Salvatore Costanza


la copertina del libro

la copertina


© Copyright 1989
Arti Grafiche Corrao



via Valenza, 31
Trapani
Finito di stampare
nel settembre 1989



Ringrazio l'amico
Vito Accardo
per avermi portato
alla conoscenza
di questo libro



Questa ricerca storica riproduce, con ampliamenti e integrazioni, l'omonimo studio pubblicato nel fascicolo speciale dei «Nuovi quaderni del meridione» dedicato alla rivoluzione palermitana del settembre 1866 (n. 16, ottobre/dicembre 1966, pp. 419-38).





Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

LA PATRIA ARMATA di Salvatore Costanza


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LA RIVOLTA CONTRO I «CUTRARA»
(Castellammare del Golfo, 1/3 gennaio 1862)



2. Il paese: sguardo d'insieme


Il Comune di Castellammare del Golfo contava nel 1862 poco meno di nove mila abitanti12. Posto in una zona agraria non priva di vigneti e colture pregiate, il paese tuttavia era tagliato fuori dalle piti importanti vie di comunicazione. Nessuna strada lo collegava direttamente con Trapani e Palermo; ma nemmeno le impraticabili trazzere di campagna avevano mai subito la benché minima trasformazione, se si eccettua la sola strada dei Fraginesi, di quasi otto km. Sicché per attraversarle, come scriveva ancora nel '64 un giornale del capoluogo, «l'unica macchina da trasporto che si possa usare è la schiena del mulo»13.

12 Erano esattamente 8986. Cfr. ISTAT, Popolazione residente e presente dei Comuni ai censimenti dal 1861 al 1961, Roma 1967, p. 324. 13 «Diritto e Dovere», Trapani, n. 21 del 6 giugno 1864. Le due strade comunali, dei Fraginesi (km 7,779) e di Guidaloca (km 1,60 I), furono costruite prima del 1860. Dopo quest'anno si erano iniziati i lavori per la strada provinciale che dal capoluogo doveva arrivare a Castellammare. Documentazione relativa in AST, Regia Prefettura, Opere Pubbliche, Strade (1868), b. 192; v. anche «La Falce», Trapani, n. 5 del 3 agosto 1873.

Un progetto per la costruzione della strada rotabile che doveva congiungere i paesi del circondario di Gibellina con Castellammare era stato approntato dal governo borbonico fin dal 185314, Prevista in funzione degli sbocchi commerciali che la produzione granaria della valle del Belice avrebbe avuto raggiungendo il porto di Castellammare, la strada non fu però mai costruita. Gl'interessi prevalenti nel consiglio provinciale, in favore del capoluogo e del suo porto, spinsero ben presto la maggioranza dello stesso consiglio ad accantonare il progettol5. Né, in seguito, durante l'amministrazione unitaria, il primitivo piano di viabilità provinciale fu piu preso in considerazione. Quel piano prevedeva un sistema di strade organicamente predisposto al fine di collegare le zone agricole interne coi porti del Tirreno e del mare africano. C'è poi da pensare che i proprietari dei latifondi graniferi (molti dei quali erano palermitani ed avevano certamente peso nelle decisioni politiche) preferissero raggiungere direttamente l'ex capitale dell'isola, riuscendo perciò a far deviare verso l'interno il percorso della strada che, secondo l'originario disegno, partendo da Gibellina, avrebbe dovuto attraversare l'ampia zona valli va del fiume Belice per arrivare sino a Castellammarel6.

14 «Giornale della Intendenza di Trapani», n. 5 del maggio 1854, p. 110. Prima del '60, erano state approvate, ma non appaltate, 28 miglia della strada provinciale da Gibellina a Castellammare (v. c. GIACHERY, Memoria descrittiva della Sicilia e de' suoi mezzi di comunicazione sino al 1860, Palermo 1861, Appendice statistica).
15 Il Consiglio provinciale proponeva nel 1856 di destinare ad altri scopi la somma già stanziata per la strada suddetta; ma un sovrano rescritto del 31 marzo 1857 proibiva lo storno dei fondi (v. «Giornale della Intendenza di Trapani», n. 4 dell'aprile 1857, p. 102).
Dopo il '60, l'antico progetto dell'ing. Damiani, «che prima tendeva a dare lo sbocco de' prodotti in Castellammare)), era stato rettificato per deliberazione del Consiglio provinciale, col far giungere la strada fino ad Alcamo, e collegarla direttamente con Palermo (v. Atti del Consiglio Provinciale di Trapani. Sessione straordinaria e ordinaria nel 1865, Trapani 1866, p. 93). Cosi avevano avuto il sopravvento nella definizione del tracciato gl'interessi dei grandi proprietari assenteisti, preoccupati piuttosto di essere serviti da una via di comunicazione tra i propri latifondi e l'ex capitale dell'isola.
16 «Di maggiore importanza però si è la costruzione della grande strada che dovrà mettere in comunicazione i tre comuni del circondario di Gibellina con Castellammare, ove troverebbero lo sbocco per le loro produzioni nel Tirreno, ed innestando alla strada consolare sino al punto del deviamento ai Bagni Segestani, si avrebbero un'altra comunicazione nel mare affricano pe' porti di Mazara e Marsala. Ed in vero, è necessità che alla fine si abbiano una strada a ruota tanto il comune di Castellammare per l'incremento del suo commercio, quanto i comuni del detto circondario di Gibellina, che in inverno per la scabrosità delle vie rimangono quasi segregati dal Capo distretto, e da tutti gli altri comuni della Provincia: e tale strada, dirittamente pensandosi, è d'anteporsi alla deviazione succennata, poiché conviene prima provvedere di strade i comuni che ne mancano affatto, anziché raddrizzare quella esistente, la quale per pia anni ne ha apprestato il passo comunque stentato, e lo stento può tollerarsi un poco piu della pri vazione. Penetrato dall'importanza di tale strada, il Consiglio provinciale nella tornata del 1857 implorava che la spesa si levasse non piu sul prodotto della tassa radiale per 2/3, e da' fondi provinciali per un terzo, conforme era stato risoluto coll'art. 14 del Sovrano Rescritto del IO febbraro 1854, ma che in vece per la maggiore celerità dell'opera, e per affrancare i proprietari si gravasse sul fondo di due. 300 mila, e la M. S. nell'art. 9 del Sovrano Rescritto del 13 aprile scorso portante la risoluzione sui voti del Consiglio provinciale nella sessione del 1858 degnossi ordinare che, compiuta la rete di strade di questa Provincia indicate nel Rescritto del 15 aprile 1852, possa lo stesso Consiglio riprodurre la di manda. In tale posizione di cose, sarebb'egli opportuno l'invocare dalla munificenza Sovrana la grazia, che cotale strada, riconosciuta interessante per ogni verso, sia costruita ora sul cennato fondo di due. 300 mila, dapoiché per questa Provincia è quasi compiuta la rete di strade, che si era approvata nel 1852, mentre in quest'anno saranno portate a fine quella da Marsala a Mazara, e l'altra da sotto S. Ninfa per Partanna al Belice, e fra due anni sarà pure compiuta quella da Salemi a Marsala, per modo che non rimarrebbero altri lavori da eseguirsi sul ripetuto fondo. È ben che si sappia intanto, che proprietari di Castellammare premurosi di avere la strada da quel comune ai Bagni Segestani, che sarebbe appunto il 7' tratto del progetto della grande strada da Gibellina a Castellammare, richiesero che all'intera spesa per la costruzione di detto 7' tratto vi faccia fronte il prodotto della tassa radiale, quell'istesso mezzo ch'era stato approvato col Sovrano Rescritto del 26 agosto 1840, allorché trattavasi di riunire solamente il comune di Castellammare a Calatafimi ed Alcamo; ma i Decurionati di questi due ultimi comuni si sono ritenuti nella insistente negativa» (cfr. Per la solenne inaugurazione del Consiglio Provinciale di Trapani nell'anno 1859. Appendice al «Giornale d'Intendenza di Trapanh>, n.5 del maggio 1859, pp. 113-14).

Eguale sorte avrebbe subito piti tardi il progetto per la costruzione della ferrovia che, passando per Castellammare, si pensava dovesse congiungere Trapani con Palermo. Il consorzio interprovinciale costituito per l'occasione discusse a lungo un tale progetto, favorendo alla fine la soluzione logistica piti gradita alla maggioranza della popolazione che gravitava sui possibili percorsi della costa meridionale da Trapani a Castelvetrano, dove si trovava il bacino viti vinicolo marsalese, fino a Palermo17.

17 AST, Regia Prefettura, Ferrovia da Palermo a Trapani (/863-65), b. IO; v. pure Rapporto sull'affare Ferrovia, in Atti del Consiglio Provinciale di Trapani. Sessione straordinaria e ordinaria pel 187I, Trapani 1872, pp. 472-76. Sulla questione ferroviaria in Sicilia, v. R. GIUFFRIDA, Lo Stato e le ferrovie in Sicilia (/860-1895), Caltanissetta-Roma 1967 (si parla del Consorzio per la costruzione della linea Palermo-Trapani alle pp. 42-51).

L'isolamento cui sembrava destinato il paese per alcune scelte politiche non eludibili, data la subalternità dei gruppi dirigenti locali, poté essere in parte spezzato dalla felice posizione geografica del suo scalo marittimo, aperto nel golfo omonimo alle vie di traffico con Palermo, Napoli e Civitavecchia. La produzione di derrate che veniva dall'entroterra passava quasi tutta attraverso il porto, conferendo un certo dinamismo al comparto marittimo. Mentre era sindaco Giuseppe Marcantonio, il Municipio chiese, nel 1864, al ministero dei lavori pubblici i benefici necessari ad intraprendere le opere per la ristrutturazione del porto, onde adeguarlo alle necessità del servizio marittimo in favore dell'area agricola interna della Sicilia nord-occidentale, nonché dei Comuni che s'affacciavano sul golfo, da Capo San Vito a Cinisi/Terrasini 18.

18 S.L. ZANGARA, Il porto di Castellammare del Golfo. Parte I, Notizie (8 maggio /864-23 febbraio 1907); parte II, Appunti, documenti, stampa, statistiche, note e piroscafo periodico con progetto e pianta dell'Ing. Nicolò Diliberti D'Anna, Palermo 1908, p. 15. Il consorzio intercomunale per il porto fu costituito con RD dell' I1 ottobre 1888· (ivi, p. 32). Dalla 4a classe, il porto di Castellammare (che apparteneva al compartimento marittimo di Palermo) era già passato, nel 1887, alla 3a categoria della 3a classe, classificandosi successivamente, insieme col porto di Mazara, nella 2a categoria della stessa classe (ivi, pp. 13-14). V. anche l'intervento alla Camera del deputato di Castellammare Gaetano Borruso, in Atti Parlamentari, Sessione del 1892, Discussioni, I, p. 754.

Si trattava di un piano ambizioso, che, una volta realizzato, avrebbe permesso al porto tirrenico d'incrementare il volume dei suoi traffici verso il continente19, spingendo man mano la comunità castellammarese a disarticolare il proprio legame, fisico e ideale, con la terra per una diversa mobilità sociale ed economica. Però negli anni in cui esplode la rivolta contro i cutrara la condizione del paese e dei suoi abitanti appare nettamente dominata da un'economia di segno agrario-pastorale. Inesistenti le attività industriali, quelle legate alla pesca e al traffico portuale sono marginali, sebbene esista già una certa divisione nella realtà paesana tra gente di mare e gente di campagna. Come sia avvenuto nel giro di pochi anni il «salto» verso una produttività di tipo preindustriale non si può dire con precisione senza sperare gli ambiti specifici di questa breve storia locale.

