Salvatore Costanza


la copertina del libro

la copertina


© Copyright 1989
Arti Grafiche Corrao



via Valenza, 31
Trapani
Finito di stampare
nel settembre 1989



Ringrazio l'amico
Vito Accardo
per avermi portato
alla conoscenza
di questo libro



Questa ricerca storica riproduce, con ampliamenti e integrazioni, l'omonimo studio pubblicato nel fascicolo speciale dei «Nuovi quaderni del meridione» dedicato alla rivoluzione palermitana del settembre 1866 (n. 16, ottobre/dicembre 1966, pp. 419-38).





Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

LA PATRIA ARMATA di Salvatore Costanza


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DOCUMENTI


l. Rapporto del delegato di p.S. al pretore di Castellammare.


Oggetto: Attacco a fuoco fra carabinieri e briganti (AST, Corte d'Assise, Processi penali, b. l, fase. 5).

Castellamare 9 aprile 1866

Verso il mezzo giorno di jeri l'altro, questo Brigadiere comandava una colonna di undici carabinieri e sei soldati, e trovavasi nella montagna dei Niveri. Perlustrando e guardando per ogni dove si avvidde che a molta distanza salivano da un vallone tre individui armati, e siccome non si erano accorti della forza prendevano precisamente la direzione ove essa già si era appostata. I tre armati erano giunti a due tiri di palla a distanza dai nostri, quando si fa sentire una voce di un ragazzetto caprajo gridare molte volte: dagli alla volpe. dagli alla volpe. A questo grido i tre armati fecero posta, si misero sull'avviso, e vista di poi la Forza scaricarono contro di essa i loro fucili, fecero un fronte indietro, e si dettero a fuga precipitosa. I Carabinieri e soldati si dettero ad inseguirli, e a cercare il modo di circondarli e tagliarli la ritirata, ma non vi poterono riuscire perché la distanza che li separava da loro era assai, e perché, piu pratici dei luoghi, i tre malfattori fuggivano come lepri. Costoro furono riconosciuti per il famigerato Torrigiano Pasquale di Vincenzo di anni 25, Caleca Pietro di Gioacchino di anni 25, ambo disertori, e Manzella Antonino di Vito di anni 20, tutti di Castellammare. Il Delegato Marca


2. Rapporto del delegato di p.s. al pretore di Castellammare.


Oggetto: Rivolta alla forza pubblica (ivi, b. l, fase. 7).

Castellamare 25 giugno 1866

La mattina del 22 andante una pattuglia composta di diciotto individui fra Carabinieri e guardie nazionali era da qui uscita coll'intendimento di tentare ogni mezzo per scontrare la banda brigantesca che infesta questo territorio.
Avuta cognizione come Girolamo De Filippi inteso Catonzo fu Gioacchino di anni 25, borgese dimorante a Guidaloca, Castellamare, e Gervasi Giacinto fu Gaspare di anni 26, borgese, dimorante vicino al castello di Baida, Castellamare, fossero manutengoli di detta banda, passava a Guidaloca, e preso il De Filippi si diresse alla casa del Gervasi. A circa mezzo chilometro da detta casa la pattuglia, sembrando essere troppo numerosa, si divideva. Dodici si diressero al casamento di Baida, ed i sei al margine «Reis lo Lorenzo, Fundarò Giuseppe di Gaspare, Asaro Santo di Giovanni, Fois 30 Elia, Nicotri Giuseppe di Gaspare, Gioja Giuseppe guardia campestre» si portarono alla casa del Gervasi; alla quale giunti viddero da essa uscire due individui inermi, i quali, ad onta dell'intimazione di arrestarsi, fuggirono alla volta della montagna. Avendo la pattuglia riconosciuto in essi due briganti, gli fece una scarica addosso, ed i projettili delle armi del Fois e del milite Fundarò, investito nel petto uno dei fuggenti, lo stesero al suolo cadavere. In questo mentre una scarica di fucilate parti dall'alto della montagna senza offendere alcuno. Fu allora che la pattuglia si avvidde di altri sei individui che stavano in agguato dietro i massi. Si rispose al fuoco contro i briganti, ma senza esito. Gli assassini fecero nuovamente fuoco contro la pattuglia, e questa volta un projettile di misura ordinaria colpiva nel piede sinistro il brigadiere Reis perforandolo da parte a parte. Furono scambiate molte altre fucilate da ambo le parti, ma senza risultato. La forza che erasi recata a Baida accorse subito a dare ajuto ai compagni, ma anch'essa nulla poté ottenere. I briganti non per effetto delle fucilate, ma perché si era attaccato fuoco alle erbe secche della montagna, se ne fuggirono e si poterono mettere in salvo.
Tratto agli arresti il Gervasi ed il De Filippi ebbero a confessare che il brigante morto era Chiofalo Antonino fu Leonardo di anni 2 I disertore, e l'altro il famigerato capo-banda Torrigiano Pasquale di Vincenzo di anni 26, ambo da Castellamare. Nella casa del Gervasi vi erano abbondanti provvigioni di viveri, e sembra che si stava preparando un pranzo.
La notizia di questo fatto corse subito in Castellamare; per il che il sottoscritto messosi alla testa di molti militi nazionali a cavallo volava sul luogo, perquisiva la casa del Gervasi ove rinveniva armi e munizioni, e faceva per tre giorni consecutivi perlustrazioni accuratissime per quelle alpestri ed estesissime montagne; ma le fatiche di tutti non poterono avere favorevole risultato, essen­dosi fin dal secondo giorno perduta la traccia della banda. Il Delegato Marca


3. Rapporto del delegato di p.s. al pretore di Castellammare.


Oggetto: Ribellione (ivi, b. 2, fasc. 30).

