Archivio culturale di Trapani e della sua provincia
Calatafimi e Garibaldi di Carlo Cataldo


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CALATAFIMI E GARIBALDI

Saggio storiografico commemorativo
sulla battaglia di Pianto Romano (15 maggio 1860)

(Testo integrale del discorso commemorativo tenuto, il 15 maggio 1990, nell'Auditorium della Biblioteca Comunale di Calatafimi, dal prof. Carlo Cataldo, alla presenza di Autorità e di rappresentanze di Società garibaldine).
Premesse storiche del 15 maggio

Un mese prima della memoranda battaglia di Pianto Romano ­ il 4 aprile 1860 - a Palenno la storica campana della Gancia dà, ai cospiratori antiborbonici della provincia di Trapani, il segnale dell'insurrezione:
Secondo un piano convenuto, nei vari comuni vengono deposte le legittime autorità e vengono proclamati "governi provvisori italiani" nel nome di "Italia e Vittorio Emanuele". Il 6 aprile insorgono Alcamo, Castellammare, Trapani; il 7 aprile Calatafimi, Gibellina, Poggioreale, Salaparuta, Partanna, Paceco, Vita, Mar­sala, Mazara; 1'8 aprile Erice, Sal~mi, Castelvetrano, Camporeale.
Tra il 9 e il 16 aprile, le colonne militari mobili e i procedimenti giudiziari ricostituiscono il precedente potere; ma gli insorti man­tengono le autorità in pennanente stato di tensione.