19 Alla fine del secolo, il movimento internazionale delle merci, e quello di cabotaggio, raggiunsero le 60/70 mila tonnellate annue, rispetto alle poche migliaia degli anni '60 (v. Statistica del movimento dei bastimenti, in AST, Regia Prefettura, Porti e fari, bb. 176 e 195). A tale risultato avrebbe contribuito, oltre che il piu intenso smercio di grano e vino verso il continente, anche la notevole esportazione di tonno pescato nelle quattro tonnare dislocate sulla costa (Magazzinazzi, Secco, Scopello e Castellammare) e di quello conservato sott'olio. Le statistiche di fine secolo poterono registrare 220 addetti a tali attività produttive e ben 690 pescatori su una flottiglia di 138 barche a vela e a vapore. Se si calcolano, per lo stesso periodo, gli occupati nei settori indotti del trasporto marittimo e del commercio, gli operai delle industrie alimentari (oltre a quella ittico-conserviera, i due stabilimenti enologici dei Costamante e di Foderà, i 12 oleifici con 48 addetti, il folto gruppo di molini e pastifici, qualcuno a vapore), i numerosi bottai, si può dire che quasi la metà della popolazione attiva sarebbe sfuggita, venti/trent'anni dopo l'unificazione, allo status dei tradizionali mestieri agricoli (v. MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO, Annali di Statistica. Statistica industriale, fase. LXI, Notizie sulle condizioni industriali della Provincia di Trapani, Roma 1896, pp. 42-43).

Tuttavia è ragionevole pensare che all'origine di un tale incremento produttivo ci sia stato lo sviluppo dell'azienda contadina (piccola e media), tesa ad appoderarsi nell'economia del vigneto, sfuggendo ai grami valori della granicoltura. Dal 1860 in poi, secondo i dati raccolti da Abele Damiani per la sua inchiesta agraria, si sarebbero praticate nel Comune «rilevanti bonifiche» col ridursi a coltura 1520 ettari sui 10433 dell'intero territorio coltivabile20.

20 Atti della Giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma 1884, voI. XIII, to. II, fase. IV, p. 324.

E, in meno di quarant'anni, la coltivazione a vite sarebbe passata dal 12,57 al 29,07 per cento del totale della superficie catastata21.

21 Ivi, fase. V, Statistiche agrarie. Il computo è in rapporto ai dati del catasto agrario del 1842/44 (v. v. MORTILLARO, Notizie economico-statistiche ricavate sui catasti di Sicilia, Palermo 1854, pp. 90-93). Il territorio comunale, secondo questi dati, occupava salme 3091,971, cui però doveva essere aggiunto il territorio staccato nel 1846 dal Comune di Monte S. Giuliano (Erice) e aggregato a quello di Castellammare (salme 3907,789).

L'espansione del vigneto assicurerà quindi un processo di spinta alla rendita (non piu solo all'autoconsumo), che dall'azienda contadina fluirà, attraverso il commercio di vini non mediocri22, verso il porto.

22 Per la preoccupazione di preservare la buona qualità dei vini, il decurionato di Castellammare aveva proposto che «un'apposita legge proibisse la vendemmia prima del tempo debito in quei luoghi e precisamente nel territorio di Fraginesi ove veggonsi piu abbondanti sorger le vigne, e migliore il vino che se ne ottiene. Con tal provvedimento avvisavasi quel corpo decurionale d'impedire in appresso che i vini di quelle contrade non menomassero dell'alto pregio, in che tengonsi all'estero, e non venisse per conseguente a scemarne la ricerca». Con ciò, tuttavia, si sarebbe attentato alla libertà dei privati, secondo q~anto affermavano concordemente la Società Economica di Trapani e il Real Istituto d'Incoraggiamento: «Ma comeché bello nel suo scopo commerciale cotal proponimento, mentre niun'è che neghi esser dannosa la prematura raccolta delle uve alla buona riuscita dei vini tanto da invilirne le qualità, non è però combinabile nei suoi effetti coi dritti inalterabili della proprietà: impercioché, secondo il voto sudetto, sarebbe mestieri che si obligassero i proprietari a non poter liberamente usare del loro prodotto fino a che giugnesse l'epoca stabilita dalla legge che si vorrebbe indotta. Sarebbe egli tal proposto il maggior inceppo che dar si potesse ai proprietari, e la nostra classe di rurale economia non tardò punto, anche fatta secura dall'analogo rapporto della Società di Trapani, a dichiarare inammissibile la decurional deliberazione cennata, opinando tornar piu acconcio lo usarsi in questa occasione meglio che la forza il consiglio, e il cercarsi piuttosto di ottenere per via d'insinuazione che si convincessero i proprietari delle vigne a far le loro vendemmie ad opportuno tempo, per lo vantaggio che loro ne tornerebbe quando per l'osservanza di questa pratica, meglio condizionati vini otterrebbero» (cfr. E. VACCARO, in «Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia», Palermo, to. III (1834), n. 25 (gennaio/marzo), p. 30).
È da ricordare che fin dal 1827 Benjamin Ingham aveva propri agenti in Castellammare per l'incetta e il trasporto del mosto. Tra di essi Antonino Costamante, Giuseppe Lombardo, Vito Buccellato, Mario Zangara e l'abate Ignazio Galante, quest'ultimo negli anni 1855-63 (v. in Archivio Ingham/Whitaker di Marsala, Copia lettere italiane, voli. 7, 12, 17-22). Sull'attività commerciale dell'imprenditore inglese, v. Benjamin Ingham nella Sicilia dell'Ottocento, a cura di F. Brancato, che raccoglie gli atti di un seminario di studi organizzato a Marsala nei giorni 15 e 16 giugno 1985 dall'Associazione marsalese di storia patria.

Le altre colture, quelle cerealicole, nonché la pesca del tonno, attivissima nelle quattro tonnare calate ogni anno a nord-ovest dell'abitato di Castellammare, forniranno, poi, la materia prima alle industrie alimentari. Sia pur contenuta entro i limiti imposti dalla aleatorietà del mercato siciliano (peseranno, ad es., le alterne vicende dei trattati doganali e la crisi fillosserica), anche qui si potrà conoscere, in una fase piuttosto dinamica della vita paesana, una certa compenetrazione tra rendita fondiaria e capitale d'impresa. Tutto ciò che avrebbe con figurato di li a qualche anno lo sviluppo del paese, si trova già nelle tendenze oggettive (e piu in quelle soggettive) di una società che aspira a venir fuori dai soffocanti modelli della condizione feudale e semifeudale, sebbene ne continui a sopportare, nei comportamenti esteriori e nelle ritualità d'uso, il pesante retaggio di violenze e di abusi.
È inoltre conseguente agli aumentati circuiti dell'economia marinara l'incremento della popolazione, per effetto soprattutto dei movimenti immigratori di nuclei familiari provenienti dagli altri paesi della costa tirrenica e dall'entroterra. Gl'indici della crescita demografica che si registrano a paI1ire dagli anni postunitari comprovano le notevoli dimensioni del fenomeno che si accompagna alla vivace espansione della realtà produttiva. Un cenno retrospettivo alla dinamica demografica del Comune chiarirà pure, per inciso, il corso del contraddittorio sviluppo della comunità, gravata dai nodi di una difficile congiuntura proprio nel periodo di maggiore tensione sociale, durante il lungo trapasso dal regime borbonico a quello sabaudo/unitario. I dati disponibili per il quarantennio precedente l'Unità, che è possibile ricavare dai registri parrocchiali, ci permettono di seguire l'andamento dei flussi di popolamento. Se ne ricava che la crescita è costante in percentuale negli anni tra il 1817 e il 1847 (saldo attivo medio annuo 13,8 per mille), ma che da quest'ultimo anno in poi essa praticamente si arresta, o addirittura tende a rovesciarsi. È proprio il confuso periodo compreso tra il 1848/49 e i rivolgimenti politico-sociali del '60 e del '62 a rivelarci un arresto dello sviluppo demografico, che è sintomo ed effetto insieme di sfavorevoli congiunture economiche e del manifestarsi delle epidemie coleriche23.

23 Dal 1817 al 1847 la popolazione saliva da 6853 a 9687 unità (v. i censimenti parrocchiali conservati in AMC); ma scendeva successivamente, nel 1861, a 8986 unità (-7,24%). Se si considera, però, che il saldo naturale nati/morti continuava pur sempre ad essere in attivo, e che sugli stessi dati si calcolava che, tra il '52 e il '55, gli abitanti fossero intorno alla cifra di undici mila, si deve pensare che oltre due mila Castellammaresi, nel frattempo, avessero abbandonato il paese. Inoltre, tra i vari fattori socio-sanitari che influirono negativamente sull'andamento demografico vi fu il colera del 1854-55 (v. Direzione Centrale di Statistica per la Sicilia, Quadro della mortalità di cholera avvenuta nell'anno 1854 in tutta la Sicilia, in «Giornale di Statistica», Palermo, s. II, fase. 4, voI. II (1859), parte II, p. 22; Quadro... nell'anno 1855, ivi, pp. 24-27). Su questa epidemia colerica, v. c. VETRO, Il colera del 1854-55 in Sicilia, in «Archivio storico siciliano», s. IV, V (1979), pp. J 35-60. Tra il '54 e il '55, i morti di colera nei comuni della provincia di Trapani furono 1271. Tra i paesi piu colpiti, oltre al capoluogo, Gibellina, Alcamo e Castellammare. Il colera del 1837 aveva causato, in undici comuni della stessa provincia, 4360 vittime (v. Direzione Centrale di Statistica per la Sicilia, Tavola della mortalità di cllolera avvenuta in Sicilia nell'anno 1837, Palermo, voI. V (1840), p. 503). Sulle varie ondate epidemiche del colera nel sec. XIX, nonché sulle sue conseguenze demografiche e sociali, v. ora in Malattia e medicina, a cura di F. Della Peruta (Storia d'Italia, Annali 7, Torino 1984), il saggio di A. M. FORTI MESSINA, L'Italia dell'Ottocento difronte al colera, pp. 429-94.

Fame e miseria, che procedono parallelamente al rincaro dei prezzi agricoli e allevitare del mercato delle gabelle, interrompono il trend della lunga colonizzazione e chiudono nel cerchio angustiante della crisi una comunità che, per il passato, si era spinta sulla terra via via che s'infittivano le concessioni enfiteutiche (erano già 438 coloro che, nel 1808, figuravano tra i censualisti dell'ex feudo dei Fraginesi, esteso 700 salme24), potendo però trovare nella marina una conveniente alternativa di lavoro.

24 ASME, Tassa alla ragione del quattro per cento sopra il fruttato del territorio di Monte S. Giuliano (1808), miscellanea 902.