Castellammare 28 settembre 1866

Dietro avviso telegrafico ricevuto jeri mattina dal Signor Prefetto della Provincia di un combinato attacco generale che davasi ai briganti che aggiransi, e infestano queste contrade, che requisiscono forzatamente uomini e armi, e che ad imitazione delle squadre di Palermo minacciano assalire Castellammare per abbattere il Governo, e dichiarare la repubblica dei ladri, e degli assassini, io radunava ottanta uomini circa fra soldati del 10rno fanteria, guardia mobile, carabinieri e guardie campestri, e mi avviava alla volta de' Fraginesi non solo per appoggiare di fronte il movimento che in semicerchio operavasi per le campagne, e montagne di Castellammare, dalle varie colonne venute da Trapa­ni, Alcamo e Calatafimi, ma perché avevo saputo che al punto cosi detto il Castellaccio erano stati visti una trentina di briganti con bandiera rossa. Giunto diffatti a questo punto mi avvidi che alla distanza di circa due terzi di miglio, venticinque e piu individui salivano la montagna dalla parte di Costa del romito. In quel tempo mi giungeva l'avviso che nel piano dei Fraginesi a un trecento passi da me lontano trovavasi il Signor Capitano dei Reali Carabinieri, un Maggiore ed una trentina soldati fanteria, per cui senza por tempo in mezzo, e perché quei briganti non avessero a sfuggire dalle mani della giustizia, dissi al Signor Tenente Baglioni Artenissio d'inseguire i briganti salendo la montagna di fronte e al Signor Capitano della Guardia Mobile, Gioacchino Costomerlo, di salire coi suoi la montagna dalla parte sinistra onde chiudere per quella via il passo ai briganti. A questa colonna si univano tre Carabinieri e due guardie campestri. lo poi volsi subito a trovare il Sig.r Capitano de' R. Carabinieri e il Sig.r Maggiore del 60mo Fanteria, feci loro vedere ove trovavansi quei briganti, e feci conoscere ove avevo spedite le due colonne per inseguirli, e l'urgenza che vi era di salire subito la montagna dalla parte destra onde mettere in mezzo cosi i briganti, e non farli piu fuggire dalle nostre mani. Avuta da loro l'approvazione delle disposizioni date, ci avviammo tutti e tre, a passo di corsa, seguiti da una trentina di soldati, a salire la montagna dalla parte destra. Intanto che cosi affannatamente si correva si udivano diversi colpi di fucile, e quindi questi colpi ripetendosi piu spesso in piu numero ci dettero a conoscere che già si erano attaccati a fuoco. Raddoppiavasi dalla nostra parte la corsa, ma di li a poco non si udivano piu fucilate. Intanto giungevamo sul culmine della montagna, ci avviammo dalla parte ove avevamo udite le fucilate, ma non trovammo piu né briganti, né soldati. C'internammo pertanto nelle gole delle montagne, ove al fine trovammo alquanti soldati che venivano d'Alcamo, e che anche loro eseguivano i movimenti ordinati di perlustrazione e di appiattimenti. Da questa parte però non solo non si erano visti briganti, e i nostri soldati, ma non si erano neppure udite le fucilate.
Finito il servizio di perlustrazione si rientrava in Castellammare, ove venni alla cognizione che i briganti guadagnarono l'altura prima della colonna di centro e di sinistra per il vantaggio che avevano di quasi un miglio, e che guadagnate le rocche si posizionarono fra i massi in modo da offendere, e non essere offesi. Arrivata la colonna di sinistra a tiro di fucile venne accolta con tante vive fucilate che cedette un poco di terreno. Ciò dette animo ai briganti, e dodici di loro usciti dai nascondigli gli si fecero incontro, protetti però sempre da barricate di grossi massi, obbligandoli a ritirarsi. I tre Carabinieri impicciati dai cavalli restarono alquanto indietro, e si sostenevano come potevano. Sven­turatamente il carabiniere Mendolia lo Giuseppe, forse credendo di trovar modo di meglio discendere, si trovò impegnato su di una scogliera, o precipizio, con altri due militi della guardia mobile e cinque soldati del 10mo fanteria. Ma raggiunti dai briganti, due si gettarono dal precipizio restando morti, il Mendolia fu subito ucciso, e cinque furono fatti prigionieri.
Intanto il distaccamento del 10mo, sentendo impegnato il combattimento nel vallone di sinistra, sali fino sotto li scogli dove erano i briganti da lui non veduti, colla speranza di riuscire al di sopra dei combattenti, ma i nascosti tra gli scogli gli fecero una scarica, e rutolando pietre e massi l'obbligarono pure a ritirarsi, e prendere posizione dietro un muro abbasso della montagna, laddove i briganti gli mandarono uno dei soldati loro prigioniero ad intimargli di lasciare le armi e andarsene. Ciò ch'egli non fece ritenendo invece il soldato. Nel frattempo i briganti si dettero a risalire la montagna, e veduta forza sul vertice fuggirono a sinistra disperdendosi senza che fosse possibile, tanto alla colonna di destra, quanto ad una compagnia del 59° fanteria che avea salito dal casamento d'lnici di poterli rintracciare. Nella fuga lasciarono addietro i prigionieri, ferendone però uno con un colpo di fucile perché tardò nel seguirli. Questi potettero salvarsi e rientrare al Corpo.
Durante la lotta furono pure uccisi i cavalli dei tre Carabinieri. Devesi lamentare questo dispiacevole fatto perché la colonna di sinistra non stette bene al posto. Durante il combattimento nessuno restò ferito, né ucciso, tranne il Mendolia che fu assassinato, e un soldato del 10mo. E ciò non deve sorprendere se si consideri che i briganti erano barricati dietro le pietre, e che non potevano essere offesi. D'altronde difficilmente potevano anche loro aggiustare i tiri perché facevano fuoco dall'alto in basso, e mentre avevano il vantaggio della portata, loro mancava quello della precisione. Coloro che si buttarono dalla scogliera, e restarono morti, furono: Di Maria Mannina Francesco fu Filippo di anni 30, da Castellammare, caporale della Guardia Nazionale mobile, e Onesti Domenico, di cui ignoransi altre generalità, soldato della 20ma Compagnia del 10° fanteria. Il soldato ferito nella fuga dai briganti è Cordisi Giorgio fu Raffaele di anni 21 della citata Compagnia. Costui ebbe una lesione nel fianco destro guaribile in trenta giorni. Basile Gennaro di Giuseppe di anni 21 soldato pure del 10mo si fu il ferito lievemente nel ginocchio. Si disperse, e fin'ora ignorasi qual sorte incontrasse, Cusenza 19nazio fu Francesco di anni 22 da Calatafimi, milite della guardia nazionale mobile.
I feriti ed i cadaveri furono trasportati in Castellammare ove i primi furono posti in cura. Ora si stanno facendo pratiche per sapere chi erano i briganti, e ove al presente si ritrovano per inseguirli. Il Delegato Marca


4. Nota informativa del delegato di p.s. di Castellammare al procuratore del re di Trapani.


Oggetto: Ribellione (ivi, b. l, fasc. 12).

Castellamare, 5 dicembre 1866

Verso le 7 ant.e di jeri avvenne in contrada Roccarossa alle falde del monte Sparagio un attacco a fuoco fra dodici briganti ed una pattuglia di soldati di fanteria ed un milite. Il fuoco durò quasi un'ora. Nell'attacco rimasero uccisi due briganti, cioè, Di Giorgi Gaetano di Antonino di anni 22 disertore da Castellamare, e Fontana Vito fu Vito di anni 37 bestiamaro di Monte S. Giuliano. Furono pure arrestati Caruso Vincenzo di Giuseppe di anni 37 campiere ricettatore della banda stessa, e Pollina Pietro fu Mario di anni 48 che fu trovato armato nella casina e che avea fatta la spia ai briganti del sopraggiungere della forza. Fu pure arrestato un tal Brancato Giuseppe fu Antonino di anni 43 villano di qui, spia e provveditore di briganti trovato in quelle vicinanze. Però questo fatto veniva rattristato dalla morte di un povero soldato, e di due altri feriti ma non gravemente. Il Pretore avvisato procede. Il Delegato Marca


5. Deposizione giudiziale di un milite della G.N. sullo scontro a fuoco del 4 dicembre 1866 a Rocca Rossa (ivi, b. l, fase. 13).


«lO gennaio 1867»