Gli eventi dell'11, 12, 13 e 14 maggio

L '11 maggio, Garibaldi, accorso al richiamo dei "figli del Vespro", approda a Marsala, tra il bombardamento, fortunatamente incruento, della flotta borbonica che non è riuscita a impedirne lo sbarco.
In quell'll maggio - ricorda il calatafimese Pietro Adamo - "verso mezzogiorno s'intese per più d'un'ora tuonare in direzione di ponente. Si credette ad una sommossa a Trapani e vi spedii un corriere (...), per sapere cos'era avvenuto. Saputo che le cannonate erano state sentite nella direzione di Marsala, vi avviai il corriere".
L'indomani, 12 maggio, il corriere (forse Silvestro Simone), "un'ora dopo l'avemaria", informa sullo sbarco di Marsala il Comitato segreto di Calatafimi, che subito organizza una manifesta­zione al grido di "Italia e Vittorio Emanuele".
Secondo Pietro Adamo, latori della notizia sarebbero stati Filippo Santannera e Vincenzo La Crutta: essi e il Simone furono forse i "tre corrieri calatafimesi inviati alla volta di Marsala, Trapani e Capo S. Vito dal Comitato segreto, con promessa di un forte premio a chi portasse le più precise notizie".
Avute le sperate notizie, i patrioti del Comitato segreto insorgono, si impossessano delle armi delle guardie urbane, inalberano sul palazzo del Comune il tricolore, tagliano il telegrafo per rompere le comunicazioni tra le Autorità governative borboniche dei vari paesi.
Ma, la notte di quel 12 maggio, una fila di lampioncini, accesi sullo stradale diAlcamo, annunzia l'avvicinarsi della colonna borbonica del gen. Landi. Gli insorti si rifugiano nella masseria di Pietro Adamo, al quale giunge, l'indomani 13, una lettera del patriota ericino Giuseppe Coppola, che lo invita con Antonino Colombo a Salemi: città con lafunzione di luogo di concentramento degli insorti del Trapanese.
La mattina del 13 maggio, Garibaldi, in sosta a Rampingallo, apprende che il Landi è a Calatafimi, e ordina che si occupi la ben munita posizione di Salemi, presto e prima che vi giunga il generale borbonico.
Il Landi, lo stesso giorno, comunica a Palermo di essere giunto sul far dell'alba in Calatafimi, con l'intenzione di insediarsi a Salemi.
Prima provvede a inviare esploratori verso quella città, ''per attingere delle notizie della banda sbarcata", e apprende che in Salemi "evvi una squadra armata, composta non degli sbarcati, ma di gente raccogliticcia": formavano quella "gente" i volontari condotti da Paceco dagli alcamesi baroni di Sant'Anna, ma anche al­tri uomini della stessa Salemi, di Mazara, Trapani e aLtri comuni.
n Landi sottolinea che, a causa del telegrafo spezzato, "qui si vive come nelle tenebre dell'ignoranza, in mezzo ad un popolo equivoco".
Egli stesso, in seguito, riscontrerà, con rammarico: "Il nemico era messo a giorno minutamente d'ogni mia operazione, d'ogni mio movimento, laddove io ignoravo i suoi".
La circostanza è confermata indirettamente da quanto riferisce Pietro Adamo, il quale scrive di essere andato il 14 a Salemi da Garibaldi, per informarlo "della rivolta di Calatafimi del 12 e dell'arrivo dei Borbonici a soffocare la rivolta. n Generale prese la risoluzione di portarsi sopra Calatafimi, però mi diede immediatamente incarico di precederlo a Vita, e raccogLiere uomi­ni, armi e notizie sul numero e le mosse del nemico".
Anche Antonino Colombo rivela in una sua memoria, edita da Gaetano FaLzone nel 1978: "n 13 con l'Adamo pernottai a Vita. E la dimane ci recammo a Salemi, e (...) descrissi laposizione di Calatafimi e dissi della venuta della colonna borbonica. Allora il Generale mi disse: "Lei se ne vada a un avamposto a Vita e manderà dei corrieri con proclami per tutti gli amici dei Comuni della Provincia, e precisamente in gran copia a Calatafimi. M'informi per lettera di tutto e per riconoscere la sua firma si sottoscriva nel mio taccuino". Fatta la firma, ritornai a Vita, spedii diversi corrieri per Castellammare, Alcamo, Poggioreale, Salaparuta, Gibellina, Santa Ninfa, Partanna e Castelvetrano. Mandai fasci di proclami agli amici (ed anche a Partinico a Luigi Lo Sajo, che aveva spedito un corriere) e in gran numero a Calatafimi. Scrissi più volte al Generale del movimento borbonico e del mio operato, informandolo di tutto. Chiamai, alla cooperazione del liberale D. Antonio Ditta da Vita, tutti i Vìtesi che furon pronti ad unirsi a noi, costituendo unica squadra con quelli di Calatafimi".
Frattanto a Salemi affluivano squadre da S. Ninfa, Partanna, Mazara, Castelvetrano. Da Alcamo vennero ben 143 uomini, in parte senz'armi, che si aggiunsero ai precedenti, condotti dai Sant'Anna.
il garibaldino Bandi scrive: "Salemi s'andava popolando sempre più, e numerose squadriglie venivano a noi, chiedendo armi. Se ne dettero finchè avemmo da dame, e quando le armi mancarono, Garibaldi ordinò che tanti volontari nostri, per Compagnia, dessero ai siciliani i fucili e pigliassero le lance".
E' opportuno qui evidenziare il peso - non abbastanza riconosciuto - che proprio le squadre degli insorti della nostra provincia ebbero nel determinare l'unità d'Italia, e ciò sarà più appariscente, qualora si consideri il ruolo che Garibaldi affidò ad esse per i suoi piani strategici.
Il generale, infatti, non solo fece intervenire una parte di quelle squadre alla battaglia di Calatafimi, contribuendo all'esito di essa, ma ne lasciò una parte a Salemi, con il compito di fare da retroguardia difensiva, nel caso di un suo eventuale ripiegamento tattico.
Un altro elemento fondamentale e influente sull'azione di Garibaldi furono le "notizie" che attendeva la sera del 14 maggio: notizie che l'avrebbero condotto alla determinazione di affrontare il Landi. Così vi accenna in un messaggio a Turr: "Secondo le notizie, prenderemo domattina la via di Vita". E furono le notizie da­te dai patrioti Colombo e Adamo - come riconobbero Turr e Garibaldi - quelle che fecero decidere la marcia dell'indomani su Calatafimi e i felici sviluppi ulteriori dell'impresa garibaldina.
I due patrioti calatafimesi, tra l'altro, inviarono da Vita a Gari­baldi una lettera, che reca l'erronea data del 12, ma che è invece del 14 (secondo l'Agrati), poichè contiene la notizia sulle truppe borboniche sbarcate a Castellammare e aggiuntesi a rinfono di quelle precedenti, condotte dal Landi. Con quella lettera Garibaldi veniva informato, secondo un'approssimazione vicina al vero sull'entità numerica dell'esercito borbonico (2550 unità) e sulle postazioni strategiche che esso stava occupando.
Nella mattinata del 14 maggio, il Landi scrive a Palermo: "Domattina muoverò con tutta la colonna alla volta di Salemi, dove probabilmente m'incontrerò con le bande" sbarcate a Marsala. il termine "bande" indica il carattere di "irregolari" attribuito dai borbonici ai nemici. Successivamente, lo stesso giorno, Landi, preoccupato, comunica invece a Palermo che "le masse degli insorti crescono sempre più e vanno a stanziarsi tutte in Salemi, dove sembra che abbiano fissato quartiere generale. Ivi trovansi pure gli emigrati sbarcati a Marsala". Egli ha deciso pertanto di non muovere più per Salemi, giustificandosi anche col fatto che "il paese è circondato da folte boscaglie di oliveti ed è naturalmente favorevole ad una imboscata". Quindi attenderà a Calatafimi il nemico.
Pare che, nel mattino inoltrato del 15, il Landi abbia ricevuto da Palermo una lettera, con l'ordine di attestarsi a Partinico e col compito di proteggere la capitale.
Ma già il maggiore Sfona, uscito da Calatafimi in esplorazione "per riconoscere il nemico", aveva preso posizione sul fatidico colle di Pianto Romano.
Quando giungerà ai borbonici il richiamo del Landi a rientrare in città, essi avranno già impegnato il fuoco coi garibaldini.