Agl'inizi dell'insediamento urbano/rurale l'incremento di popolazione era stato assai lento. In quasi un secolo e mezzo (1570/1714) i riveli avevano registrato aumenti non significativi: dalle trecento anime, o poco piti, della fine del '500 alle 1518 del 1714. Nel secolo XVIII la popolazione era cresciuta piti rapidamente. Erano già 2861 gli abitanti censiti nel rivelo del 1748 e 3589 quelli calcolati nel 1756 da un computo parrocchiale; ma nel 1799 si era riscontrata una cifra approssimativa di 6000 unità25.

25 F. MAGGIORE PERNI, La popolazione di Sicilia e di Palermo dal X al XVIII secolo.
Saggio storico-statistico, Palermo 1892, pp. 523 sgg. Oltre ai riveli, si vedano le opere degli eruditi siciliani (R. PIRRI, Sicilia sacra, II, Palermo 1733, p. 895, e v. M. AMICO, Dizionario Topograflco della Sicilia, a cura di G. Di Marzo, I, Palermo 1856, p. 258), alcune visite ecclesiastiche (una di J. A. De Ciocchis, compiuta negli anni 1741-43, Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam... acta decretaque omnia, I, Palermo 1836, p. 374, e un'altra del 1774 del vescovo U go Papé, in Archivio della Curia Vescovile di Mazara, Sacre visite, vol. 105), nonché i censimenti parrocchiali conservati in AMC per gli anni 1699, 1756, 1817, 1830 e 1847 (v. S.A. ROMANO, Le Chiese di Castellammare del Golfo, Palermo 1972, pp. 61-62). L'andamento demografico è contrassegnato da una costante ascesa per tutto l'arco degli anni 1570/1798, con incrementi decelerati tra la metà del '600 e il primo quindicennio del '700. Accentuato è, al contrario, l'aumento verificatosi nei cinquant'anni tra il 1748 e il '98 (saldo attivo medio annuo 21,9 per mille). Sugli aspetti generali del fenomeno demografico conseguenti a difficoltà produttive e a pestilenze, forse anche a calamità naturali, v. R. NICOTRA, Le crisi demografiche nella Sicilia del Settecento. Cronologia. illlensità. fenomenologia, Catania 1983, oltre allo studio di M. A YMARD, In Sicilia: sviluppo demografico e sue differenziazioni geografiche. 1500-1800, in «Quaderni storici", Ancona! Roma, a. VI (1971), n. 17 (maggio-agosto), pp. 417-46 (ora in AA.VV., Demografia storica, a cura di E. Sori, Bologna 1975, pp. 195 sgg.).

Per un cinquantennio si ebbero ancora considerevoli scarti in aumento, fino al 1845, quando fu indicata dalle statistiche ufficiali una popolazione complessiva di 9632 anime26.

26 «Giornale della Intendenza di Trapani», n. II del luglio 1846. Periodicamente forniva notizie sulla popolazione e sulle attività economiche dei Comuni la Direzione Centrale di Statistica per la Sicilia (v. in ASP, fondo omonimo, 1832/1861), istituita con RD 13 marzo 1832.

Stabile, o lievemente depresso, nel periodo successivo fino al 1860, il movimento demografico avrebbe ricevuto nuovo impulso dopo l'Unità raggiungendo una notevole espansione tra il 1861 (abitanti 8986) e ii 190l (abitanti 20.665), non ostante il forte esodo di Castellammaresi all'estero27.

27 Secondo i dati forniti dal Ministero di agricoltura, industria e commercio, gli abitanti, che furono 8986 al primo censimento postunitario, sarebbero stati 11.280 dieci anni dopo, 15 303 nel 1881 e 20 665 nel 190 I (cfr. Popolazione presellle e residente, p. 324; v. pure i Bilanci demografici dei Comuni siciliani dal 1861 al 1961 , a cura di s. SOMOGY, Palermo 1974). Le forti spinte migratorie che portarono migliaia di Castellammaresi nell'America del nord si erano dirette, in un primo tempo, verso Roma e Trieste. «A Roma c'è una modesta colonia di commercianti castellammaresi, attiva, lavoratrice. Con Trieste, con Fiume si erano stabilite delle correnti industriali di non poco valore. Questo istinto emigratorio è naturale in Castellammare, sorta principalmente per immigrazione; ed oggi, come nei periodi finanziari piu lieti, ove c'è da industriarsi, da guadagnare, da tentar la fortuna, a Tunisi, a Marsiglia, ovunque, si accorre fidenti nel successo» (cfr. L. CUIDERA, Vivai criminali in Sicilia, I, Castellammare del Golfo, Palermo 1903, p. 17). Com'è noto, i dati ufficiali sulla emigrazione dal Regno furono pubblicati soltanto a partire dal 1876 (Statistica dell'emigrazione italiana all'estero, Roma 1877 sgg.). Affronta le molteplici valenze del fenomeno emigratorio nel quadro generale della storia italiana postunitaria E. SORI, L'emigrazione italiana dall'Unità alla seconda guerra mondiale, Bologna 1979.

Questi dati d'insieme riguardano quasi esclusivamente l'abitato di Castellammare, dove la popolazione del Comune viveva accentrata.
Pertanto risultava irrisoria la presenza di famiglie contadine nelle contrade intorno al paese, o piu lontano nei bagli dell'interno. Si spiega cosi che, dopo l'estesa aggregazione amministrativa di alcuni ex feudi del Comune ericino a quello di Castellammare, non si ebbe, in pratica, alcuna variazione nel numero degli abitanti; ovvero che, tenuto conto di un certo decremento che si sarebbe verificato di li a poco, l'ampliamento territoriale non poté influire sulla minorata consistenza della popolazione. Si erano distaccate dall'antico Comune di Monte S. Giuliano (Erice), insieme col bosco regio di Scopello, le tre ex baronie di Baida, lnici e Tursi28, che costituivano fin dal primitivo ordinamento normanno un'isola feudale nel contesto demaniale dell'Universitas ericina29. Però in queste zone erano ormai molti i livellari ed enfiteuti, i quali in questo modo avevano potuto collocare su «frantumi di terra» una parte della propria forza-lavoro, abbandonando il rango dei semplici bracciali per immettersi sulla linea di una proiezione borghese quanto mai aleatoria, ma possibile30.

28 Il territorio che fu aggregato al Comune di Castellammare, misurato in salme 3908, aveva quindi una estensione di ettari 6822,726. La baronia di Baida (duca della Ferla) comprendeva gli ex feudi di Baida e Valle Xacca, Balata, Comuni, Fraginesi, Grotticelli, Pilato, Roccarossa, Sarcone, Valle di Celso, Zecla e Nigra. Quella di Inici, di proprietà del marchese Antonio Cardillo, era estesa salme 600 (ettari 2005,800). Infine la baronia della duchessa di Tursi era costituita dagli ex feudi Brullo, Conca, Curcia, Fiscella, Giallombardo, Golfo, Guardia, Lisciandrini, Sancisuca, Strafaccio e Strafaccello. Elenco degli ex feudi e decreto di rettifica amministrativa in «Giornale dell'Intendenza di Trapani», n. 4 del marzo 1846, p. 52.
29 v. ADRAGNA, Di alcuni documenti del «Liber privilegiorum» della Città di Erice, in «Archivio storico siciliano», s. III, X (1960), pp. 149-80.
30 Si vedano su tali aspetti della frantumazione della terra in relazione ai processi di censuazione a vigneto le puntuali, lucide osservazioni di Giuseppe Giarrizzo nella documentata ricerca su Un Comune rurale della Sicilia etnea (Biancavilla 1810-1860), Catania 1963, pp. 24-32.

Prima della suddetta rettifica amministrativa, avvenuta con real decreto del 24 gennaio 1846, il Comune aveva una estensione di salme 3091,971. Con gli ex feudi passati sotto la sua giurisdizione, che occupavano un agro di 3908 salme, la superficie era perciò piu che raddoppiata. «Nascosta in una conca, che si adagia in mezzo all'ampia riviera del golfo, appiè di una montagna aspra e quasi inaccessibile, Castellammare ha vissuto una vita propria, ha trasformato il suo territorio, per se stesso poco fertile, ha vinto e sfruttato abibnente il suo mare, ha cercato la propria legge morale e l'ha imposta nella sua cerchia di cittadina modesta, dando l'esempio d'una democrazia vera e sociabilissima, che s'evolve a modo suo, senza il correttivo intelligente dei governi saggi e previdenti. La città, guardata dall'alto, assume un aspetto biancheggiante e vivace, dovuto alla pulitezza delle case, come in Sicilia raramente si riscontra. I fabbricati sono svelti, semplici, uniformi, e la scarsezza dei campanili e delle chiese tradisce la sua vitalità moderna. Solo in fondo, quasi cullato dal mare, sorge un castello, ora trasformato in carcere, che contraddice alla recente architettura, la quale da mezzogiorno lo investe e lo circonda»31.

31 L. CUIDERA, Vivai criminali, pp. 12-13.

Il paese di Castellammare è situato a circa 70 chilometri da Palermo, sulla fascia costiera che rientra piu nettamente nel golfo omonimo a causa dell'ingressione marina. Esso appare improvvisamente alla vista di chi vi giunge dalla curva della strada di Baida in tutta la sua splendida posizione naturale. L'abitato è costruito su un terreno in pendenza stretto fra il mare e la montagna d'lnici. Le isole urbanistiche sono perciò modulate sullo spazio concavo che sale fino a 63 metri sul livello del mare a ridosso della montagna. Le strade, rettilinee e parallele, si allungano dai quartieri periferici, posti in alto, verso la parte bassa del paese. Sono invece brevi e anguste le vie traverse che affluiscono sul corso principale, tagliato ai Quattro Canti dalla strada dove si trovano la Chiesa dei Padri Crociferi e il convento che vi era annesso. Le case, seppure diversificate nel «disimpegno» abitativo, piu o meno funzionale e «civile», hanno, in genere, una eguale, fluida architettura, qualificata dalle coperture piane a terrazzo e dai prospetti non privi di ariosa eleganza. Qualche edificio della «strada mastra» è costruito su due elevazioni, distinguendosi, quindi, dalla tipologia abitativa locale, che consiste di una sola elevazione, oltre al piano terra. Eppure conserva la fisionomia degli altri edifici piu semplici, magari con lo sviluppo maggiore dei balconi, e finestre orlate da cornici di tufo, e portoncini piu agevoli per l'ingresso alle scale. L'assenza dei cortili (che costituiscono una caratteristica modulare di gran parte dei paesi della Sicilia occidentale) e, inoltre, le poche non significative emergenze conferiscono al paesaggio urbano, esaltato dai riverberi luminosi del mare, un aspetto uniforme32.

32 Notizie e rilievi urbanistici piu dettagliati in G. GANGEMIIR. LA FRANCA, Centri storici di Sicilia, I, Palermo 1979, pp. 47-51; ma v. anche sull'architettura e sugl'insediamenti urbani nell'area occidentale Città nuove di Sicilia. XV-XIX secolo, a cura di M. Giuffré e G. Cardamone, Palermo, I, 1979; II, 1981.