«...» Sono Melchiorre Valenti di Gioacchino, ho anni «47», nato e domiciliato in Castellamare, ammogliato, milite nazionale a cavallo, non ho beni, né alcun rapporto con Pasquale Turrigiano, Liborio Turrigiano, Cajozzo Camillo, e Vito, Vallone Gaetano, Coppo la Diego, Di Giorgio Gaetano, Fontana Vito, Brancato Giuseppe, Caruso Vincenzo e Pollina Pietro. In1. R.: Il giorno tre dicembre dell'anno 1866 io ed altri militi nazionali a cavallo per ordine del nostro Capitano Sig.r Gaspare Fundarò partimmo d'unita allo stesso da questa Comune, per alla volta di Castel di Baida, perimetro di Castellamare. Giunsimo colà verso le ore due della notte, e pernottammo nel casamento ivi esistente, perché stracchi dal viaggio. Il giorno seguente, un'ora pria di far giorno, fecimo mossa dal predetto Castel di Baida insieme ad una pattuglia di soldati di linea, comandata dal Luogotenente Sig.r Aletti, che trovavasi colà stanziata, per la contrada Rocca Rossa. Arrivati al punto detto Sciacca, il capi­tano Sig.r Fundarò m'impose di trasferirmi insieme alla pattuglia di soldati nella montagna Sparagio, per bloccare un magazzino ivi esistente, ed il Sig.r Fundarò d'unita alla di lui squadriglia si diresse in contrada Rocca Rossa, per eseguire una perquisizione in altro magazzino ivi esistente. lo e tre soldati di linea della mia spedizione andavamo innanzi, e pergiunti nella contrada Granatello, a poca distanza della montagna dello Sparagio, ci accorsimo di un incognito individuo avvolto in un cappotto di albagio, il quale era piazzato nella vallata della predetta contrada Granatello. A vista di ciò affrettammo il nostro cammino per conoscere chi si fosse, e raggiunto lo conobbimo per la persona di Vito Fontana di Vito, bestiamaro ai servizi del Sig.r Quartana da Monte S. Giuliano.
Unitici allo stesso, ci portammo nanzi il magazzino esistente sulla montagna dello Sparagio, dove trovammo il campiere Vincenzo Caruso, ed altro bestiamaro a nome Pietro Pollina, pure ai servizi del succennato Sig.r Quartana, ai quali di mandammo se in quella casa eravi stata la banda del famoso Pasquale Turrigiano. Mentre stavamo conferendo sulla detta circostanza, venne tirata contro noi una fucilata, per la quale cadde morto il predetto bestiamaro Vito Fontana da Monte S. Giuliano. Rivolto il nostro sguardo verso il punto da dove provenne quella fucilata, vidimo che a distanza di un tiro di fucile carico a pallini eranvi appostati varii malfattori, in mezzo a molti grossi sassi colà esistenti. Allora noi andammo dietro al predetto magazzino, d'onde cominciammo a tirare delle fucilate contro quei briganti. Sopragiunti indi gli altri soldati di linea in uno al Luogotenente Aletti, si appostarono in mezzo a grossi sassi, alla distanza dai briganti di un tiro di palla, i quali alla loro volta cominciarono a tirare delle fucilate contro i predetti briganti, e questi addosso alla forza. Impegnossi dall'una e dall'altra parte un vivo fuoco, pel quale rimase semivivo il brigante Gaetano Di Giorgio inteso Carrubba, morto un soldato di linea, ed altri due feriti. Durò il fuoco per due ore circa, dopo di che i briganti vedendosi a mal partito si diedero a precipitosa fuga, e si ritirarono nell'alto della montagna. Int. R.: lo non potei conoscere chi erano quei malfattori; posso dirle solamente che uno di essi dicea: eh! Turrigiano, eh! Turrigiano, che perciò congetturai che fosse stata la banda Turrigiano.
Int. R.: Il brigante che rimase semi vivo pria di morire, da noi interrogato, rivelò che i malfattori fuggiti, e che avevan fatto fuoco contro la forza, erano:
1. Turrigiano Pasquale di Vincenzo.
2. Liborio Turrigiano fu Liborio.
3. Cajozzo Camillo di Vincenzo.
4. Cajozzo Vito di Vincenzo.
5. Vallone Gaetano di Stefano.
6. Coppola Diego fu Giuseppe.
7. Mistretta Antonino fu Francesco.
8. Leonardo Martino.
9. ed altro straniero di cui non seppe indicare le generalità.
Int. R.: Il detto moribondo Gaetano Di Giorgio non palesò chi fu l'uccisore del soldato Cortinovis Angelo, e chi il feritore degli altri soldati Rosselli Alfonso e Celelli Filippo; disse però che i sudetti malandrini erano armati di fucili a doppia canna.
Int. R.: Il magazzino sito in contrada Rocca Rossa era distante di quello sulla montagna dello Sparagio di mezzo chilometro circa.
Int. R.: Giuseppe Brancato fu Antonino fu trovato errante nelle vicinanze di quella contrada ove venne l'attacco; ma io ignoro se lo stesso solea portare viveri ai briganti, e se facea la spia ai medesimi.
Int. R.: So che il campiere Vincenzo Caruso e Pietro Pollina da Monte ricevettero la notte del tre dicembre ultimo quei briganti, e che apprestarono loro dei viveri.
Int. R.: Sconosce se i sudetti Pollina e Caruso sapevano che gli individui dai medesimi alloggiati erano perseguitati dalla giustizia.
Data lettura, vi ha persistito, e per aver detto di non sapere soscrivere o crocesegnare si è firmato dal solo Ufficio procedente. G. Pandolfini Giuseppe Alagna Vice-cancelliere



6. Interrogatorio di Salvatore Cajozzo (ivi, b. 2, fasc. 30).


L'anno milleottocento sessantasette, il giorno tredici febbraro in Castellamare. Noi Dr. Simone Riggio lo Vice-pretore del mandamento di Castellamare del Golfo, ed Uffiziale di Polizia Giudiziaria, funzionante pella mancanza del titolare, assistiti dal vice-cancelliere.
Volendo procedere all'interrogatorio di Cajozzo Salvatore detenuto in queste prigioni ci siamo conferiti nelle stesse, precisamente nella stanza addetta alle istruzioni, ove dal custode ci è stato condotto libero e sciolto da ogni legame il detenuto sudetto, il quale interrogato sulle generali, sul motivo del suo arresto, ed a dichiarare se e quali prove abbia a proprio discarico.
Risponde: Sono Cajozzo Salvatore di Vincenzo, ho anni 20, nato e domiciliato in Castellamare, celibe, villico, non ho beni, non so leggere e scrivere, non sono militare, sono imputato dell'assassinio in persona di Giuseppe D'Angelo, consumato in giugno dell'anno 1866, e pel quale mi resi latitante.
Int. R.: È da otto mesi circa che trovomi latitante nelle campagne di questo Mandamento. Lungo quel periodo di tempo sono stato in compagnia della banda armata sotto il comando di Pasquale Turrigiano, composta dei miei fratelli Vito e Camillo, Antonino Mistretta, e Liborio Turrigiano fu Liborio. In settembre ultimo unironsi alla banda in parola altri sei briganti, cioè Gaetano Vallone, Antonio Mercadante, Alberto Barbara inteso Farfarello, Gaetano Di Giorgio inteso Carrubba, Leonardo «di Benedetto» inteso Martino, e Salvatore Gioia inteso Mezzaluna, il quale in atto milita sotto le bandiere italiane. Nell'epoca dei tristi fatti di Palermo andavamo tutti quanti percorrendo le campagne Fraginesi, allo scopo di riunire un buon numero di persone per armarli, onde partire per Palermo, ed abbattere l'attuale ordine delle cose. Di fatti il capo-banda Turrigiano, essendosi allontanato poche ore da noi, e portatosi in ex feudo Inici, ritornò con una bandiera rossa, e noi, come dissi, avuta quella bandiera, percorrevamo le campagne Fraginesi, forzavamo delle persone a seguirci, l'armavamo, e poi aJ grido Viva la repubblica andavamo per le case dei proprietari i obbligandoli a darci da mangiare, perché ciò che noi andavamo praticando era il bene per tutti. Il giorno 27 settembre scorso fummo assaliti dalla forza, composta di soldati e Carabinieri Reali, a vista della quale ci ritirammo sul monte Castellaccio. Ivi ci attaccammo a fuoco; ma la posizione dei luoghi essendo a noi favorevole, abbiamo fatto prigionieri sette soldati ed un Carabiniere, come altresi abbiamo uccisi tre cavalli. I soldati da noi fatti prigionieri dopo poche ore del terminato combattimento li lasciammo in libertà.
Int. R.: Il carabiniere Mendolia fu ucciso, per ordine di Pasquale Turrigiano, dai sette soldati prigionieri, che in ricombenza indi si ebbero la libertà. Le armi del carabiniere fucilato furon appropriate dal capo-banda Turrigiano; il cappotto lo diede al brigante Antonio Mercadante.
Int. R.: Non ricordo i proprietari i che obbligammo a provvedere di vitto alle squadre; non ricordo del pari le persone che trascinammo con noi, e che facevan parte delle squadre anzi dette.
Int. R.: Il capo-banda Turrigiano non manifestò chi gli avea consegnata la bandiera rossa.
Int. R.: I fucili, dei quali armammo le squadre, li rubbammo a tutti quei individui che si recavano nella contrada Fraginesi, e che non so indicarle.
Data lettura, vi ha persistito, e per aver detto di non sapere soscrivere, o crocesegnare, si è firmato dal solo Ufficio procedente. Simone Riggio Giuseppe Alagna Vice-cancelliere