La giornata del 15 maggio:
le forze in campo e i fatti imprevedibili

Un calcolo delle forze messe in campo dalle due parti e altri aspetti dell'imprevedibile, che giocò la sua parte nella giornata del 15 maggio, spiegano la dinamica e gli esiti della battaglia di Pianto Romano.
Erano certamente meno di 2000 i combattenti capeggiati da Garibaldi, se si assommano ai suoi Mille i volontari delle squadre.
I soldati del Landi furono dallo stesso capo enumerati in "circa 2000 e poco più". Non sappiamo da quale fonte (comunque attendibile) Pietro Adamo desuma che gli uomini del Landi fossero complessivamente 3344, ma di essi solo 2172 furono inviati in campo, mentre 1172 furono trattenuti in Calatafimi, come retroguardia difensiva in caso di conflitto sfavorevole.
Pur essendo il Landi superiore per truppe a Garibaldi, un fattore demoralizzante giocava a suo svantaggio: la paura di un accerchiamento.
Rilevo, da messaggi scambiati tra il Landi e il sottintendente di Alcamo, che i carri di vettovaglie, inviati da quest'ultimo a rifornire la soldatesca borbonica a Calatafimi, il 14 maggio erano stati saccheggiati dai volontari alcamesi che accorrevano a Salemi per accrescere le squadre.
Ciò preoccupò il Landi, il quale, l'indomani 15 maggio - per timore di un probabile attacco da parte degli insorti di Alcamo - non invierà al maggiore Sforza, impegnato nel combattimento coi garibaldini, i rinfoni richiesti, ma preferirà tenerii in Calatafimi a sua difesa.
La circostanza, indirettamente, favorirà i garibaldini, che si troveranno a combattere con soldati borbonici, i quali, oltre ad essere stati privati dell'invio di rinforzi, temevémo un'aggressione dalla parte di Alcamo, che potesse prenderli in mezzo.

