu non sai bene se la festa sia in onore del dio Martino o del dio tacchino: è un bellissimo argomento per un archeologo conclude. Mentre Pitrè ricomincia:
Non è a dire la baldoria che si fa per il pranzo di questo giorno... . Si mangia a crepapelle e si sbevazza fino alla sazietà; conseguenza: chiacchierio, vocìo, urli, un vero baccano. . . così si crede di fare onore al santo.
Povero Martino.
Perché se da noi non si banchetta, quanto meno non dimentichiamo di fare uno spuntino a base di muffuletto imbottito con semplice mortadella o condito con sale e olio. A S. Vito Lo Capo con il vino (ancora) cotto.
L'usanza è un tantino confusa. Intanto nell'agrigentino chiamano muffulette (cu cimulu duci, ossia coi semi di finocchio) i pani tirati in luglio a san Calogero, di fatto meglio paragonabili ai nostri francesini, sia come forma che per consistenza.
I locali muffuletti, intanto di genere maschile - confermato dal Biundi il quale alla voce muffulettu, non muffuletta, traduce:
pagnotta molle e spugnosa - pare siano il risultato di una distrazione, quando il giorno di san Martino qualcuno aggiunse troppa acqua alla farina. Allora, per rimediare - gettare tutto sarebbe stato uno spreco - pensarono di condire l'impasto con il finocchietto, dandogli infine poca cottura.
Povero Martino, dicevo.
A sentire di queste storie sembrerebbe ormai appartenere al mondo sottosopra dei cavalieri sconfitti nei videogames, altro che privilegio di coprire Dio!
Ma io voglio ancora ricordarmelo uguale a quello conosciuto dentro ai libri di lettura delle elementari. Con le nostre buone maestre che ci narravano di un santo eroe dal cuore grande e il mantello e il cavallo e un'arma scintillante che ci faceva impazzire a solo immaginarla, quella spada dall'elsa d'oro.



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