7. Rapporto del comandante del distaccamento militare del Castel di Baida al pretore di Castellammare.


Oggetto: Denunzia di aggressione e resistenza alla forza armata (ivi, b. 2, fasc. 23).

il 13 maggio 1867

Quest'oggi alle ore 9 e 3/4 ant.ne una pattuglia uscita dal Castel di Baida sotto il comando del sergente Pagani Giuseppe di questa compagnia, mentre perlustrava in contrada Terranova, e precisamente la casa dei fratelli Navarra, da un boschetto di fichi d'India le vennero sparati vari colpi.
Immediatamente, arditamente detta pattuglia attaccò i briganti, giacché tali doveano essere, e dopo un fuoco di circa tre quarti d'ora, per quanto li inseguisse, ne perdé le traccie. I briganti lasciarono uno dei loro morto, e questi fu il brigante Leonardo Di Benedetto già disertore del 90 Reggimento Fanteria, noto malandrino, ed anzi famigerato assassino e colpito da taglia.
Nella lotta ebbi ancora io a deplorare la perdita di un valoroso soldato per nome Polizzotto Andrea, al n° 2594 di matricola, classe 1844, e due feriti, il primo soldato Malagoli Achille, al n° 3871 di matricola, classe 1843, ed il secondo il tamburino Busatti Vincenzo, al n° 4311 di matricola, classe ord.a.
Il cadavere dell'infelice Polizzotto è in questo quartiere degli ex-Crociferi a di lei disposizione, come pure vi si trovano i soldati feriti, per quelle perizie e verifiche che V.S. crede di fare nell'interesse della Giustizia. Il cadavere del brigante Di Benedetto ebbi già a consegnarlo a V.S. Ill.ma. Da informazioni prese mi si assicura che la banda era composta dei famigerati Pasquale e Liborio Torregiani, Camillo Cajozzo, Mistretta, Pace, Bertolini e Di Benedetto ucciso.
Al defunto soldato Polizzotto furono tolti dai briganti il fucile con assortimenti, un bajonetto e le munizioni da guerra che avea nella giberna. Non so se avesse ancora dei danari, però gli furon trovate le tasche rovesciate. Il Capitano Comand.te la Comp. Alimanda



8. Circolare del Ministero degli Interni ai Prefetti del Regno.


Oggetto: Provvedimenti contro il brigantaggio (AST, Pref, Gab., b. l, fasc. 7).

Firenze, 12 luglio 1867

L'esperienza di quest'anni, e lo studio delle particolari circostanze in cui nacque e si mantiene il brigantaggio, sempre piu confermano che, se questa piaga può dal di fuori ricevere favoreggiamenti ed aiuti, nell'intrinseca sua natura è però una produzione del tutto locale, un disordine che si compone con gli elementi pericolosi dello stesso paese in cui si rassoda, una mal'erba infine che dal suolo stesso in cui nasce trae vigore ed alimento.
Se cosi è, due importanti conseguenze sono a derivarsene; e cioè, che s'appartenga al paese stesso travagliato dal brigantaggio il primo compito di combatterlo e che i mezzi a ciò debbano avere in mira di localizzare la lotta e la sorveglianza sia in relazione allo spazio su cui debbono compiersi, sia in rapporto alle persone che ne devono essere oggetto: quindi da parte di questo Ministero l'opinione che la difesa dei singoli centri, anziché alla truppa, debba affidarsi alla Guardia nazionale del luogo comandata in distaccamento giusta gli articoli 112, 113, 116 della legge 4 marzo 1848, giacché solo il giorno in cui questa istituzione sarà veramente il paese armato, potrà il brigantaggio aversi per vinto.
A parere dello scrivente non dapertutto e non sempre si è dalla Guardia Nazionale tratto quel concorso di cui essa è pur capace, e d'altra parte se finora si è considerata la guerra al brigantaggio come un dovere esclusivo del governo, ciò deve considerarsi avvenuto per una soverchia esagerazione dei compiti di protezione generale al medesimo affidati e per una deplorabile dimenticanza di quanto ciascun paese, volendo, può fare a vantaggio della propria sicurezza, specialmente dopoché il brigantaggio, per la scomparsa delle grosse bande, è rientrato nei limiti di un ladroneggio organizzato.
D'altronde egli è un fatto che la truppa, non potendo muoversi senza le cautele proprie della sua istituzione, difficilmente può camminare senza span­dere un certo rumore a vantaggio esclusivo dei briganti, pronti sempre nella loro mobilità a sfuggirla: da loro parte poi le squadriglie, oltre partecipare agli stessi inconvenienti, per dippiu concorrono, come recenti fatti han posto in luce, piuttosto a mantenere che a distruggere il disordine, perché molti dei militi sono interessati a far perdurare uno stato di cose che loro offre un mezzo di certa sussistenza.
Egli è quindi oggidi urgente che i signori Prefetti si studino di rialzare il morale delle popolazioni e si sforzino di persuadere i diversi centri che per combattere il brigantaggio è d'uopo che ciascun paese si organizzi a difesa locale, studi e denunci i propri manutengoli, sorvegli i propri sospetti, dia avviso ed appoggio ai paesi finitimi in caso di minaccia.
La è questa ormai una questione d'interesse e di dignità cittadina, ed i Signori Prefetti devono dar opera quanto sanno e possono a sviluppare un sentimento che solo potrà illuminare sul loro vero bene le popolazioni: e poiché d'altronde non è giusto che lo stato eccezionale in cui una Provincia si trova per fatto della propria apatia riesca d'aggravio alle altre e di peso al Governo, vorranno i signori Prefetti altresi avvantaggiarsi delle facoltà che gli articoli 121 e 122 della legge del 4 di marzo 1848 loro concede, nel caso che alcun milite si rifiuti di far parte dei distaccamenti.
Né per questo è da ritenersi che si voglia far cessare il concorso della truppa e delle squadriglie: se la cooperazione di queste forze, resa necessaria dal bisogno di mantenere un'azione generale e permanente, non può essere rifiuta­ta, deve tuttavia venire in seconda linea ed ha d'uopo di alcune modifiche.
Per quanto alle squadriglie, vorranno i signori Prefetti disporre perché, depurate di tutti gli elementi equivoci o sospetti, siano esse ridotte nei piu ristretti limiti possibili, come del pari provvederanno a che d'ora innanzi la diaria da corrispondersi non superi quella stabilita dalla legge in cent. 85, onde non avvenga che l'impiego lucroso non suggerisca ai militi di favorire, anziché combattere il brigantaggio o per lo meno li induca ad una sorveglianza rilassata e vuota di resultati. Siffatta misura è poi anche dettata da spirito d'economia; ma ciò non ostante le considerazioni di questo genere non dovranno mai essere di ostacolo a che nel caso di procurate presentazioni od operati importanti si addivenga alla pubblica e solenne concessione di larghi premi della sottoscrizione Nazionale pel brigantaggio, dei Comuni e delle Provincie.
Per ciò che riflette la truppa vorrà la medesima essere destinata alla sola cooperazione d'indole generale, ed anche in questo genere di servizio, anziché venire stancata in perlustrazioni continue, si procurerà impegnarla piu special­mente per operazioni fisse, come, ad esempio, per guardare quei posti che nei monti e nelle selve sono noti quali luoghi consueti di dimore o di transito dei briganti, nel qual sistema di sorveglianza in molti luoghi offerse altresi ottimi risultati la costruzione di ripari stabili e fortificati da servire come punti di ricovero e d'appoggio alle pattuglie volanti, sebbene sia da osservarsi che anche in siffatte costruzioni siasi in qualche località sprecato soverchio denaro per un certo lusso, e per essersi ricorso all'opera di estranei anziché a quella dei soldati medesimi, che, per l'avuta istruzione, sono piu che idonei a provvedervi.
Che se all'applicazione pratica e generale di questi principii, lo scrivente Ministero attende ottimi resultati non minori ne aspetta dalla perlustrazione affidata alle squadriglie borghesi.
In alcuna Provincia se ne è fatto esperimento, ed esso ha dimostrato che, quando le medesime sieno in piccolo numero, per esempio non piu di una o due per Provincia, composte di pochi uomini destri, coraggiosi e fidatissimi, costituite nel massimo segreto, il risultato è maggiore sempre dell'aspettativa.
Le offerte d'appoggio che queste credute bande ricevono sia da contadini che da proprietari conducono alla pronta e sicura scoperta dei manutengoli, i briganti possono con facilità essere avvicinati, riconosciuti e presi, notizie preziose vengono raccolte sul come le bande si reclutano e si mantengono, utilissime indicazioni si ottengono sui movimenti di esse. Che se dopo qualche tempo trapela e si diffonde la notizia che la campagna è percorsa da uomini d'incerto carattere, la diffidenza e lo scoraggiamento si impadroniscono dei manutengoli ed i briganti presi anch'essi in sospetto si veggono rifiutato l'ordi­nario appoggio e sono costretti o a sbandarsi o a mutare territorio.
L'applicazione poi della legge sugli oziosi e sui vagabondi, e l'obbligo imposto a tutti che escono dall'abitato di provvedersi di carte constatanti l'identità personale e la buona condotta sono altri mezzi indiretti e potentissimi di cui l'autorità deve trar partito, acciò in ogni centro anche piccolo si addivenga alla conoscenza personale degli amministrati e per questo mezzo alla sorveglian­za delle loro versazioni sospette.
Lo scrivente Ministero raccomanda di conseguenza ai signori Prefetti lo studio e l'applicazione di quanto sopra e mentre starà attendendo di conoscere quali provvidenze avrà ciascuno creduto di dover adottare, fa preghiera perché della presente sia trasmesso un cenno di ricevuta. Per il Ministro De Ferrari