Le varie fasi della giornata del 15 maggio

Esaminiamo ora, nella loro successione, le fasi della giornata del 15 maggio.
All'alba, i "picciotti" di Sant'Anna e di Coppola (denominati "Cacciatori dell'Etna") escono da Salemi, seguiti dai "Cacciatori delle Alpi" egiungono alle 6,30 a.m. a Vita.
Scrive l'Adamo: "La mattina del 15, venuto Garibaldi a Vita, trovò organizzata una squadra di Vitesi, che si fuse con quella di Calatafimi da me guidata. Avuta da me conoscenza delle forze nemiche sul numero di 3600 circa e del loro comandante, volle avermi seco, sicchè alla testa della colonna uscimmo da Vita, e lo guidai sul colle della Spina. Mentre, con le mie indicazioni, il generale si sceglie il punto donde attaccare i borbonici entro Calatafimi, mi accorgo che per lo stradale di Porta Trapani, sotto il castello, usçiva dalla città una colonna di soldati. Ne avverto il Generale, che, accertatosi col suo binocolo: "Vengono a noi (dice), tanto meglio".
Subito dopo, Garibaldi fa assumere le seguenti posizioni al suo esercito:
- la squadra dei "picciotti" calatafimesi e vitesi a protezione dell'artiglieria di Orsini sulle alture di Calemici;
- sul colle di Petralonga, di fronte ai borbonici del maggiore Sforza stanziatisi sul colle di Pianto Romano, i carabinieri genovesi in avanguardia, e dietro ad essi l'8a, 7a, 6a e 5a Compagnia come 2° battaglione agli ordini di Carini, e la 4a, 3a, 2a e la Compagnia come 2° battaglione agli ordini di Bixio;
- sulla strada, tra i due colli, l'artiglieria Orsini;
- sulle alture di Calemici, i picciotti di Sant'Anna e Coppo la, a riparare (come avverrà) i garibaldini da un aggiramento dell'ala destra borbonica.
Frughiamo ora fra i taccuini dei diaristi che annotarono dal vivo la storica battaglia.
Abba dà una delle tante attestazioni sull'apporto dei siciliani alla battaglia: "Giungono di continuo montanari con fucili da cac­cia ed armi di ogni genere, fra le quali un genere strano d'alabarda".
Nievo - annotato che "alle 11" l'avanguardia garibaldina "si stende in catena senza far fuoco e restando in impassibile osservazione dei movimenti" del nemico - aggiunge che Garibaldi e Sirtori, "mezz'ora dopo il mezzogiorno, ordinano l'attacco. "Napolitani sono ricacciati sull'altura a passo di corsa".
Allora Garibaldi, affinchè i borbonici non lo circondino e non gli taglino la ritirata verso Vita, manda Pietro Colombo e i suoi sulle alture di Calemici.
All'1 - annota Crispi - "i regi mandano un distaccamento sulla nostra sinistra e un altro sulla destra". L'attacco inizia, secondo Crispi, all'l e mezza; secondo Abba, alle 2 p.m.

L'attacco alla prima altura

Nievo scrive: "Attacco della prima altura alla baionetta col rinforzo della compagnia di Bixio. Il maggiore Acerbi conduce, primo fra noi, un piccolo corpo di squadriglie siciliane": è una delle tante attestazioni che i nostri conterranei abbiano partecipato alla battaglia non solo agli ordini di Sant'Anna e Coppola, ma anche "sparsi" sotto vari ufficiali dei Mille.
Secondo l'affermazione di Antonino Colombo, "si espugna dopo un'ora e più la prima posizione, guadagnando i cannoni".

L'attacco alla seconda altura

Ancora Nievo: "I Napolitani, respinti dalla prima altura, si riordinano sulla seconda'~ accennando a un aggiramento a destra; Garibaldi impegna resistenza al centro, per evitare lo sfondamento e quindi l'aggiramento.
E Colombo conferma: "Il secondo attacco, che durò ben pure, fu al centro del colle", e "la seconda posizione fu ben pure guadagnata, fugando i borbonici". E' il momento più drammatico della battaglia: cadono innumerevoli garibaldini sotto il fuoco incessante del nemico, e Bixio consiglia la ritirata a Garibaldi. "Ritirarci, ma dove?": è questa, e non l'altra consacrata dalla fama, la risposta data a Bixio da Garibaldi, che ordina anzi il terzo e più violento attacco.

L'attacco alla terza altura

Nievo annota che la "chiamata di tutte le compagnie, di tutte le riserve, fin dell'ultimo uomo", per l'assalto definitivo (alle 3 p.m.), fa sì che "l'ultima ritirata dei Napolitani somiglia in tutto ad una fuga". E aggiunge: "Le squadre di Coppola e Sant'Anna aiutano il successo con una fucilata ai fianchi del nemico a prudentissima distanza".
Colombo conferma che, dopo essere stati sloggiati dalla terza posizione, "i borbonici si danno alla fuga"; e conclude: "E noi della squadra (...) fummo tra i primi ad inseguire i borbonici".
La battaglia vera e propria era durata un paio di ore.
Abba, che ne ha fissato l'inizio alle 2, rileva che "in meno di due ore il nemico è sconfitto e si ritira scomposto a Calatafimi".
Anche Crispi convalida la circostanza: "Alle 4 la vittoria era nostra: sloggiato il nemico, fattigli alquanti prigionieri".
Vediamo come, dalla parte dei borbonici, e dal punto di vista del loro principale protagonista, fu valutata la memorabile battaglia.