Sull'originario insediamento di età feudale, sorto a servizio del castello, si è sviluppata la cittadina moderna per via di quelle famiglie immigrate dai centri vicini che man mano s'inserivano nel tessuto produttivo formato si specialmente sulle articolazioni dell'economia marinara e del frazionamento rurale. Il borgo costruito attorno a un «baluardu seu turrigliuni», sorto nel luogo dove prima esisteva un casale arabo33, è diventato presto un agglomerato edilizio con uno schema planimetrico sufficientemente ordinato e regolare34, Cosi, non ostante la sua matrice feudale, le intense correnti d'immigrazione e il contatto col mare hanno permesso alla comunità castellammarese un ricambio sociale e una differenziazione delle vocazioni economiche (marinare e agro-pastorali) tali da incidere fortemente sulla fisionomia del centro storico: il quale, pur mantenendo la preesistente disposizione dello spazio, o spingendo verso la montagna le nuove schiere edilizie, si è di continuo rinnovato nella facies architettonica, fino alla compatta agglomerazione urbana riscontrabile già a metà dell'Ottocento, che è il periodo in cui il processo di enucleazione borghese/agrario appare ormai abbastanza consolidato.

33 M. AMARI, Biblioteca arabo-sicula, I, Torino/Roma 1880, pp. 80-81, che riproduce una testimonianza di Edrisi: «Al Hammah, valida rocca, elevata, ricordata tra le migliori che siano, sorge a tre miglia, poco piu o poco meno, dal mare, che le s'apre a tramontana.
Essa ha un porto, sul quale è stata fabbricata una fortezza che s'addimanda 'AI Madariq, nel qual porto è un andare e venire di navi, e vi «si tendono» le reti da pescare il tonno.
La rocca fu chiamata 'AI Hammah per cagion d'una sorgente di acqua termale che sgorga da una rupe vicina. La gente prende dei bagni in quest'acqua, ch'è di giusto calore, dolce e soave. Ne' dintorni scorrono de' fiumi e delle riviere che fanno girar molini; v'ha inoltre orti, giardini, edifizii, villette e gran copia di frutta. a questa rocca un vasto territorio, con bei poderi da seminare». Le caratteristiche del sito medievale sono pure descritte da G. e H. BRESC, Ségestes médiévales: Calathamet. Calatabarbaro.
Calatafimi, in «Mélanges de l'École Française de Rome», to. 89 (\977), I, pp. 341-70.
34 Il casale di Castellammare ebbe origine da un «baluardu seu turrigluni di la artiglaria» eretto qualche anno prima del 1537 (era novu secondo un atto del 23 novembre 1537 del notaio P. A. Balduccio di Alcamo). In virtu della licenza concessa nel 1560 da Pietro de Luna, signore del castello, si consentì al castellano «chi (potesse) dar lochi per fare case, iuxta la forma chi altri volti in vari loghi si (erano) dati». Cfr. P. M. ROCCA, Notizie storiche su Castellammare del Golfo estratte dall'archivio dei notari defunti alcamesi, in «Archivio storico siciliano», n.s., X (1885), pp. 312-30. Dello stesso Rocca v. poi la Breve aggiunta alle Notizie storiche su Castellammare del Golfo, ivi, XII (1887), pp. 461-64. Per la fondazione del Comune conferma la datazione di poco anteriore al 1570 C.A. GARUFI, Patti agrari e comuni feudali di nuovafondazione in Sicilia, ivi, s. III, I (1946), p. 109. Una Lettera in data del 24 luglio 1855 su Castellammare, con notizie attinenti a quel paese scrisse Niccolò D'Anna, ma rimase inedita (si conserva tra i mss. della Biblioteca Comunale di Palermo, segno Qq.G.27). Infine sul paese compilò per il «Dizionario illustrato dei Comuni siciliani» una svelta monografia Diego Buccellato Galatioto (Palermo 1909; rist. 1980).

Un luogo cosi fortunato dal punto di vista logistico e paesaggistico non lo era però egualmente dal punto di vista ecologico. Il territorio non era immune dalla malaria, per l'esistenza di ristagni sul letto del fiume San Bartolomeo e di altri torrenti. Si formavano gorghi malarici a Guidaloca, Costa della Creta, Trappeto, Dàgala, Pilato, Costa dell' Aquila e Balata di Baida. L'endemia malarica (nelle forme cliniche prevalenti in foca, costituite da quartane primaverili e terzane quotidiane) si sviluppava da giugno, nel tempo della mietitura e battitura del grano, a novembre, colpendo prevalentemente i guardiani dei fondi e i braccianti agricoli35. Né era infrequente il pericolo di smottature ed erosione del suolo a causa della deforestazione cui era sottoposta una zona che prima era coperta da un fitto manto boschivo36. Sui declivi scoscesi dei rilievi che sovrastano il paese, l'acqua piovana precipitava spesso sulle casupole piu prossime alla campagna, dove si raccoglieva il proletariato agricolo. Non era trattenuta da difese naturali, ma nemmeno si era mai pensato di costruire una diga foranea per frenare l'impeto delle acque alluvionali37.

35 Ancora alla fine dell'800 la mortalità per malaria sarebbe stata piuttosto alta (15 decessi nel '94 e 66 nel biennio 1900-190 I, che furono però anni particolarmente infesti). Cfr. v. AMBROSI, La malaria nella provincia di Trapani (1894-1901). Cause, diffusione, profilassi, Parma 1902, Allegati. La specie culex delle zanzare che infestava il Castellammarese (invece delle piu comuni anopheles) riusciva meglio, probabilmente, a resistere nel paludismo impregnato di sali di zolfo che si formava per l'affiuenza nel fiume San Bartolomeo delle sorgenti termali sulfuree di Segesta (ivi, p.43). Sulle eziologie malariche, sulla diffusione della malattia nelle campagne e sulla morbilità, v. ora gli studi locali di c. VETRO, La malaria in Sicilia (1860-1945), in Salute e classi lavoratrici in Italia dall'Unità al fascismo, a cura di M. L. Betri e A. Gigli Marchetti, Milano 1982, pp. 349 sgg., e G. CASARUBBEA, Assetto territoriale. malattie, paludismo nella Sicilia del primo Ottocento, in Malattie, terapie e istituzioni sanitarie in Sicilia, Palermo 1985, pp. 331-56. Sulle problematiche connesse con la condizione delle «classi misere», per gli aspetti relativi all'endemia malarica, v. P. CORBI, Malaria e società contadina nel Mezzogiorno, in Malattia e medicina, pp. 633-78.
36 È iLresiduato di un'antica formazione di querce la sughereta di Angimbé, posta al margine meridionale della montagna d'lnici, ma fuori del territorio di Castellammare. Il bosco copriva, fino alle alienazioni del feudo e del demanio, vaste superfici ad Inici, Scopello e Spàracio. L'ing. Giorgio Schirò calcolava che nella sola Sicilia occidentale, dal 1819 al 1847, la superficie boscata fosse diminuita di almeno 18750 salme (pari a quasi 33000 ettari), che costituivano il 63,6/100 del totale dei preesistenti boschi non demaniali (v. Attuale condizione forestale e sol/orifera di Sicilia, Palermo 1850, pp. 76-77). Le leggi foresta li del 18 ottobre 1819 e 21 agosto 1826 non avevano potuto frenare il diboscamento protrattosi fino ai primi anni postunitari.
37 L'intendente marchese Artale ricordava in uno dei suoi rapporti al Consiglio provinciale la disastrosa alluvione del 1851, che causò la morte di 39 persone: «Il forte uragano a cui soggiaceva sventuratamente quella comune la notte degli 8 novembre 1851, distruggendo insieme e pubbliche e private proprietà, ed il lutto, e la costernazione ponendo nelle famiglie, furono segno in tanto dolore ad atti di sovrumana pietà. Per liberalità del Real Governo dalla cassa provinciale, e da quelle dei comuni vicini, una distribuzione di circa 1600 ducati fu soccorsa ai danneggiati. Il vescovo di Mazara porse anche la sua mano in sollievo di quei miseri <...> Molte opere pubbliche di riparazioni valutate per ducati 3272 vi sono in corso» (cfr. Parole dell'Intendente jJ. di Trapani marchese Artale nella solenne inaugurazione del Consiglio Provinciale del 1852 , Trapani 1852, pp. 15-16). Le frequenti alluvioni causavano periodicamente, fra l'altro, l'interruzione nella fornitura dell'acqua per gli usi domestici (v. G. DI MENZA, Per la solenne inaugurazione del Consiglio Provinciale di Trapani nell'anno 1858, in «Giornale dell'Intendenza di Trapani», n. 5 del maggio 1858, p. 67). Notizie su progetti ed ordinanze per opere di drenaggio, costruzione di ponti, strade e difese idrauliche mai compiute in AST, FI, Opere Pubbliche (1853-59), b. 158. Su tali progetti tornerà l'amministrazione unitaria, ma senza apprezzabili risultati (v. per es. in AST, Regia Sottoprefettura di Alcamo, Affari diversi (1900-1913), b. 6, fase. 3 e Il, per l'alluvione di Castellammare del 1912).

In tale considerazione degli aspetti ecologici rientrano, anzitutto, sia le caratteristiche del suolo, sia i fattori climatici, le prime tutt'altro che favorevoli all'insediamento di un'agricoltura intensiva, ma profondamente segnate nel tempo dall'attività umana, ben disposta ad interventi modificatori, o correttivi, dalla benignità del clima e dalla rilevante piovosità. (Quest'ultima annovera valori annuali minimi di 750 mm e oltre, rispetto ai 400/500 mm delle zone semiaride della Sicilia interna.) Il clima piuttosto caldo e secco dell'estate, che sovrasta spesso in Sicilia le stagioni intermedie (primavera/autunno), col soffio impetuoso dello scirocco, è mitigato nella regione collinare tirrenica dalla vicinanza del mare, da temperature né elevate né molto rigide e da precipitazioni intense che alimentano sorgenti e pozzi presenti in gran quantità nella zona38. Quella specifica «funzione del tempo», che è il clima39, ha qui avuto un'incidenza significativa nella transizione dalla cerealicoltura, il cui buon rendimento non era favorito dagl'inverni piovosi40, all'impianto della vite.

38 Statistica de//e sorgi ve d'acqua, in AST, Regia Prefettura, Opere Pubbliche (186567), b. 189. Il sindaco Niccolò D'Anna informava la Prefettura, con nota del 12 settembre 1867, che esistevano nel territorio comunale due molini per l'erogazione dell'acqua dal fiume San Bartolomeo e dai suoi affiuenti. La quantità d'acqua che se ne ricavava in 24 ore era di ettolitri 15 000; e 30000 era quella erogata mediante altri due molini dal fiume Freddo (ivi). Secondo un rilevamento del 1929 compiuto dal servizio idrografico del ministero dei lavori pubblici, si sarebbero rinvenute nell'agro castellammare se almeno 22 sorgenti, di cui tre termali sulfuree, per una portata di oltre 110 IIs. Sei di queste sorgenti sarebbero state utilizzate per l'irrigazione, due azionate da molini (v. Le sorgenti italiane. Elenco e descrizione, II, Sicilia, Roma 1934, pp. 342-44).
39 È la nota definizione di E. LE ROY LADURIE, Histoire du climat depuis l'an mi! (trad. it. Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall'anno mille, Torino 1982).
40 La resa del frumento era a Castellammare (e nell'agro ericino) tra le piti basse: per es. nel 1822 una salma di terreno (ett. 1,746) coltivata a grano dava salme 6 (hl 16,50) di prodotto; cioè h19,45 per ettaro, contro gli 1I/12 delle altre zone cerealicole della Sicilia. Nello stesso anno le statistiche ufficiali stimavano la produzione frumentaria di Castellammare in salme 400 (ettolitri 1100). In Monte S. Giuliano si producevano cinque/sei mila salme l'anno di grano, mentre nei vicini comuni di Calatafimi e Salemi se ne producevano, rispettivamente, 12 e 13 mila, con una piti alta resa unitaria per ettaro (cfr. «Giornale della Intendenza di Trapani», n. 69 del 31 agosto 1822, p. 154). Nella rotazione agraria, al frumento si alternavano l'orzo (105 s.) e le fave (30 s.). La produzione era considerata «pessima» dalle autorità locali. Si veda pure Quadro della raccolta de' cereali nell'anno colonico 1848, in AST, Commissariato del Potere Esecutivo del Valle di Trapani (1848-49), fase. unico.