9. Rapporto del comandante del distaccamento militare di Castel di Baida al pretore di Castellammare.


Oggetto: Denunzia di opposizione e rivolta alla forza armata fatta dai banditi Pasquale Torrigiano, Mistretta e Cajozzo (AST, Corte d'Assise, Processi penali, b. 3, fasc. 67).

Il 1mo 9mbre 1867

Fatto certo, che i banditi da qualche giorno scorrazzavano imprudentemente nelle vicinanze di Castellamare, jeri sera inviai truppa allo scopo di tendere agguati ai vari passi, che dalla pianura del Fraginese si sale alle niviere di Castellamare. L'alba appena spuntava ed ancora non ben distinguevansi gli oggetti, che in prossimità della grotta di Costa dell'Eremita, al di sopra del telegrafo vecchio, una pattuglia senti rumore e parvegli vedere persone nascoste in parte da una cosi detta pagliarola. Distanti ancora si lanciano per correre alla presa e intimargli, chiunque fossero, l'arresto.
I latitanti, che pure eran d'essi, immediatamente si precipitarono per una balza onde sfuggire alla truppa. In pari tempo, dilungatisi un poco, si voltarono ed esplosero le loro armi in modo tale, che fu buona ventura che i projettili non uccidessero qualche soldato, dappoichè d'essi sibilarono d'appresso. L'Ufficiale che in prossimità occupava un altro agguato corse al fuoco, e fu incominciato l'inseguimento del modo piu attivo ed energico. Vari colpi di fucile gli furon tirati, ma anche questa volta ebbero la ventura di sfuggire ad una meritata morte. Nella fuga il Torregiano, giacché dai noti connotati fu riconosciuto esser d'esso, perdé una sciarpa di lana ed una boraccia di latta. Perquisita la paglia­rola, dove furono scoperti, si rinvenne una scarsetta di panno nero, con fiocco nero alla Mafiosa; una ventriera di corame con placca contenente quarantacin­que fra spolette e cartuccie a palla, uno scapolare di panno color marrone ed altro scapolare di panno bleu fine, foderato di flanella verde rigata in nero. Detto scapolare, per la di lui qualità e gli alamari di cui è corredato e per l'indizi avuti, fa supporre che appartenga precisamente a Pasquale Torrigiano. Gli oggetti tutti che io li trasmetto furono abbandonati nella fretta di darsi alla fuga. Il Capitano Alimanda



10. Rapporto dei carabinieri di S. Vito Lo Capo al pretore di Monte S. Giuliano.


Oggetto: Furto commesso dalla banda Torregiano (ivi, b. 3, fase. 71).

S. Vito Lo Capo il 27 Maggio 1868

Mi fo debito riferire alla Signoria Vostra Ill.ma che la sera del 25 and.te, la banda Torregiano composta di tre individui comparve nella contrada Pianello territorio di Monte S. Giuliano, e circa le ore lO Pom.e si recarono alla mandra del Sig. Stefano Maranzano ed ivi trovato il di costui bordonaro, Paolo Messina fu Vito d'anni 28 da Monte, gli chiesero 6 pani ed un barilotto di vino e ciò gli fu dato; quindi circa le ore Il 1/2 in quella del Sig. Fontana Stefano, colà vicina, e non trovandovi i pecorai, i quali erano fuggiti pel timore dei malfattori in parola, li derubarono degli oggetti emarginati* (Due zimbili del valore di L. 2.55; un paja calzettoni di lana L. 2.60; una pezza di formaggio L. 6.40; due fascette di ricotta L. 3.00; totale L. 14.55). Indi circa le ore 12 Pom.e si recarono di nuovo in quella del Maranzano chiedendo al suddetto bordonaro una giumenta e due mule che a forza gliele dovettero concedere, ed obbligato il bordonaro a seguirli, caricarono gli oggetti derubati, si fecero accompagnare fino alle portelle di Baida, ove fecero ritrucedere il bordonaro con le due mule, dicendogli di mandare in quelle vicinanze un ragazzo la mattina seguente che avrebbe ritrovato anche la giumenta; ed infatti la ritrovò. Tanto onorami alla S.V. m.ma. Il Comand.te la Stazione Perico lo V. Brig. a piedi



11. Rapporto del brigadiere dei carabinieri al pretore di Castellammare.


Oggetto: Appiattamento con militi. Attacco a fuoco con la banda Torregiano e rinvenimento di diversi oggetti (ivi, b. 4, fasc. 88).