La battaglia di Calatafimi, secondo Landi

Subito dopo la battaglia, il gen. Landi invia a Palermo la celebre lettera, che contiene frasi come le seguenti: "Soccorso, pronto soccorso. Le bande uscite questa mattina da Salemi ànno coronato le colline al sud e al sud-ovest di Calatafimi. La metà della mia colonna è uscita di scoverta, e giunta a portata di far fuoco, si è attaccata coi rivoltosi i quali sbucarono da e per ogni dove. n fuoco fu nutrito, ma le masse di Siciliani uniti alla truppa italiana sono d'immenso numero (...). La mia colonna à dovuto col fuoco di ritirata ripiegare sopra Calatafimi, dove mi trovo sulla difensiva, giacchè i ribelli in un numero immenso fanno mostra di volermi aggredire (...) lo temo di essere aggredito (...). Dovrò senza meno, per non compromettere la intera colonna, fare la mia ritirata, se pur mi riesce, sopra Alcamo (...). Tutta la colonna si è battuta col vivo fuoco dalle 10 a.m. alle 5 p.m. quando si fece la ritirata".
I diaristi garibaldini danno indicazioni di tempi più brevi e di forze più ridotte rispetto a quelli asseriti dalla parte avversaria, che appare interessata a dilatare la durata della lotta per giustificare la sconfitta.
In una relazione di un mese dopo, il Landi ripete che la sua colonna si era impegnata "contro i Garibaldini sostenuti dalle ingenti masse Siciliane sbucate a migliaia da e per ogni dove"; e "dopo otto ore circa di accanito combattimento fu battuta la ritirata da ambo le parti". E prosegue col dire: "Non appena riunii la mia colonna sopra Calatafimi, mi tenni sulla difensiva, giacchè le bande nemiche in numero sterminato, non che i Garibaldini, facevano mostra di volermi circondare". Allora "pensai sloggiare da Calatafimi la sera stessa del 15, facendo la mia ritirata sopra Alcamo, pria che mi venissero tagliati i passi. La ritirata mi riuscì (...), toccando Alcamo alle ore 2 dopo la mezzanotte (...). Alle 5 a.m. del giorno 16 mossi da Alcamo", poichè la mattina del 15 una [lettera] officiale di S.E. il Comandante in capo mi ingiungeva di far subito la ritirata sopra Partinico". "Sapevo che il nemico era deciso ad aggredirmi. E non mi ingannai. Il giorno 16 i Garibaldini e le masse andarono per assaltare Calatafimi e rimasero delusi".
Un particolare comico va aggiunto alla storia delle ultime e frenetiche ore del Landi a Calatafimi. Qui il generale fuggitivo "dimenticò" la cassa e la valigia personale. Più di un mese dopo, a richiesta del governatore di Alcamo, barone di Sant'Anna, il presidente del municipio di Calatafimi invia - com'era detto nella lettera accompagnatoria, - "la cassa e la valigia", dell' "esecrato ed infame Gen. Landi", che, "suggella le con striscie di carta firmate", prega di inoltrare "al prode ed eroico nostro Dittatore".
Alle amene parole (che ho più sopra citato) del Landi - il quale giunge perfino ad asserire che, in caso di necessità, la ritirata è "la migliore delle vittorie" - fanno da austero contrappunto queste altre serie considerazioni di Garibaldi: "Combattendo bisogna vincere, quest'assioma è verissimo in tutte le circostanze, ma massime quando s'inizia una campagna. La vittoria di Calatafimi, benchè di poca importanza per ciò che riguarda gli acquisti, avendo noi conquistato un cannone, pochi fucili e pochi prigionieri, fu d'un risultato immenso per l'effetto morale, incoraggiando le popolazioni e demoralizzando l'esercito nemico".
Scrive Guido Sylva in una inedita lettera del 14 giugno 1918 al calatafimese Nicolò Mazzara: "Sul Pianto il nostro grande Capitano aveva proclamato che ivi si doveva vincere o morire; e per quella fatidica invocazione il miracolo si produsse". L'aura dello straordinario traspira anche dall'epigrafica frase con cui il paeta Abba chiude le "Noterelle" sulla battaglia di Calatafimi: "Ci pareva miracolo aver vinto".
Era necessario per Garibaldi iniziare l'impresa siciliana con un fatto d'armi che incidesse sulle impressionabili nature dei Siciliani. Si spiegano così il fatto che gli abitanti di Partinico, Borgetto e Montelepre abbiano decimato le file dei borbonici vinti a Calatafimi e fuggitivi verso Palermo, e il fatto che, dopo Calatafimi, sempre più numerose, le squadre dei Siciliani si siano aggregate all'esercito garibaldino, consentendosi la conquista di Palermo a due settimane dallo sbarco a Marsala.