Alla composizione umorale dei terreni contribuiscono i processi pedogenetici, oltre che la formazione degli strati geologici; ma qui l'uomo ha pure agito da fattore di riequilibrio del substrato naturale attraverso rilevanti operazioni di trasfusione organica e d'irrigazione.
Dal punto di vista delle «matrici» geologiche, si possono distinguere i suoli rossi mediterranei che si riscontrano sulle montagne calcaree, generalmente poco fertili, ma atti ad essere boscati (e quindi a frenare, in funzione antierosiva, la degradazione del suolo), e i regosuoli da rocce argillose, poco permeabili e poco stabili, che coprono le zone collinari, tra Balata di Baida e Scopello. Solo i terreni che ricadono nel piccolo bacino idrografico del San Bartolomeo, a sud-est dell'abitato di Castellammare, sono costituiti da residui alluvionali. Lungo la costa che dal paese si spinge fino a Scopello, soprattutto nella fertile contrada dei Fraginesi (quasi interamente occupata dal vigneto), il suolo era intensamente sfruttato. Sulle colline e sui rilievi montani (elevati fra gli 800 e i 1100 metri) era invece sterile, o per lo piu abbandonato al pascolo vagante41.

41 Carta dei suoli della Sicilia. Scala 1:250.000, a cura di G. P. Ballatore e G. Fierotti, Palermo 1968. Una ricerca particolare su una zona del Castellammarese condusse molti anni fa R. FABIANI, Notizie sulla geologia del monte lnici (Trapani), in «Bollettino dell'Associazione mineraria siciliana», III (J 927), 5, pp. 9-16.

Esteso su 127 chilometri quadrati, il territorio di Castellammare era delimitato (e lo è tuttora) dai confini amministrativi di Alcamo (al cui distretto apparteneva), Calatafimi e Monte S. Giuliano. Si tratta in gran parte di un'ampia zona collinare disposta tra Inici e le propaggini sud-orientali del monte Spàracio, dove predominava l'agricoltura estensiva e, in alternanza, il pascolo, specie sui tratti rampanti dei pendii rocciosi. Un paesaggio aspro e spoglio, che s'alza fin oltre i mille metri d'altezza, mentre la campagna, ora popolata di casolari e macaseni, digrada lentamente verso l'area di coltivazione intensiva adiacente al mare. Nel tempo qui considerato, a metà del secolo XIX, l'insediamento rurale era però alquanto scarso. Solo nei bagli disseminati nel territorio a presidio e cura degli ex feudi abitavano stabilmente pochi individui, qualche volta col proprio nucleo familiare. Prima del '48, la popolazione sparsa in campagna era piu numerosa, soprattutto per la maggiore presenza di campieri e addetti alla custodia di greggi e mandre; forse anche per una migliore situazione della sicurezza nelle campagne. Dopo gli eventi rivoluzionari, e il ritorno al regime borbonico, il numero dei residenti nelle abitazioni rurali cominciò a scemare. La causa precipua di tale diminuzione si faceva risalire al fatto che, essendo stata nuovamente affidata alle compagnie d'armi la garanzia dell'ordine e della tranquillità nelle zone rurali, mediante l'assicurazione del risarcimento del danno eventualmente subito dai massari per gli abigeati, agli stessi massari non conveniva piu mantenere alle loro dipendenze i campieri, garzoni, bovari e bestiamari che mantenevano prima42. Si calcolava, per ciò, che in tre anni fossero stati licenziati nel solo distretto di Alcamo quasi duecento addetti a tali incombenze armentizie e di guardiania43.

42 Una circolare trasmessa il 13 giugno 1849 dal principe di Satriano ai procuratori del re presso le Gran Corti Criminali di Sicilia ribadiva, infatti, la responsabilità dei capitan d'armi: «Sono essi responsabili, come lo sono stati per lo innanzi, de' furti, anche di abigeato, e de' guasti fatti nelle vie pubbliche, e nelle campagne, comprese le case di campagna, le masserie, pagliare, mandre, e simili per motivi di furto, o di scrocco, come ancora degli scrocchi per mezzo di sequestri di persona avvenuti nelle vie pubbliche, e nelle campagne come sopra» (cfr. «Giornale della Intendenza di Trapani», n. l del giugno 1849, pp. 13-14). Secondo il capitan d'armi Luigi Ferro, questa «gravissima responsabilità de' pagamenti dei furti» aveva spinto i proprietari a diminuire il numero dei custodi: «È perciò che i furti sono frequenti, e lo sembrano di pili. Dico sono frequenti perché lasciando gli animali cosi incustoditi, stizzicano il gulio del furto, sembrano di pili, perché gli animali che si allontanano, che si precipitano da qualche altura, che si annegano, o altro, si danno come rubati». Né potevano bastare alla sorveglianza dei fondi i 32 compagni d'armi che opera vano nel distretto di Alcamo. Cfr. in AST, F1, Abigeato, Disposizioni generali (1850-60), b. 91, il rapporto del capitan d'armi di Alcamo, inviato il 27 settembre 1851 all'intendente di Trapani, che accompagnava il fascicolo delle Osservazioni al «Progetto di un'ordinanza per prevenire i furti d'abigeato» presentato il 7 marzo 1850 dal Direttore del Ripartimento dell'Interno del Ministero e Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente generale, che prevedeva un nuovo «sistema dei marchi» per gli animali.
43 Ivi. In soli 12 ex feudi privati del territorio di Monte S. Giuliano, compresi alcuni ricadenti nella zona passata dal l° gennaio 1847 al Comune di Castellammare, erano impiegati, tra massari e campieri, alla fine del '46 n° 149 individui. Metà di loro aveva un'età compresa tra i 20 e i 40 anni; pochi avevano un'età superiore, solo 5 erano anziani (uno, addirittura, aveva 86 anni). Con meno di 20 anni erano indicati n' 31 individui addetti stabilmente alla gestione e guardiania delle proprietà, tra i quali perfino 15 ragazzi di età compresa tra gli Il e i 16 anni. I proprietari delle masserie erano Francesco Messina, D. Paolo Rizzo, Mario Mangiapane, Salvatore Culcasi, Giovanni Oddo e fratelli, D. Giovanni Quartana e fratelli, Bartolomeo Maranzano e fratelli, D. Francesco La Porta, Giuseppe Fontana, Giuseppe Bonura, Giuseppe Marchese e D. Pietro Barberi (v. «Stato de' proprietarj delle masserie, de' massari e campieri esistenti in questo territorio di Monte S. Giuliano redatto in conformità dell'Officiale del Sig' Intendente de' 20 Novembre ora scorso di n' 9363», in ASME, Polizia ordinaria. 1847, fase. 1556).

Nel paesaggio agrario della Sicilia occidentale, il tipico modello d'insediamento era costituito dal baglio, una costruzione a corte, posta su una collina o sulle pendici di una montagna, che guardava l'ampia vallata sottostante. Il baglio era il centro della vita rurale44. La sua tipologia strutturale assumeva generalmente le caratteristiche delluogo fortificato a difesa delle proprietà che ricadevano entro il perimetro dell'ex feudo (o latifondo) posseduto o ingabellato dal massaro; mentre la sua funzione economica rispondeva alle esigenze dell'azienda a coltura estensiva, cereali colo/pastorale, ma, piu spesso, di quella a coltura intensiva. E, anzi, la distinzione che deve farsi tra masserie e bagli - che non risulta dai ripetuti modelli descrittivi della pur vasta letteratura sul latifondo siciliano45 - segue il criterio della loro diversa destinazione e funzionalità abitati va. La masseria era costituita da un casamento non grande, senza un cortile interno, da adibire a deposito di attrezzi rurali, al ricovero di qualche animale da lavoro e, soprattutto, alla produzione casearia derivante dall'allevamento di ovini e bovini, raccolti, di notte, nel recinto all'aperto detto màrcato.

44 È recente l'interesse per gl'insediamenti baiulari nella Sicilia occidentale, orientato a sfruttare metodologie strutturaliste e documentazione seriale. Chi scrive ha tentato di tracciare una sintesi delle problematiche che vi sono connesse, mediante alcuni «spaccati» della cultura materiale, della mentalità rurale e delle regole gestionali relativi ai bagli nella relazione introduttiva (Per una storia dei bagli: lavoro agricolo e vita quotidiana) al convegno su Il baglio. Analisi, valorizzazione e recupero degli insediamenti rurali (Marsala, 20-21 dicembre 1980); ma v. ora i contributi dedicati ai vari aspetti storici, aziendali e tipologici degli stessi edifici in Buseto Palizzolo: i bagli («Annuario 1985-1986» della Scuola media di Buseto Palizzolo, 4, pp. 7-82).
45 Questa distinzione non fa, ad es., G. v ALUSSI, La casa rurale nella Sicilia occidentale, Firenze 1968: «Le masserie sono aggregati rurali elementari, sparsi nell'interno dell'altopiano siciliano, di solito a grande distanza dai centri abitati, nelle aree ad economia estensiva, cerealicolo-zootecnica, occupati temporaneamente da una popolazione fluttuante che oscilla da pochi uomini addetti alla vigilanza durante la stagione invernale fino a un centinaio di unità, nel periodo dei raccolti, quando vengono assunti numerosi braccianti giornalieri. Possono essere grandi casamenti di vecchi feudi, risalenti ancora al '600 o al '700, o complessi edilizi successivi all'abolizione dei diritti feudali, dell'800 o dell'inizio di questo secolo, talvolta anche di dimensioni piu modeste. Sorgono spesso in posizioni dominanti, da cui è facile controllare tutta l'azienda, ed hanno un aspetto esteriore di luoghi fortificati, in permanente stato di difesa con alte mura e con poche e piccole finestre esterne tutte munite d'inferriate e molto elevate. Elemento caratterizzante di tutte le masserie è però la corte, tanto che nel trapanese vengono indicate con il nome di «bagli» (bagghii) o cortili» (p. 79). Lo stesso concetto (ma riferendolo ad altre aree agricole dell'isola) sviluppa F. GAUDIOSO, Appunti sulle corti rurali della Sicilia sud-orientale, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», s. VIII, V (1940), pp. 337-42, per il quale la masseria, in genere, corrisponde ad una particolare struttura economico-sociale, quella latifondistica. Sull'edilizia rurale siciliana, v. anche L. EPIFANIO, L'architettura rustica in Sicilia, Palermo 1939.