Castellamare li 6 luglio 1868

La sera del 3 and.te i carabinieri Fabuselli 1° Giacomo, Pierini 1° Benedetto, unitamente a sei militi a cavallo, si portavano in contrada Gagliardetta, ove tennero un appostamento onde sorprendere alcuni malfattori che scorazzano queste campagne. Fermi in tal servizio sino verso l'ave maria d'ieri sera che dopo pochi istanti da quell'ora osservarono che dalle montagne dello stesso nome scendevano tre individovi che giunti alle falde delle medesime, ed a un buon tiro di palla, s'accorsero della forza e la salutarono con una scarica di fucile cui erano armati.
La forza corrispose con altra scarica, dopo la quale si diedero alla fuga i malandrini prendendo le alture, loro rifuggio, e salvezza. La notte era fatta, la luna coperta dalle nubi per la quale conseguenza riusci impossibile l'inseguirli e per la maggior causa che i viottoli angustiosi di quei luoghi sono totalmente impraticabili.
Alcuni sforzi fatti allo scopo di raggiungerli furono inutili come pure andarono a vuoto altre fucilate mandate dalla forza alle spalle dei briganti.
Un lamento fu sentito appena d'uopo che corrispose quella pattuglia al saluto dei ribaldi, per quel motivo si trattenne sino a questa mattina sul luogo onde meglio veder l'esito del loro operato, ma dalle diligenti ricerche fatte nelli adiacenti vigneti non si rinvenne altro che due taschi a pane, a foggia militare, una borraccia dello stesso modello, e un saccone di canape contenente un pacco di cartucce alla paesana, un rasoio, una scarzetta di panno nero con nappa di seta, un faccio letto contenente delle medicine.
Si vuole che quei tre briganti fossero Torregiano, Cajozzo e Mistretta. Gli oggetti rinvenuti furono rimessi dal V. Brig. dei militi Fundarò Giuseppe a questo Sig.r Delegato, la quale Autorità credo bene, come è di giusto, le rimetterà a V.S. Il Comandante la Stazione Carboni B.re



12. Interrogatorio di Camillo Cajozzo (ivi, b. 4, fasc. 102).


«27 gennaio 1869»

«...» Sono Camillo Caiozzo di Vincenzo, e di Stella Galioto, di anni 30 anni, nato e domiciliato in Castellamare, villico, ammogliato con Maria Mistretta, ho beni del valore di L. 2000, non sono militare, non so leggere e scrivere, non sono stato mai detenuto, condannato od ammonito. Conosco la causa del mio arresto.
Int. R.: Nacqui il 30 aprile dell'anno 1839 da onesti genitori Vincenzo Caiozzo e Maria Stella Galioto. Fin dalla mia tenera età mostrai istinti ed inclinazioni al ben vivere sociale, ed alla seguela di mio padre mi addissi alla coltivazione dei campi di paterno retaggio. Fui sempre di umore ilare e festoso, ed allo spesso la mia lena poetica non venne meno al mio genio. Sposai nell'anno 1862 Maria Mistretta, e menai vita coniugale sino all'anno 1866, quando in questo Paese, o meglio non so dove, essendo successo un omicidio, ed avendo io rancori con un certo Vito Scorciacani da Calatafimi, oggi morto, costui depose a mio carico, e di mio cognato Antonino Mistretta, e la giustizia si spinse a rilasciare contro me mandato di cattura. Fu in conseguenza alla detta imputazione della quale sono veramente innocente, che io mi resi latitante, e mi posi a scorazzare le campagne colla banda di Pasquale Turrigiano.
Ieri sera verso le ore due italiane avendo bisogno di vitto mi recai solo e col mio fucile a due canne nella casa rurale di Ignazio Miceli sita in contrada Grotticelli. Quivi avendo ritrovato due alcamesi, Francesca Moscato e Mariano Mirto, dimandai loro del pane, che mi fu dato, ed essendomi rifucillato, mi posi a dormire. Verso le ore cinque italiane sulla imposta di detta casa venne bussato dalla forza pubblica, ed io avendo avvertito la presenza di un carabiniere Mangano, il quale mi chiamò, dissi: ebbene son qui, Cammo Cajozzo, e dietro essersi tirata una fucilata, spianai pur io il mio fucile a due canne, che in una canna mi falli, e coll'altra tirai una fucilata; però la mia voce era sempre quella di volermi arrendere; e gridai piu volte che era la mia intenzione, purché mi avessero garentito dalle bastonate, e per tanto chiesi che fossero chiamati il Sig.r D. Vito Mattarella, il Sindaco D. Nicolò D'Anna, e D. Salvatore Galatioto. Verso le ore otto a.m. del di successivo da dentro avvertii pure che era venuto del rinforzo in quel sito, ed io che aperto di già aveva la porta di quella casetta al Tenente predetto, ed al Vice-Brigadiere dei R.li Carabinieri, ripetei la mia intenzione di volermi costituire, come infatti feci, dietro essermi assicurato, che nessuno in quella congiuntura mi avrebbe molestato, giurandomisi financo in nome del Cielo. Fui allora che io mi trassi fuori da quella casa, e presentai il mio fucile, che avevo incaricato al tenente della truppa, ed al Vice-Brigadiere dei Carabinieri «...».
Data lettura, vi è persistito, e si è crocesegnato, per aver detto di non sapere firmare. Se + gno di croce di Camillo Cajozzo. Salvatore Pandolfini Pretore, Giuseppe Alagna Vice Cancelliere.



13. Nota informativa del pretore di Castellammare al procuratore del re di Trapani.


Oggetto: Partecipazione di delitto (ivi, b. 4, fase. 92).

Castellamare li 23 ottobre 1869

Addi 26 agosto p.p. Giovanni Scuderi da Monte S. Giuliano propose querela contro Pasquale Turrigiano per minacce di vita ricevute ove non avesse curato il detto Scuderi di fargli dare dal padrone Sig.r Giuseppe Fontana un pezzo di terreno nella Montagna Sparagio, ed onze 50 di danaro, al che esso Scuderi non adempi; e tali minacce gli furono fatte per mezzo di un pecoraro di detto suo padrone Fontana a 2 marzo anno volgente, a nome Salvatore Biga.
Epperò, dalla dichiarazione del sudetto Biga, figlio di Antonio di anni 23 da Monte S. Giuliano, domiciliato nell'ex feudo Brullo, tenere di Castellammare, ai servizii di Cristofaro Incandela, celibe, indifferente, possessore di beni del valore di lire 3000, si ha che veramente Pasquale Turrigiano il 2 marzo sud.o andò a trovare il teste Biga, nella contrada Vattaglia, e dopo di essersi informato ove si trovava lo Scuderi, gli disse di far conoscere al medesimo, che se gli capiterà nelle mani, sangu di Diu! gli dovrò insegnare come si tratta, e se ne andò via imprecando contro Scuderi, in senso di assassinarlo. 11 Biga si trovava solo. Indi si recò dallo Scuderi, e gli rapportò quanto sopra. 11 Pretore Vincenzo Monreale



14. Verbale di querela del sac. Pietro Coppola (ivi, b. 3, fase. 47).


«5 novembre 1869»