Sfogliando la stampa italiana ed estera del 15 maggio

La sera della storica giornata del 15 maggio, il Comitato segreto di Palermo pubblicava questo bollettino: "L'invincibile Garibaldi, che il governo della menzogna si astiene dal nominare ne' suoi proclami, ha distrutto fra Calatafimi ed Alcamo una colonna di quattromila uomini. Le nostre truppe han data la caccia a mille fuggitivi: molti vanno dispersi, altri molti son prigionieri".
Se scorriamo i giornali italiani ed esteri del 15 maggio, i quali ­ considerate l'esiguità e la difficoltà dei mezzi di comunicazione di allora - avevano solo dato notizia dello sbarco a Marsala, si resta colpiti da certe affermazioni.
A Napoli, l'organo di stampa governativo, il "Giornale Officiale" rivela ai sudditi del Regno: "Un atto di flagrante pirateria veniva consumato 1'11 maggio, mercè lo sbarco di gente armata alla marina di Marsala. Posteriori rapporti han chiarito esser la banda disbarcata di circa ottocento, e comandata da Garibaldi. Appena quei filibusiieri ebbero preso terra, evitarono con ogni cura lo scontro delle Reali truppe, dirigendosi, per quanto ci vien riferito, a Castelvetrano, minacciando i pacifici cittadini, e non risparmiando rapine e devastazioni di ogni sorta nei comuni da loro attraversati. Ingrossatisi nei primi quattro giorni della loro scorreria con gen­te da loro armata e profusamente pagata, si spinsero a Calatafimi."
Certo fa sensazione constatare che Calatafimi è menzionata di straforo dall 'estensore della notizia riferita, ignaro che quella città entrava in quello stesso giorno nella storia, per una battaglia decisiva nel determinare il tramonto del Regno borbonico.
A Milano il giornale "La Perseveranza" annunzia: "Garibaldi è sbarcato,ecco la grande, la desiderata novella (...). Sirtori e Bixio avranno stretta la mano al barone di Sant'Anna (...). Garibaldi, approdando a Marsala, si è posto, di primo tratto, al centro dell'insurrezione (...). La sua presenza e quella dei suoi prodi non può [fare] a meno di portare nel campo degli insorti una fiducia ed una forza,' di cui aspettiamo ben presto di udire qualche brinante e vigoroso risultato".
Sempre il 15 maggio, il "Times" di Londra sentenziava: "La riuscita [dell'impresa] darà a Garibaldi il rilievo di un generale o di un uomo di stato del più alto valore; la sconfitta, la rovina e la morte lo classificheranno un avventuriero; un Don Chisciotte di grande ardimento ma di mediocre intelligenza, che avrà perduto la vita in un disperato assalto di filibustieri.
Ci dirà l'avvenire se la spedizione dev'essere paragonata allo sbarco di Guglielmo d'Orange in Inghilterra o a quella di Murat a Pizzo [Calabro].
La sola cosa che non si potrebbe provare in dubbio è l'ardimen­to eroico dell'uomo che si è messo a capo dell'impresa".