Il baglio, invece, era un nucleo abitativo stabile, a servizio di un'azienda agricola polifunzionale. Poiché doveva essere pure affidabile dal punto di vista delle difese contro le incursioni che potevano venire dall'esterno, 'u bagghiu era costruito in modo da assicurare la custodia degli uomini e del bestiame. Al cortile, chiuso da tutti i lati, si accedeva attraverso un portone di legno (rinforzato da lamiere di zinco per resistere meglio al fuoco) inserito in un portale ad arco a sesto pieno o abbassato, sopra il quale spesso era effigiato lo stemma di famiglia del proprietario. Nel muro che circondava l'edificio si aprivano le saettiere, feritoie da cui si poteva tirare con armi da fuoco contro chiunque volesse avvicinarsi con intenzioni ostili46.

46 Testimonianza diretta resa dal proprietario dei bagli di Tangi e Azzalora, dr. Giuseppe Bica.

All'interno del baglio, gli ambienti che vi erano disposti per l'abitazione del massaro/proprietario e dei suoi dipendenti, nonché per il deposito dei prodotti agricoli, realizzavano nella struttura edilizia le diverse fasi e caratteristiche di un insediamento contadino autosufficiente. Dalle paricclziate (cioè dai terreni che, nell'ambito degli ex feudi, erano suscettivi di piu intensa coltivazione) derivava la produzione di uve, sommacco, olive, cereali, e la loro trasformazione in vino, olio, farine, mediante l'uso di parmenti, trappiti e màcine. Con le attività zootecniche (allevamento di bestiame grosso e ovini, suini, animali da cortile) l'azienda completava i suoi cicli lavorativi, tutti in sé conclusi entro il caseggiato, o in prossimità di .esso. La doviziosa nomenclatura degli attrezzi di lavoro rivelava poi la simbologia della vita materiale di cui si caricavano i gesti ripetuti degli uomini del baglio, legati tra di loro da funzioni e gerarchie pressoché indefettibili47. Spesso al baglio era annessa una cappella per le messe domenicali (come a Baida e a Scopello, a Murfi e ad Inici, ma in quest'ultimo caso la masseria era appartenuta fino al 1767 ai Gesuiti). Il diritto di messa rientrava. anzi, tra le cosiddette perangherie cui erano sottoposti metatieri e terraggieri nei loro contratti48.

47 Tra le figure piti comuni del variegato ambiente delle masserie e dei bagli si debbono almeno ricordare il curatolo, cui era affidata la gestione dell'azienda, i campieri (per la custodia dei fondi), i yistiamàra, conduttori di animali, come i yurdunàra o bordonari, che guidavano però solo per il trasporto delle derrate ciascuno una dozzina (ritina) di animali da soma. il robbatteri o dispensiere; i lavoratori avventizi (jurnateri) e quelli vincolati da un contratto annuale (annalori); gli addetti alle attività zootecniche, come i bovari, i caprai e i pecorai, i salatari (questi ultimi occupati nella stagionatura dei formaggi). Altre persone erano ingaggiate, di volta in volta, per i lavori stagionali, per es. d'innesto e potatura degli alberi.
48 «Diritto di messa: ordinariamente un tumolo (di grano; cioè 17 litri) per salma di terra. Questo diritto vien tassato nei luoghi lontani dalla città, per pagare il prete che dice la messa: però è spesso una sorgente di guadagno per i padroni, i quali pagheranno lO al prete e prenderanno 100 ai contadini. Si ritrova questo diritto specialmente in montagna» (cfr. s. SONNINO, I contadini in Sicilia, ed. Z. Ciuffoletti, Firenze 1974, pp. 26-27).

L'esistenza esclusiva e chiusa degli addetti ai cicli lavorativi che si svolgevano all'interno di un tale microcosmo economico fa pensare poi allo status delle relazioni interpersonali e ai poteri che ne derivavano. Che le forme «esemplari» della mafiosità, come metodo della violenza e gerarchia di valori derivanti da prestigio e consuetudini di vita, abbiano trovato nellocus baiulare la loro legittimazione si può ormai considerare come cosa logica e concludente, alla luce anche delle particolari vicende legate alla mobilità sociale del ceto agrario. La manovalanza che formava il braccio esecutivo delle mafie era, di solito, reclutata tra quanti nelle masserie e nei bagli avevano compiti di guardiania, o erano addetti al pascolo e al ricovero degli animali. Raramente tra i contadini giornalieri. Se l'uso della violenza e dell'intimidazione rappresentava un «valore in sè», come si direbbe oggi49, esso però praticava il mezzo piu efficace, entro il sistema dei rapporti d'interdipendenza fra proprietari e contadini, onde sviluppare la capacità dei piu ambiziosi e spregiudicati a raggiungere l'autosufficienza della roba, mito e realtà insieme del possesso individuale della terra.

49 Ad es. A. BLOK, The Mafia oJ a Sicilia n Village. 1860-1960, New York 1974 (trad. il. Torino 1986, p. 168). Pur nella dominante prospettiva sociologica e antropologica (e perfino psicologica) da cui si guarda alle fenomenologie mafiose, le analisi diacroniche finiscono poi per prevalere. Esemplare, in questo senso, è il saggio di E. J. HOBSBAWM, Primitive Rebels. Studies in Archaic Forms of Social Movement in the 19th and 20th Centuries, Manchester 1959 (trad. it. Torino 1966, pp. 53-85); ma anche Anton Blok, nell'intento di associare l'analisi antropologica e la storia sociale, avverte giustamente che «un modo per sbarazzarsi delle astrazioni reificate che ancora incombono sull'analisi sociologica e antropologica convenzionale consiste nel passare da una prospettiva di breve durata a una di lunga durata» (p. 4).

In un certo senso, la natura stessa della comunità che formava la piccola area culturale del baglio, con la sua organizzazione logistica che strutturava i presidi armati dell'autodifesa, finiva col predisporre i propri abitanti all'esercizio consuetudinario della violenza, di cui essi si giovavano per attuare concrete situazioni di ascesa sociale.
Il paese, di cui ho tentato di tracciare sommariamente il profilo geografico, era costituito in primo luogo dagli uomini. Gioverebbe precisare meglio gli specifici rapporti tra paesaggio e insediamento umano, che, per Castellammare, hanno certamente una forte valenza demologica, dal momento che lo sviluppo della comunità è avvenuto attraverso correnti migratorie assai intense dai connotati pluridirezionali (marineria, artigianato, ceto d'intermediazione dei negozi, censualisti). All'interno dei quartieri del nucleo urbano, la popolazione che vi era insediata si differenziava in una serie di attributi e ruoli economici tra di loro non necessariamente interdipendenti; ma la stessa società contadina si mostrava tutt'altro che omogenea. I riferimenti, seppure brevi che sin qui sono stati fatti agli aspetti insediativi, sono valsi, comunque, a mettere in rilievo il carattere diadico della società locale, tra popolazione che viveva essenzialmente in rapporto simbiotico, ma aleatorio, col mare, e popolazione rurale, divisa al suo interno dalla stessa realtà del paesaggio agrario. Segnato nel suo sviluppo dai nuovi processi di frammentazione fondiaria derivanti dalla concessione a una folla di livellari ed enfiteuti di spezzoni di terra da parte degli ex feudatari, il ceto contadino sopportava il gravame di una rendita usuraria, ma alimentava il sogno del proprio riscatto sociale colonizzando le campagne. Oppure perpetuava nei luoghi destinati al pascolo e al grande affitto mentalità, usi, modi di produzione che appartenevano al formale retaggio del latifondo50.

50 Da quel lavoro di primo orientamento sulla Storia del paesaggio agrario italiano (Bari 1961) che fu elaborato da Emilio Sereni, un po' sull'esempio di Les caractères originaux de l'lzistoire rurale française di Marc Bloch, si è passati nella storiografia del paesaggio e dei «quadri ambientai i» a studi regionali e settori ali sempre piu rigorosi.
Comunque, per la Sicilia, l'interesse storico è tuttora limitato agli aspetti urbanistici, con scarsi riferimenti agli aspetti insediativi e culturali. Sulla specifica allogazione rurale qui accennata - quella delle abitazioni nel latifondo siciliano - si rimanda alla nota 45 infra.
Contiene brevi notizie storiche sulle campagne del Castellammarese il volume fotografico di v. REGINA, Alcamo. Paesaggio urbano e rurale, Palermo 1986.

Nella diversità delle spinte economiche e strutturali della comunità locale, cominciava, però, a manifestarsi sempre piti netta la tendenza a reagire contro i livelli di autorità acquisiti in epoca risorgimentale dai cutrara, cioè da quei ceti di recente formazione medio e alto-borghese che apparivano ormai come i regolatori assoluti della «legittimità» di ogni promozione sociale, turbando, in questo modo, quel certo automatismo della privatizzazione della terra che, all'ombra del potere feudale, si era pure introdotto. Elemento nuovo di coesione, o di conflittualità, tra le «classi alte» della società locale era diventato, infatti, con la fine del regime feudale l'esercizio delle responsabilità politico-amministrative come fonte primaria del potere economico.
Ciò che prima era regolato dal privilegio e dal patrocinio ora, invece, era lasciato al giuoco degl'interessi dei gruppi familiari piu forti e alle tensioni tra di essi. Cosicché l'apparente segmentazione nobiltà/borghesia/clero aveva piuttosto un carattere nominalistico, perché, di fatto, tutti tendevano a raggiungere, o a mantenere, le stesse posizioni, senza preoccuparsi del «valore» rappresentato dalla propria classe.
A queste conclusioni, in pratica, arrivò piu tardi il sotto prefetto di Alcamo, rispondendo a un questionario sulle «classi alte in Italia» trasmesso dal ministero dell'interno per conto del sociologo Leone Carpi, che conduceva in quegli anni un'inchiesta sull'argomento51.

51 AST, Pref, Gab., b. l, fase. 8 (Oggetto: Affari generali. Studi sociali del Commendatore Leone Carpi). Alla circolare del ministero dell'interno, inviata il 12 marzo 1875 ai prefetti del Regno, e tendente a raccogliere i dati relativi alle «classi alte» della società italiana, si accompagnava un dettagliato questionario in tre pagine a stampa (Indagini sulle classi alte in Italia. Roma, l' marzo 1875). I risultati dell'inchiesta furono resi noti da Leone Carpi in una pubblicazione in cui erano compresi solo alcuni campioni regionali del vasto materiale pervenuto al sociologo dalle prefetture del Regno (v. L. CARPI, L'Italia vivente.
Aristocrazia di nascita e del denaro. Borghesia, clero, burocrazia. Studi sociali, Milano 1878). Su Leone Carpi (1810-1898), v. il profilo di R. ROMANELLI, L.e., in Dizionario Biografico degli Italiani, 20, Roma 1977, pp. 599-604.