«...» È comparso previa orale chiamata il Sac.te Pietro Coppola, fu D. Giuseppe, di anni 42, nato e dom.to in Castellamare, ha beni del valore di L. 4000.
Int. R.: Nel mese di Luglio ultimo, in un giorno di sabato, verso mezz'ora della notte, trovandomi nel mio fondo sito in contrada Fraginesi, tenere di questa, con mia sorella Antonina, Maria Lume, mia nipote Teresa Messina, unitamente agli uomini di campagna Gaspare Chiarenza di Gaetano, e Giusep­pe Di Falco, di Nicolò, intesi bussare la porta della mia casina; mandai il suddetto Chiarenza per conoscere chi bussava, e cosa voleva, ritornò, e mi fece conoscere che vi era la banda Turrigiano, la quale volea parlarmi. lo era titubante, e non sapea a qual partito appigliarmi, se dovea o pur no aprire, ma maturando meglio la cosa, ed avendo donne con me credei piu regolare aprire, mettendomi nelle mani di Dio. Come aprii pel primo mi chiamò fuori Pasquale Turrigiano, il quale, accompagnato da Como, Mistretta, Plescia, La Rocca e Piazza, sebene due di essa banda, che non so chi erano, se ne stavano in disparte, e debbo correggere un errore sopra da me commesso, cioè a Mistretta io non lo vidi, ed il detto Turrigiano mi disse imprecando contro Dio che ad ogni costo dovea far di tutto per io fargli escarcerare il padre, recandomi ove occorrea in Firenze a supplicare il Re, bene inteso che questo discorso me lo fece alla presenza del sudetto Chiarenza a due tiri di palla dalla detta casina, ove mi condussero. La Rocca proponeva la mia fucila zio ne. Plescia sotto voce mi avvertiva di non temere. 11 Turrigiano proseguiva colle minacce, e finalmente dandomi un morso nella gota destra, mi disse: "si rammenti di questo morso onde eseguire assolutamente l'incarico che gli dò". Cosi mi fecero ritornare alla casina. lo come corpo morto, e compreso da timore mi buttai su di una sedia dubitando tuttavia della vita. 11 Turrigiano dopo di avermi richiesto del pane, e lo schioppo a due canne, che se lo vedessi lo riconoscerei, voltò faccia e con tutti gli altri se ne andò via. Prevengo la giustizia che gl'individui indicati dico che erano Turrigiano ed altri, perché loro per tali si manifestavano, e che di tale fatto accadutomi, io la dimane ne diedi conoscenza immediatamente al maresciallo di questi Reali Carabinieri, che oggi trovasi a Mazara, ed all'ex Sindaco D. Nicolò D'Anna.
Data lettura, vi è persistito, e si è firmato coll'Ufficio. Sac.te Pietro Coppola Vincenzo Morreale Giuseppe Alagna



15. «Elenco degli oggetti sequestrati al brigante «Turriciano» attaccatosi a fuoco con la forza pubblica» (ivi, b. 4, fasc. 96).


Una bisaccia di lana, una borraccia di legno da militare, un paio di bertole di canapaccio, un'ambollina con poco aceto, un gilé di casimirretto, una giacca di casimirretto, una tasca a pane da cacciatore, una borsa di pelle per pallini, un pennello per barba con manichino di canna, due pani rotti, tre libri, «cioè» Storia dei Reali di Francia, Abecendario, e Barbanera per l'anno 1870, un sacco ne con dentro poco formaggio fresco, un fazzoletto lacero, un cocchiarino di argento per caffè con lettere iniziali V.P., una scalzetta ricamata con fiocco di seta verde, un recipiente di latta con dentro quasi oncie quattro «di» polvere, un'altra tasca a pane con dentro circa un chilogramma di polvere avvolta in un fazzoletto lurido, un fiasco di creta con poco vino, una siringa di cristallo, un pezzetto d'ovo di tonno, una piccola pistola a due canne fuori misura quasi inservibile, due borse una di pelle per piombo e l'altra di panno con poca polvere, No 22 cartucce a palla, una piccola borsa di pelle per cartocci, N° 4 stagnaruoli, una tabacchiera con poco tabacco, una borsa di lana per monete con dentro N° 16 palle di piombo e 12 quadretti anche di piombo, un cappotto bigio vecchio, un'altra tasca a pane alla militare, due lettere di scrocco, «in» una di esse lettere si legge Pasquale Torrigiano e una diretta al Signor Lombardo Giuseppe, che chiede quattro canne di panno, e l'altra a Giuseppe «Cassarà», che domanda danaro e 4 canne di panno, ed una ricetta di medicinale (Castel­lamare 31 del 1870).



16. Verbale di arresto di Maria Mistretta (ivi, b. 5, fasc. 105).


L'anno milleottocentosettanta, la mattina del giorno due marzo, verso l'ora una a.m. in Castellamare del Golfo
Noi Salvatore Mancuso, Comandante dei militi a cavallo della Sezione di Alcamo, in compagnia del Vice Brigadiere dei Reali Carabinieri a cavallo Barberis 1° Agostino e seguito dalla qui sottoscritta forza:
Vitale 1° Carabiniere a cavallo. Gioia Giuseppe, Valenti Melchiorre, Bonanno Domenico, Ferro Francesco, Saladino Nicolò, Ancona Gaetano e Greco Carlo, militi della Sezione di Alcamo; Rallo Vincenzo, Galifi Vito, e Giammalvo Antonino, della Sezione di Mazzara, Sammaritano Vincenzo, Maltese Clemente e Scarlata Nicolò, della Sezione di Trapani, e Ghezzi Antonio Brigadiere delle Guardie di P.S., Margagliotti Carmelo, De Vita Salvatore, Gerardi Giacomo, Del Gaudio Vincenzo e Perino Giuseppe, Guardie di P.S. del drappello di Trapani, sulla conoscenza che il famigerato capo banda Pasquale Turrigiano, di Vincenzo, di anni 27, contadino, da Castellamare, si trovava con certezza in un sotterraneo esistente nella casa di Maria Mistretta, fu Antonino, di anni 23, moglie di Camillo Cajozzo, ammonita; quale sotterraneo era stato costruito dal maestro muratore Domenico Lamia, abbiamo invitato questi a seguirei, per indicarcelo. In seguito ci siamo recati nella casa della madre di Maria Mistretta sita nel quartiere Vignazze ed invitammo la stessa Maria a venire con noi, per aprirei la sua casa. Essa venne con noi ed apriva la porta della sua casa dietro ad essere stata appostata la forza; fu interrogata se avesse persone in casa e segnatamente Pasquale Turrigiano; rispose negativamente.
Datici alle ricerche il muratore Lamia coi militi Bonanno e Ferro entrarono in un camerino sotto una scala, ove levarono un coppo di creta ripieno di olio, piatti ed altri utensili.
Mentre si facevano ricerche sotto il coppo si avverti la detonazione di un sotterraneo, coverto mastribilmente da mattoni. Tutto ad un tratto il bandito si affaccia e tira un colpo di fucile i di cui proiettili ferendo al braccio il Lamia e bruciando le robbe a Bonanno, andavano a forare il muro dove s'incastravano.
Il brigante fu lesto a saltare fuori e profittando di essersi smorzato il lume tenta di fugare e per farsi largo scaricò la seconda canna del suo fucile sulla Guardia De Vita Salvatore, che trovavasi alla porta, lasciando lo cadavere.
Uscito nella strada fu fatto segno a varie fucilate tirategli dalla forza, mediante le quali restò steso al suolo il Turrigiano.
Ricercatolo nelle robbe gli fu rinvenuto un porta monete di cuoio con entro due anelli di oro ed un Napoleone d'oro, non che una quantità d'immagini di Santi, un Crocifisso di rame, uno spazzolino per denti ed un pezzo di candela di cera. In fede abbiamo fatto il presente verbale firmato dal Vice-Brigadiere Barberis, dal Brigadiere Ghezzi e da Noi.
Barberis lo Agostino Vice-Brigadiere a cavallo Ghezzi Antonio Brigadiere Salvatore Mancuso.
Indi a che noi sudetto Comandante abbiamo ordinato l'arresto della nominata Maria Mistretta, padrona della casa che abbiamo fatto chiudere in carcere per essere messa a disposizione del Sig.r Pretore, cui sarà spedito il presente verbale. Salvatore Mancuso



17. «La banda Torregiani» (da «L'Imparziale», Trapani, 13 marzo 1870).