Considerazioni sull'evento del 15 maggio

La battaglia di Calatafimi ebbe un bilancio di almeno 41 morti garibaldini (tanti ne ho accertati in minuziose e pazienti ricerche) e non di 33, come finora si è scritto. lo stesso ho inoltre accertato che vi furono almeno 126 feriti garibaldini, mentre le cifre fornite dalle fonti cosiddette "ufficiali" ondeggiano tra 80 e 120.
I borbonici ebbero - come scrisse Landi la sera stessa della battaglia - 62 feriti. I loro morti non si è mai saputo esattamente quanti siano stati, ma è probabile che si avvicinassero a una trentina.
I morti delle squadre siciliane (come ho potuto rilevare) furono almeno 6: cioè 2 trapanesi, 2 marsalesi, 1 ericino e 1 pacecoto. Un settimo, salemitano, morirà nell'ottobre dello stesso anno, in seguito alle ferite riportate a Calatafimi.
I feriti furono sicuramente più numerosi dei 20 che ho accertato: 1 alcamese, 1 calatafimese, 7 ericini, 3 marsalesi, 7 partannesi, 1 vitese.
Già nel 191O lo storico salemitano Francesco La Colla scrisse, riferendosi alla battaglia di Calatafimi: "E' doloroso dover confessare che non si è potuto fino ad oggi avere un esatto elenco dei morti è tanto meno dei feriti; le cui cifre variano da uno scrittore all'altro in modo notevole". Il La Colla lamentò anche il fatto che "i nostri scrittori non curarono a tempo di raccogliere le notizie sui fatti operati dai nostri", e hanno così permesso di avvalorare la tesi "che al 1860 i Siciliani poco o nulla fecero per l'Unità d'Italia".
Ma è motivo di legittimo orgoglio constatare come l'apporto dei volontari della nostra provincia alla battaglia di Calatafimi sia stato evidenziato per primo dallo stesso Garibaldi, allorchè, nel proclama pubblicato a Calatafimi il 16 maggio, esaltò la "vittoria dei figli del continente italiano e dei prodi siciliani".
E nella lettera inviata il 17 maggio da Alcamo al comitato per l'armamento dei Mille, Garibaldi tornava a rilevare il "coraggio dei Cacciatori delle Alpi e dei Siciliani che ci accompagnarono" nel glorioso fatto d'armi di Calatafimi.
Indubbiamente il successo garibaldino di Calatafimi fu in gran parte determinato dalle premesse ideali che ne erano a fondamento.
Sulle alture di Pianto Romano, il 15 maggio 1860, si fronteggiarono, non tanto un decrepito gen. Landi, prossimo al pensionamento, e un gen. Garibaldi che avrebbe esternato altri eroismi in prossimi anni, quanto piuttosto due opposte concezioni politiche: da una parte i sostenitori di uno Stato assolutistico che non garantiva libertà di affermazione per tutti i cittadini, e dall'altra i fautori di uno stato costituzionale che assicurava le indispensabili garanzie alla libertà personale e di pensiero.
Va con rammarico sottolineato che i detentori piemontesi di questa concezione dello Stato liberale non seppero realizzare, nella martoriata Sicilia, le istanze progressiste del buon governo necessario alla redenzione sociale del nostro popolo.
E quantunque, in un altro 15 maggio, quello del 1946, con la concessione dell'autonomia amministrativa alla nostra Regione, lo Stato abbia cercato di riparare al disagio di 86 anni di ingiustizie e ritardi, ci si è tuttavia accorti che i fatti non si sono adeguati alle buone intenzioni dei promotori e fautori di uno Statuto speciale per la Regione siciliana.
Pur nello spirito di una patria "una e indivisibile", la nostra autonomia regionale - conquista faticosa di tante generazioni e della quale celebriamo anche oggi il 44° anniversario - avrebbe dovuto suscitare e incitare a un più vigoroso impulso operativo e organizzativo delle risorse materiali e spirituali nelle nostre comunità civiche.
Invece questo - ed è doloroso constatarlo - non è avvenuto.
Pertanto, oggi più che mai - ponendoci entro rinnovate e imprescindibili prospettive di progresso e allineandoci con l'evoluzione politica di altre nazioni - occorre ridare al popolo sovrano il ruolo di elemento attivo e costruttivo; occorre restaurare nei cittadini il senso di uno Stato non più scaduto al ruolo di ente indifferente o lontano; occorre eliminare la frattura, sempre più divaricantesi, tra il Paese reale e le Istituzioni.
Da più parti si postulano iniziative e provvedimenti; da più parti si suggeriscono antidoti e rimedi.
E' nostro dovere augurarci la realizzazione di soluzioni promotrici del maggior bene e del progresso della nostra società civile.
In un momento in cui - sul nostro orizzonte politico - si accampano forti spinte regionalistiche, e mentre sorgono "leghe", più o meno miranti a pretese di autarchiche gestioni locali della cosa pubblica, affidiamoci al senso della nostra responsabilità storica.
Sia nostro il grido di innumerevoli patrioti che, sulle balze di Calatafimi e in altri luoghi sacri all'amor patrio, si sacrificarono e si immolarono per la nostra Terra.
Sia nostro il grido con cui, al di là di ogni inopportuna retorica, suggello questa commemorazione del 15 maggio 1860.

Sia nostro il grido

VIVA L'ITALIA!





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Proprietà letteraria
riservata all'Autore


Ringrazio l'amico
Salvatore Gallitto
per il suo vivo
e sincero amore
per il prof.
Carlo Cataldo







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