La risposta del sottoprefetto non fu pubblicata nel volume di Carpi che raccoglieva solo alcuni dei rapporti a lui pervenuti dalle prefetture del Regno. Per quel che ci riguarda, essa testimonia, a quindici anni dall'Unità, secondo un punto di vista ufficiale, le condizioni morali delle stesse «classi alte», cioè i loro atteggiamenti e comportamenti: il grado di cultura e il prestigio acquisito, la forza economica, le relazioni stabilite nell'ambito della famiglia e, quindi, il ruolo assegnato alla donna, la condotta politica e sociale. Dapprima il funzionario dedica il suo esame all' «aristocrazia nobiliare antica e moderna», per rispondere alla richiesta di notizie riguardanti le sue qualità e l'influenza eventualmente esercitata sulla popolazione. Ormai c'erano pochi «rimasugli» di questa classe, che, del resto, risiedevano per gran parte dell'anno a Palermo. Il giudizio su di essi è fortemente negativo: «La prepotenza ed il disprezzo verso gl'inferiori, la deficienza d'istruzione, la poca moralità, la mala amministrazione de' propri interessi, la non curanza, ove non avvi di peggio, verso la donna nell'interno della famiglia, benché quasi sempre docile ed onesta, l'attaccamento a tutto ciò che sia causa di utile immediato, l'apparente bigotta divozione: tali sono, meno pochissime eccezioni, le caratteristiche qualità che piu o meno distinguono i pochi rimasugli della antica e della piti recente aristocratica nobiltà che oggi ancora vivono in questo Circondario.
Alieni dallo studio, oziosi e viziosi e dediti al gioco, ignoranti e vani, sempre meno rare eccezioni, ne sono i giovani rampolli, i quali di conseguenza non hanno, né è possibile che abbiano, influenza alcuna sulle altre classi del paese, ad eccezione di coloro che ne dipendono per ragione d'interesse e da cui sono tutt'altro che benvisti. Scarsa è ne' vecchi la beneficenza, ma quando qualcuno di essi fu benefico lo fu splendidamente. È invece presso che ignota a' giovani i quali rifuggono dall'occuparsi di umane miserie. È ben inteso che io ho attribuite queste deplorabili e funeste condizioni di carattere a coloro di questa classe di popolazione che tuttora tengono la ordinaria loro dimora in questi paesi, ove i lumi della civiltà, checché si pretenda in contrario, sono tuttora ben lontani dall'essersi manifestati coi loro benefici effetti, per tante ragioni che non è qui il caso di esporre. Quelli invece della nobiltà di queste regioni, e sono forse i piu, che da tempi piu o meno lontani si sono stabiliti nelle principali città dell'Isola, e particolarmente in Palermo, dovettero subire ne' loro costumi e nel loro carattere quelle non poche modificazioni che furono l'effetto dell'influenza su di essi esercitata dal vivere in piu gentile consorzio e da' diversi principì che, massime in quest'ultimi tempi, regolano la nostra civile società».
Né migliore è il giudizio sull'«aristocrazia del denaro e degli uomini di affari», cioè sui pochi proprietari latifondisti. Assimilabile al ceto nobiliare per lo scarso vigore morale della propria condotta di vita, si distingueva da esso soltanto per le cospicue ricchezze accumulate mediante spregiudicate e fortunate operazioni del mercato fondiario: «Uomini di denaro e di affari nel senso che si dà a queste frasi specialmente ne' grandi centri di popolazione, non se ne incontrano nel territorio di questo Circondario. La classe la piu danaro sa in questi paesi è quella de' ricchi proprietarì non appartenenti alla precedente, e per la massima parte di non remota data. Per la maggior parte gente fortunata piu che ardita nelle speculazioni, astuta anziché istruita, immorale anziché viziosa, piu superstiziosa che religiosa, di onestà elastica, abile nel raccogliere e nell'accumulare anziché nel migliorare le produzioni, alieni quasi tutti dai divertimenti, massime se costosi: tali sono quasi tutti costoro i quali, in generale, derivano dalla classe de' coltivatori (detti villani) e dai piccoli merciai ed usurai. Laboriose sono le loro donne e tenaci nell'economia. I giovani di questa classe pensano in buona parte a godersi il frutto del lavoro e dell'economia dei loro padri ed anche ciò meschinamente, secondo le loro limitatissime idee. Pochissimi si danno allo studio, e questi stessi, meno rare eccezioni, non lo fanno per altro motivo che di vivere qualche anno in Palermo. Rientrano poi ne' loro paesi non meno ignoranti ma assai piti vanitosi di prima. Rara e quasi sempre meschina è in questa classe la beneficenza. Il cuore ne è duro, incominciando colla propria prole. Frequente infatti fu sempre fra costoro l'empia abitudine di vivere per molti anni in concubinato colla donna che per capriccio soltanto si scelgono a compagna; una parte della prole, quasi sempre numerosa in tali illecite unioni, si dannava alla ruota degli esposti, oppure per tenui somme e senza nome si affidava a gente miserabile di campagna; soltanto i prediletti venivano conservati e successivamente legittimati col matrimonio». La connotazione moralistica dell'analisi sociologica compiuta dal funzionario non sminuisce la concreta rilevanza dei dati sostanziali: l'accumulo della ricchezza in funzione della rendita parassitaria e non di un meccanismo capitalistico di spinta alle trasformazioni fondiarie e al miglioramento dei rapporti di lavoro; il capitale feneratizio all'origine di tale accumulo e appropriazione; il sistema della «famiglia spezzata», che non è regolata dal matrimonio (o che lo è solo in limine mortis). In quest'ultimo caso, mancano al riconoscimento del vincolo familiare, oltre che la sanzione giuridica, anche la solidarietà affettiva e la filiazione patrilineare. Sulla base dei registri parrocchiali o con la documentazione fornita dalle istituzioni di pietà si può rilevare quanto fosse esteso il fenomeno delle nascite occulte e dei proietti, la cui elevata percentuale è pure ricordata dalle fonti ufficiali52.

52 Per il distretto di Alcamo, una statistica pubblicata dal «Giornale dell'Intendenza di Trapani» (n. Il del luglio 1846) riportava il numero di 148 nascite occulte (56 maschi, 92 femmine) in un anno su un movimento dei nati di n' 2323 (6,37%). Percentuale non piu elevata di quella riscontrabile altrove. Nel pur crescente interesse per la storia delle strutture familiari (v. per l'Italia gli atti del convegno su Strutture e rapporti familiari in epoca moderna: esperienze italiane e riferimenti europei. Trieste, 3-5 settembre 1983, e la rassegna di G. GALASSO, Gli studi di storia della famiglia ed il Mezzogiorno d'Italia, in «Mélanges de l'École Française de Rome», to. 95 (1983), pp. 149-59), il fenomeno delle nascite occulte non è stato ancora studiato dai demografi. Gli archivi parrocchiali e quelli delle opere pie potrebbero essere utilmente sfruttati, a tal fine, per la storia dei baliatici e dei proietti nel contesto di una dinamica demografica in cui appare elevato l'apporto dei nati fuori del matrimonio. Si vedano, per un approccio generale, M. UVI BACCI, Donna, fecondità e figli. Due secoli di storia demografica italiana, Bologna 1980, e G. DA MOLIN, L'infanzia abbandonata in Italia nell'età moderna. Aspetti demografici di un problema sociale, Bari 1981. Sul versante opposto, la tradizione familiare e le strategie matrimoniali (v. M. BARBAGLI, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti dellafamiglia in Italia dal XV al XX sexolo, Bologna 1984).

Senza ripetere le amare rampogne del sottoprefetto di Alcamo, non si può tuttavia disconoscere il significato etico-sociale che tale fenomeno assumeva di per sé nel contesto di una mentalità che considerava i figli come occasionaI i benefici ari della roba accumulata (se non proprio come intrusi nel godimento di essa); e perciò giudicava l'unione con la donna soltanto sotto l'aspetto dell'uso sessuale. Che era poi un altro, non marginale, risvolto di quella «ossessione» proprietaria che costituiva la molla vitalistica di una simile cultura. La media borghesia - ovvero quelle «classi di cittadini che sogliono dirsi di civile condizione, quand'anche prive di mezzi di fortuna» - era costituita in loeo soltanto da coloro che esercitavano «professioni liberali», o traevano da rendite patrimoniali non grandi la propria sussistenza. Nei confronti di essa, la preoccupazione del sociologo Carpi era ben mirata: «Se prevalga in queste classi l'energia e la tenacità di proposito, per conservare ed aumentare la rispettiva loro fortuna, o per acquistarla per coloro che ne fossero privi, col lavoro diretto nell'industria, nell'agricoltura e nel commercio; o se si prediliga l'ozio presuntuoso, lo stemperarsi in querimonie contro i poteri dello Stato e le classi superiori perché non offrono loro l'offa degl'impieghi. Se i mestatori politico-sociali facciano temibili proseliti fra queste classi, a scopo sovversivo e non di progresso serio escusato; e se il clero vi possa esercitare influenza sovvertitrice rispetto all'ordinamento politico attuale del nostro paese». La risposta era rassicurante sotto il profilo politico, ma nello stesso tempo esplicativa del concetto che il ceto medio non avesse un proprio ruolo in una società pur sempre dominata dalle tendenze oggettive verso la rendita parassitaria, il cui unico traguardo era il possesso della terra. «Manca in questi paesi si constatava - quella borghesia cui si riferisce il 3° quesito del Sigr Carpi, a meno di quella classe che è composta dagli esercenti professioni liberali, che qui sono in numero limitato, degl'impiegati di amministrazioni pubbliche e private, degli agenti di affari che qui sono pure pochi. Costoro non sono dissimili da quel che sono in tutte le altre località dell'isola, ma piu morigerati, poco viziosi, sobri e fors'anco, per quanto loro ne offrano occasione le risorse che presentano questi paesi alle rispettive professioni, piu laboriosi di quello che particolarmente siano nelle grandi città. Poco accessibili alle male arti dei mestatori politico-sociali, lo sarebbero forse di piu a quelle del clero se questo avesse volontà e libertà di esercitare una influenza sovertitrice rispetto all'ordinamento politico attuale del nostro paese. La religiosità che riscontrasi in questa classe di popolazione non è ancora scevra di superstizione. Le loro donne in paese sono di riservatissima condotta, dedite alla cura della famiglia, pochissimo istruite, aliene dai divertimenti, religiose, ma facilmente bigotte o per convinzione o per ostentazione. Piu abbondanti sono in questa classe che non nelle altre, e particolarmente fra coloro che sono privi di fortuna, i giovani volenterosi di studio e desiderosi di sollevarsi con esso al di sopra della posizione di loro famiglia; il che pur troppo non tutti arrivano a raggiungere per mancanza di opportunità e di mezzi per potersi recare a continuare i propri studi nelle città fornite degli istituti adatti»53.

53 Le risposte piu generiche del prefetto di Trapani, Giuseppe Cotta Ramusino, al questionario (AST, Pref, Gab., b. I, fase. 8) non hanno invece alcun interesse né politico né sociologico. Banalizzato nell'anonimo riscontro burocratico, il giudizio morale sulla inettitudine o sull'egoismo delle «classi alte» risulta cauto e sfumato, e forse nemmeno convinto. Si ribadisce, tuttavia, che l'esistenza del latifondo «offre poco margine alla diffusione del benessere locale, alla prosperità pubblica, nazionale» e che l'aristocrazia, ormai confusa con gli altri ceti di media e alta borghesia, «se non si dà gran pensiero di produrre, non si dà gran fatto pensiero neppure di consumare». L'impresa capitalistica è appena agl'inizi, ma risiede sui negozi a rischio limitato. Abile e attivo nella vita professionale, poco scrupoloso nell'incettare la fortuna, ma assai morigerato in seno alla famiglia, il ceto medio ha forse un'influenza intellettuale sulle classi popolari (e anche sui ceti superiori) sproporzionata al suo reale livello culturale.