«...» La banda Torregiani era composta di undici individui: Torregiani, Cajozzo, Mistretta, Plescia, Lipari Nicolò, Salamone, La Rocca, Piazza, Lipari Giuseppe, Como e De Marco. Non vi comprendiamo il De Maria il quale, comunque arrestato assieme al Mistretta, ci si fa credere di non avervi mai fatto parte.
Quella banda scorazzò le nostre campagne per ben sette anni sfidando sempre la forza pubblica e tenendosi sempre compatta ed unita, con qualche momentaneo smembramento, nelle nostre montagne, le quali, se di qua e di là alpestri, non sono poi né folte di boscheti né difficili come quelle degli Abruzzi e delle Calabrie. Molto si disse, molto si fece, forti premi furono banditi, molte spedizioni furono effettuite; per sei anni però e fino ali o novembre ultimo ogni tentativo fu inutile, ogni sforzo fu vano, un solo, il Cajozzo, essendo capitato nelle mani della giustizia.


Or come tutta intiera la banda, compreso il capo, fu fatta prigione senza alcun fatto d'arme, ed alla spicciolata in soli quattro mesi, cioè dal 2 novembre a questa parte?
Se l'effetto è palpabile e positivo, la causa non è ancora a tutti chiara, ritenendosi da taluni la mancanza di accordo e di armonia nella banda, da altri la maggiore energia spiegata in questi ultimi tempi dalle autorità e dalla forza pubblica.
Noi abbiamo ragioni convincentissime da ritenere che la nostra forza fu sempre attiva, energica e senza posa nel perseguitare la banda, come siam sicuri che la banda fu sempre compatta e sempre inalterabilmente subordinata al volere ed agli ordini del suo capo. Come dunque in sette anni si fa un solo arresto, ed in quattro mesi si vedon tutti prigioni? Noi vogliamo attribuire tutto il merito della estinzione dell'intiera banda Torregiani alla misura presa in questi ultimi tempi dalla nostra Prefettura nello avere sciolto il corpo municipale di Castellammare, ed allontanato dal potere qualche autorità sospetta, per essere stato finalmente capito dal nostro attuale Prefetto che quella banda, oltre allo scopo naturale della conservazione del proprio individuo, avea l'altro politico di mostrare la debolezza del nostro Governo, e come persone autorevoli di quel paese, sia per mantenersi al pote­re,sia per la speranza del ritorno di un passato di triste ricordanza, rendeano vano ogni tentativo della forza pubblica, frustravano ogni piano di operazioni.
Al mezzo adottato dal nostro signor Prefetto in questa occorrenza noi dunque tributiamo sincere lodi, sicuri che i felici risultati dei quali fu coronata quella misura, saranno sempre tenuti presenti nel porre un freno agli abusi e beneficare una provincia.
Fu necessaria conseguenza di quel saggio provvedimento l'aver potuto i due Comandanti dei militi a cavallo signori Mancuso e Adamo seguire passo a passo, mercè l'opera infatigabile dei loro dipendenti, ogni traccia, ogni movi­mento della banda, e riuscire ad arrestarli separatamente e senza scaricare un colpo di fucile.
Essi dunque che nello adempimento del proprio dovere han fatto cosa meritoria al paese vadano superbi di esser degni del posto che occupano e della fiducia che si ha in essi riposta.
Desideriamo però che non fossero dimenticate le immense fatighe sostenute dai militi da loro dipendenti e le loro continuate veglie, e i disagi da loro patiti, essendo a nostra conoscenza che i militi di Alcamo spesso, a non destare sospetti, uscivano dal paese per la volta di Partinico e poi per vie recondite si portavano di notte tempo nei locali frequentati dal Torregiani, arrampicandosi in luoghi erti, ed ivi rimanendo le tante volte per giorni e settimane; senza sconoscere quanto si è fatto dai militi del nostro distretto i quali non diedero mai posa alla banda, soffrendo penuria di vitto e patimenti in tante spedizioni a Roccarossa per ben dodici giorni, e nel magazzino dello Sparacio in questi ultimi tempi; fatighe e rischi che meritano condegno guiderdone dal Governo e dalla nostra Provincia che saprà generosamente ricompensare questa gente infatigabile che tanti servizi ha reso al paese, rimunerando con ispecialità l'instancabile milite Pietro Pollina inteso Tampola, il quale per attaccamento al proprio dovere e piu per vendicare un torto arrecato al Bonura, persona da lui molto stimata, non ebbe altro scopo in vita sua, non avea altro movente che lo arresto e la persecuzione del Torregiani e della sua banda. Infatti è a lui ed ai tre militi che con lui sorpresero di notte tempo il custode delle terre dello Sparacio, e lo tennero con loro rinchiuso nel magazzino spesso frequentato dal Torregiani nei giorni che precessero il carnevale, che noi vogliamo attribuire la risoluzione di quel famoso Capo di recarsi a Castellammare per avere qualche ora di pace e di riposo. Ed egli ebbe col fatto pace e riposo assai piu lungo di quanto desiderava. Pace dunque a lui negli eterni riposi; pace a lui pel suo gran cuore e per la sua immensa arditezza. Che se noi seguiamo i suoi passi dal giorno che maligne insinuazioni e forse rispettosa sommissione all'influenza sociale di qualcuno lo indussero a farsi renitente alla leva, fino all'ultimo momento della sua vita, noi non possiamo che compiangere le circostanze che svilupparono un genio il quale, altrimenti applicato, avrebbe potuto grandemente giovare a se stesso ed alla patria. Chè grande acume di mente e non comune ardimento si richiedono da colui il quale per otto anni continuati sfida la forza publica, che spesso travestito ed inerme si mette in contatto col tale e col tal altro che darebbe la sua vita per arrestarlo; che poche ore prima della sua morte si presenta mascherato ad una festa e si scopre al tale che fa di musica e gli dice di suonar bene perché vuoi ballare, e balla col fatto e si diverte; che momenti dopo avvicina un milite ed afferrandogli un bottone della divisa gli dice che quel bottone doveva andare per aria; che sorpreso da venti individui armati entro l'angusto buco del pavimento di una stanza salta su come un fulmine e si fa strada lasciando dietro a sé il maggior numero della forza; che finalmente cercando di svincolarsi dal guardia di P.S. Del Gaudio e da altro milite che sopraggiunge, si dibatte e riceve un colpo di fucile dal milite Maltese, e tante ferite, e tanti altri colpi senza un lamento, senza una voce, e che anche morto e steso cadavere sul suolo, incute terrore a venti uomini armati circostanti che, per la paura di vederlo risorgere, desiano dilaniarlo e farlo in pezzi, se il comandante del militi sig. Mancuso non li convince della bassezza di straziare un morto.



18. Supplica del detenuto Buffa Antonino fu Antonio di Castellammare al Procuratore Generale della Corte d'Appello di Palermo (AST, Corte d'Assise, Processi penali, 1868, b. 16).


Palermo li 23 luglio 1870

Il supplicante con tutto rispetto espone alla Sig. Vostra quanto segue. Essendo stato condannato dal Tribunale di Trapani per essere imputato di omicidio in persona di Curato lo Leonardo fu Antonio, si appellava, e gli fu annullata la sentenza. Trovandosi nelle carceri di Trapani, vennero tradotti nelle stesse quattro briganti della banda del Bosco di Castellammare, e furono messi assieme al supplicante; ed essendo questi suoi compatriotti venne a conoscere dove si trovavano gli altri due, Torregiani Pasquale e Mistretta Antonino, che dagli stessi rilevai delle altre notizie ancora, e che subito lo fece conoscere al Signor Prefetto, e questi furono arrestati, e condotti anche in carcere.
Signor, il supplicante, non per questi servizii prestati, prego la carità della Signoria V., ma benzi per essere egli innocente, che per questa raggione gli moriva un suo figlio in carcere, ed un altro al Paese ed ora trovasi la povera afflitta moglie con altri sei figli tutti piccoli, privi di mezzi e sussistenza.
«...» Tuttocciò il petente si raccomanda alla Giustizia della Signoria Vostra affinché poter sperare tal Grazia.

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