Il rischio che il ceto medio, premuto dai suoi bisogni di garanzia sociale, potesse essere irretito nelle trame del partito della sovversione rossa o nera era dunque inesistente; ma a ciò contribuiva anche l'atteggiamento del clero, il quale aveva rinunziato alle sue potenziali leve del consenso in funzione antistatuale perché veramente non gl'importava sconvolgere un sistema di relazioni di cui era parte organica. I quesiti relativi al «clero alto e basso» erano indirizzati a conoscere quale fosse l'influenza da esso esercitata sulle altre classi sociali e particolarmente sulle donne. Spiegava, a tal proposito, il questionario che «lo studio su di questa interessante classe di cittadini è di somma importanza, come quella che con mezzi morali di una incontrastabile efficacia può contribuire a rendere potente, ricca ed ordinata l'Italia; o renderle piu malagevole il conseguimento dei suoi grandi destini. Se è presumibile, come moltissimi sintomi inducono a credere, che il basso clero in generale si schiererebbe quasi unanime fra le fila di quei milioni d'Italiani che ad altro non pensano nella rispettiva loro sfera d'azione se non a rendere grande, temuta e rispettata l'Italia sotto la monarchia costituzionale che la regge, qualora si potesse e si sapesse svincolarlo dalle ritorte in cui geme per dover dipendere in modo troppo assoluto dall'alto clero, che fin qui, in gran parte, idolatra il poter temporale dei Pontefici, e le dottrine che ne erano il baluardo, rispetto ai mezzi di sussistenza». Gli ecclesiastici, specie nei paesi dove non si esercitava direttamente l'autorità delle gerarchie cattoliche piu elevate in grado, non manifestavano, in genere, opposizione allo Stato liberale. Il loro animo era, anzi, piu disposto ad aderirvi per le migliori fortune d'Italia. Era questo il pensiero fiducioso del sotto prefetto che, perciò, chiudeva la sua lunga annotazione convinto che, non ostante l'atonia che aveva riscontrato tra gli abitanti del suo circondario, esistesse qualche energia morale di spinta: «Per buona sorte di questo Circondario - egli, infatti, concludeva - la gerarchia ecclesiastica qui non arriva che al grado di Canonico, non essendo vi sede vescovile. Il clero per ordinario, e piu particolarmente i Sacerdoti piu avanzati in età, sono rispettati e meritano di esserlo per discreta istruzione, moralità, riservatezza e modestia di costumi assai maggiore che riscontrisi in altre parti dell'Isola. È però in essi il difetto, a cui con maggiore sfrenatezza si abbandonano i giovani stessi di questi luoghi, di volere agire sull'animo tanto impressionabile delle masse di queste popolazioni, colla superstizione, colle smodate grida e stranissimi racconti dal pulpito, col terrore dal confessionale, coi colpi di scena nelle funzioni della Chiesa. Questo clero, come pochissimo si occupa di moralizzare la popolazione, di che tanto si avrebbe bisogno, egualmente non pensa a sovvertirla, sia perché ha troppo a pensare per procurarsi la sussistenza in questi tempi a lui non troppo propizi, sia perché effettivamente, per quanto almeno si manifesta, non nutre quei principi che altrove hanno messo il sacerdozio italiano in opposizione ai bisogni ed alle leggi dello Stato. Non mancano tra esso gl'indegni, gl'immorali cioè, gl'intriganti ed i ribelli alle istesse regole di religione, ma anche questi sono in minor numero che in altri luoghi dell'isola. È indubitato che il clero minore, ove potesse svincolarsi dalla tirannia che su di lui esercita il superiore, si schiererebbe tra gli amici ed i fautori della libertà e della grandezza di questa sua patria. Se il clero del Circondario alcamese possa ritenersi migliore, come io credo, in proporzione delle sue particolari circostanze di numero, di mezzi e di educazione del clero di tante altre Diocesi dell'isola, mi sembra doversi attribuire appunto al fatto di non essere desso sotto la diretta sorveglianza ed influenza del suo Diocesano che risiede in altro Circondario»54.

54 Nella risposta del prefetto Cotta Ramusino (ivi), il giudizio sul clero alto e basso è rigidamente ostile: potente perché numeroso «con larghi rapporti di parentela, di interessi», è riprovevole sotto·tutti gli aspetti morali e politici, perché infido, di «astuzia soprafina», avido e faccendiere. Né è diverso il clero liberalizzante, da cui è sempre bene diffidare: «La gradazione delliberalismo del prete, e del prete apostatato, quando non è decisamente d'opposizione, gli si avvicina di molto, ed è sempre intinto di autonomismo. La vecchia gerarchia della chiesa Romana è in ogni caso rigorosamente osservata: chi credesse trovare in seno a questo clero elementi poderosi per la costituzione di un clero nazionale, assai mal siapporrebbe». Il suo attivismo è indirizzato soltanto ad affermare nel paese, col favore popolare, la sua costante disposizione al dominio: «Sebbene occupatissimo nelle frequenti funzioni del coro e dell'altare, entra in ogni genere di brighe pubbliche e private, nel municipio, nella provincia, nelle opere pie, nelle amministrazioni, alle scuole: non trascura occasione che valga a tenerlo alto nel prestigio del paese, a migliorare il suo censo. Le classi tutte quante di questa popolazione, quali piu quali meno, accolgono, subiscono l'influenza del clero: le plebi però sono quelle che piu ciecamente di preferenza lo seguono: con una strana distinzione chiudono facilmente gli occhi su tutto ciò che è fatto mondano, anche se molto anormale, e ne accettano l'apostolato religioso: non distratti da altri trattenimenti il popolo, le plebi contribuiscono facilmente, accorrono in folla agli spettacoli chiesastici, se ne fanno da loro con lunghe processioni nelle pubbliche vie di giorno, e di notte, con vero fanatismo e con molto sfarzo, come non si vede piu altrove oggi nelle regioni piu avvanzate del continente». Eppure il clero locale, specie quello minore, nella sua parte piu intelligente e colta, aveva dato prove di generosa dedizione alla causa unitaria (v. F. L. ODDO, Clero liberale nella provincia di Trapani tra il 1848 e il 1860, in La Sicilia dal 1849 al 1860. Atti del Convegno Siciliano di Storia del Risorgimento, a cura di G. Di Stefano, Trapani 1962, pp. 341-70).

Questi giudizi espressi da un osservatorio limitato, e forse per ciò stesso piu aderenti alla realtà ambientale dei ceti medio e alto-borghesi, contrastano, però, con quelli piuttosto frettolosi e anòdini forniti in quel periodo dalle altre autorità. Li ho riferiti integralmente, oltre che per il loro indubbio valore documentario, anche perché consentono di penetrare certe logiche della condotta politica del Governo, che erano, del resto, assai trasparenti nelle considerazioni che avevano spinto Leone Carpi a condurre l'inchiesta, e il ministero a farsene carico tramite le prefetture55.

55 L. CARPI, L 'Italia vivente, pp. 7-15. La critica radicale mossa da Carpi alla classe dirigente liberale partiva dal presupposto (riscontrato, poi, nei risultati dell'inchiesta) che la realtà sociale italiana fosse dicotomizzata tra un'alta borghesia di affaristi senza scrupoli e una classe sterminata di poveri lasciati nell'ignoranza e nel pregiudizio religioso dall'ignavia o dall'irresponsabilità delle classi alte. Quel mediano elemento di propulsione capitalistica e di progresso intellettuale, che in altri paesi d'Europa costituiva la borghesia imprenditrice e il ceto medio, in Italia era per lo piu assente, o carente di energie morali.
L'iniziale processo di modernizzazione del paese, con i fenomeni di urbanizzazione, concentrazione del capitale anonimo ed espansione della burocrazia, non avrebbe, in pratica, segnato la nascita di una classe borghese «nazionale», ma solo di un ceto medio avido e corrotto, prosperato all'ombra di una libertà economica che rappresentava la «Iegittimazione dottrinaria delle prepotenze dei forti». Sulle successive posizioni protezionistiche di Leone Carpi, favorevole allo sviluppo dell'industria siderurgica e cantieristica nazionale, v. G. CAROCCI, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, pp. 153-54.

Se l'esistenza di una borghesia agraria, in via di graduale omologazione pseudonobiliare, era considerata come un male strutturale, e come un retaggio ineludibile del passato regime feudale, si cercava tuttavia nella media borghesia qualche sia pur debole segnale di crescita morale e sociale per la legittimazione di una classe dirigente «nazionale», consapevole, cioè, dei «grandi destini» cui era chiamata l'Italia; ma si constatava pure come un tale segnale fosse debole, soprattutto nelle regioni meridionali del paese, dove il ceto medio era schiacciato dal confronto col ceto agrario dominante56.

56 Per quanto riguarda l'ipotetica «area borghese» della Sicilia, v. lo studio recente di E. IACHELLO e A. SIGNORELLI, Borghesie urbane dell'Ottocento, in Storia d'Italia. Le regioni dall'Unità a oggi. La Sicilia, a cura di M. Aymard e G. Giarrizzo, Torino 1987, pp. 89-155.
Vi è pure riportata una elaborazione di dati relativi al terzo censimento della popolazione: per il circondario di Alcamo si calcola - su una massa «borghese» del 9,7 per cento abitanti maschi da 9 anni in su - una percentuale del 5,0% di proprietari, 2,3% di esercenti commercio e artigianato, 0,4% di esercenti professioni liberali, 1,4% di impiegati e 0,6% di sacerdoti (ivi, pp. 104-109). Gli stessi autori, però, riconoscono il valore assai approssimativo di un tale misuratore di quantità, laddove - come risulterà meglio dalla presente indagine sulle articolazioni sociali delle classi a livello locale - i «possidenti», come tali censiti e rilevati, potevano essere conteJ;Ilporaneamente civili o sacerdoti, e perfino contadini e artigiani. Si veda per un riferimento generale alle enucleazioni borghesi nel secolo XIX A.M. BANTI, Alla ricerca della «borghesia immobile»: le classi medie non imprenditoriali del XIX secolo, in «Quaderni storici», a. XVII (1982), n. 50 (agosto), pp. 629-51; Borghesie urbane nell'Ottocento, a cura di P. Macry e R. Romanelli, ivi, a. XIX (1984), n. 56; P.MACRY, Notables, professions libérales, employés: la difficile identité des bourgeoisies italienes dans la deuxième moitié du XIXe siècle, in «Mélanges de l'École Française de Rome», to. 97 (1985), I; e Alcune tematiche e riflessioni su élites e ceti medi nel XIX secolo, in «Passato e Presente», Firenze, settembre/dicembre 1986, pp. 147-62.

Non potendo contare sullo sviluppo «morale» delle plebi rurali, prevaricate dal prestigio pretesco nella superstizione religiosa, né, d'altra parte, potendo confidare sulla lealtà politica del clero, si doveva allora riconoscere nella forza per cosi dire inerte, cioè consuetudinaria, dei poteri statuali la sola identità possibile della nazione, preoccupata di colmare il vuoto delle energie civili e sociali. Il quadro che si rappresentava era, dunque, sconfortante, e tale da giustificare in un certo senso l'attitudine dei funzionari governativi alla diffidenza e al malanimo verso le popolazioni locali.


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